martedì 21 maggio 2013

Perché Cardini dice, e noi con lui, viva il Medioevo!




Annalisa Terranova

“Il Medioevo piace ma non si studia”. È il titolo, ineccepibile, di un bell’articolo scritto da Franco Cardini su “Avvenire” proprio oggi (21 maggio) e che ricorda come, tra saghe, film, fantasy medieval-tolkieniana e imitatori di Dan Brown l’età di mezzo sia sfruttatissima a livello di immaginario mentre i centri di ricerca vivacchiano e quelli che intendono approfondire il periodo storico nelle università sono sempre di meno. Perché, aggiungiamo noi, lo studio del Medioevo dà grandi soddisfazioni ma non procura alti stipendi e viene trascurato già nei licei, figuriamoci dopo. Allora, o vi leggete almeno un grande classico della medievistica (un Le Goff o un Marc Bloch o anche un libro di Cardini) oppure siete condannati al marketing abborracciato su streghe, inquisitori, inconfessabili segreti curiali; ai noir di atmosfera gotica disinformata, alle gare culinarie a base di piatti “elfici” e così via. Perché c’è un medioevo di largo consumo e un medioevo che dà soddisfazione nel tempo, quando riesci a penetrarne l’atmosfera caotica (così simile ai nostri tempi) e la sete di assoluto di sottofondo; la distanza dalla mentalità contemporanea e l’audacia intellettuale che si nutriva dello sforzo epico di conciliare la Bibbia con il mondo classico.



Il medioevo è una miniera dove attingono letterati e artisti, e a cui guarda anche la politica, approfittando di un’estensione temporale che si allunga per mille anni (anche se per pura convenzione) per accendere i riflettori su ciò che più appaga sensibilità diverse e spesso opposte. E così per un Tolkien che si innamora dei versi del Beowulf avremo un cantautore come De André che si incuriosisce per le ballate popolari; per uno Hugo che ambienta i suoi drammi tra le guglie di Notre Dame avremo un Benigni esegeta del labirinto di metafore della Commedia dantesca; per un Walter Scott affascinato dalla cavalleria medievale un Branduardi che canta Yeats; per un Brasillach che mette in scena Giovanna d’Arco un Dario Fo che si richiama alla tradizione dei giullari; per un Evola che esalta la tradizione imperiale un leghista che s’infiamma per lo spadone di Alberto da Giussano. E la cosa non deve stupire, perché come scriveva Régine Pernoud il Medioevo è il luogo degli opposti, il tempo in cui gli uomini sono tentati da un lato dalla stabilità del castello e del feudo e dall’altro dall’inquietudine del pellegrinaggio, il tempo della cristallina fede di Bernardo di Clairvaux e dell’ardita logica di Abelardo, della disinvoltura erotica di Maria di Lais e dell’amore sublimato di Ildegarda di Bingen. 



In un libro davvero interessante, Medioevo militante di Tommaso di Carpegna Falconieri si sottolinea che a quell’età si può guardare come un “prima” e come un “altrove”. Il medioevo è ciò che viene prima della modernità (di qui lo sciatto uso linguistico del termine per indicare pensieri, atteggiamenti o posizioni incompatibili con la modernità così come noi la conosciamo) ma è anche un “altrove” mitizzato e astorico, dove era possibile il contatto con la natura e con il sacro non intaccati dalla decadenza della tecnica e della secolarizzazione. “Medioevo politico o apolitico, tempo del prima necessario o invece altrove assoluto: tale dunque è la qualità di questa straordinaria parola divenuta bifronte”.  Per fortuna ci sono gli storici. A loro dobbiamo spezzoni di verità su un medioevo che resta a tutt’oggi enigma irrisolto, ma che ci interroga e ci chiama, ci attira e ci respinge, come tutto ciò che non riusciamo a conoscere, pur se possiede uno spazio così ingombrante nelle nostre menti e nel nostro linguaggio. 

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