Luciano Lanna
È ufficiale. Con il film-documentario L’ultima Thule, co-prodotto dalla moglie Raffaella
Zuccari e in cui si racconta l’album che chiude la sua carriera discografica,
Francesco Guccini dice addio al mondo dello spettacolo: «Non canto più in
pubblico, per gli amici sì, magari dopo una cena...». E l’ultimo atto
creativo il Guccio lo regala ai Nomadi, lo stesso gruppo che fece esordire i
suoi testi e la sua musica: «Ho scritto una canzone per i loro cinquant’anni, si
intitola proprio Nomadi e
gioca un po’ sul significato letterale e sul nome della band. Ma non vado
oltre, sarà Beppe Carletti a parlarne…».
Questo 2013 d’altronde è un anno di ripetuti e importanti cinquantenari per
la musica pop. Non solo per i Beatles e i Rolling Stones che proprio nel 1963
registravano le loro prime incisioni ma anche per i nostri Nomadi che compiono
in questi giorni cinquant’anni di vita e di avventura musicale. Il leader della band,
Beppe Carletti, ha scelto per il compleanno Cesenatico, nel cui stadio dal 14
al 16 giugno si terrà una kermesse in puro stile Nomadi: con il gruppo in tre
concerti, stand, mostre e quant’altro. D’altronde la storia dei Nomadi è
iniziata proprio quando Beppe Carletti, a sedici anni, incontra Augusto Daolio,
un coetaneo dagli occhiali neri che lavorava nel bancone del bar di famiglia e
alla sera cantava, per gioco, a La Pineta. E fu ai tavoli di un altro bar che
Beppe e Augusto decisero che avrebbero girato l’Italia con una loro band, I
Nomadi. Augusto, la voce della band, è morto prematuramente nel settembre 1992,
più di vent’anni fa, ma il gruppo c’è ancora, e anzi è la band più longeva della
musica italiana, con alle spalle 300 canzoni e 35 album. Beppe racconta tutto
questo, e molto altro, in un bel libro, Io vagabondo. 50 anni di vita con i
Nomadi (Arcana, pp. 192, euro 17,50) utile anche per ripercorrere la storia
degli ultimi decenni attraverso l’immaginario: “Fino a un istante prima era
l’infanzia, poi, improvvisamente, diventammo adulti. Il 13 giugno del 1963 i
Nomadi iniziarono la loro estate al Frankfurt Bar di Riccione e qualcosa dentro
di noi cambiò per sempre…”.
Il vero e
proprio debutto davanti al pubblico del gruppo in quanto tale fu il 22
novembre, la sera dell’omicidio del presidente JF Kennedy. Nel 1966, poi,
finisce la fase da balera e inizia quella dell’impegno beat. “In quel momento
storico – rievoca Carletti – nel nostro paese c’erano quasi sei milioni di
ragazzi tra i quindici e i vent’anni, e il 1967 divenne l’anno con il massimo
delle presenze sui banchi di scuola…”. In questo clima un amico, Dado Veroli,
arriva a casa di Augusto, dicendo che doveva far ascoltare qualcosa di molto
interessante: “Roba forte, ragazzi. Sono canzoni scritte da un mio amico cantautore che vive a Bologna”.
Il suo nome era Francesco Guccini e su quel nastro c’erano le versioni grezze
di brani come Dio è morto, Noi non ci saremo, Per fare un uomo,
Canzone per un’amica…
La prima a
venire registrata fu la più forte dal punto di vista emotivo: Dio è morto,
che era stata scritta da Guccini nel 1965. Nel titolo si citava Friedrich
Nietzsche e nell’attacco faceva il verso a Urlo di Allen Ginsberg, il
poeta della beat generation: “Mi han detto / che questa mia generazione
ormai non crede / in ciò che spesso han mascherato con la fede / nei miti
eterni della patria e dell’eroe / perché è venuto ormai il momento di negare /
tutto ciò che è falsità / le fedi fatte di abitudine e paura / una politica che
è solo far carriera…”. La canzone ebbe
la strana ventura di venire censurata dalla Rai e trasmessa invece da Radio
Vaticana. Pare che nemmeno i discografici all’inizio la volessero, proprio per
quel titolo che nella primissima versione da far accettare all’Italia
democristiana aveva un prudente punto interrogativo alla fine. I Nomadi,
comunque, fecero la furbata di farsi fotografare mentre “regalavano” il disco a
Paolo VI durante un’udienza del 1967. E, come racconta Roberta Beretta in Cantavamo
Dio è morto (Piemme, 2008, pp. 220, euro 13,50), “di certo dal Sessantotto
in poi quelle strofette furono eseguite a suon di chitarra più e più volte
nelle chiese di tutt’Italia…”.
Lo attesta
lo stesso Beppe Carletti: “I primi a cantare Dio è morto furono proprio
i preti, e lo fecero suonare anche in chiesa”. Diverso l’esito nel circuito della musica
leggera, dove quell’anno i Nomadi portarono la canzone al Cantagiro: “Fu più di
una sfida, fu un azzardo. La carovana partì da Catania il 21 giugno. Il testo
d’altronde non lasciava spazio all’immaginazione e raccontava di una
generazione che non credeva più ai ‘miti eterni della patria’ e nemmeno al
‘perbenismo interessato’ e a una ‘dignità fatta di vuoto’. Non riuscimmo a
finire la prima strofa che iniziarono ad arrivare i sassi dal pubblico, conditi
da qualche insulto. Per farla breve – prosegue Carletti – fummo costretti a
mettere un sottotitolo al titolo del brano che diventò Dio è morto (se Dio
muore è per tre giorni, poi risorge)…”.
Ma, come
dicevamo, la canzone si impose invece tra i giovani tutti, laici e cattolici,
di destra e di sinistra. Allo stesso modo in cui, cinque anni dopo, estate del
1972, si impose col solo passaparola Io vagabondo, anche questa poi
diventata un must anche nelle parrocchie e nell’associazionismo
cattolico di quegli anni: “Io vagabondo che son io / vagabondo che non sono
altro /soldi in tasca non ne ho / ma lassù mi è rimasto Dio…”. Tre minuti e
dieci secondi di emozioni – si legge in Dio, tu e le rose. Il tema religioso
nella musica pop italiana (Il Margine, pp. 360, euro 18,00) di Brunetto
Salvarani e Odoardo Semellini – per una pezzo che è diventato leggenda e inno
generazionale, pur classificandosi, anche in questo caso, solo al tredicesimo
posto al Disco per l’Estate. Il testo della canzone ribadiva la scelta on
the road, della libertà esistenziale e spirituale, contrapponendola alle
false sicurezze piccolo-borghesi e all’arrivismo come modello sociale. Ancora
oggi, vent’anni dopo la scomparsa della voce di Augusto Daolio, ascoltarla e
cantarla è senz’altro il modo migliore per restare fedeli allo spirito dei
Nomadi e (forse) al meglio degli anni Sessanta e Settanta.
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