sabato 18 maggio 2013

La lezione di Bruno Lauzi, uomo libero prima che cantautore


Lorenzo Randolfi


Ci sono esistenze venute al mondo per andare controcorrente. Vite insofferenti a qualsivoglia tipo di restrizione, inadatte a conformarsi all'ordine delle cose vigente, sempre pronte a percorrere strade solitarie e scomode pur di restare fedeli a se stesse. Personaggi che testimoniano con la loro vita che l'uomo è nato libero. Sono anarchici, libertari, irregolari, bastian contrari, dandy, non-conformisti ma senza mai commettere violenza o creare tensioni: gelosi della propria libertà, sono anche rispettosi della vita altrui. La loro guerra la combattono gentilmente, con signorilità, umorismo e ironico distacco. Un uomo di questi è stato Bruno Lauzi, artista che non rinunciò mai a se stesso e alla sua Arte per il successo e per la fama. Poeta, cantautore tra i padri della scuola genovese, autore di canzoni per bambini come La tartaruga e Johnny Bassotto, traduttore, ma anche editore e talent scout. Fino a essere viticoltore, gastronomo e cercatore di funghi.Insomma una personalità eclettica, curiosa, vulcanica, un intellettuale a tutto tondo fiero della propria libertà, che mai avrebbe ceduto alle lusinghe della politica, del pubblico, delle autorità culturali. Un ometto coi baffi, paffuto e riccioluto che , anche per l'aspetto fisico, sembrava fatto per prendere in giro, per giocare, per insegnarci a non essere troppo seri. Un simpatico “rompicoglioni” per un Italia di intellettuali organici e di militanti così seri da divenire faziosi, settari e in qualche caso terroristi.
Uomo libero, liberale, laico, libertario, non piaceva ai partiti e alla Cultura (in anni in cui tale era solo quella cosiddetta di Sinistra). Una volta fu invitato a una Festa dell'Unità e rifiutò rispondendo “Fate liberare gli artisti sovietici dai gulag”. Era uno impegnato amodo suo, Lauzi, o meglio il suo impegno era diverso: agire sull'immaginario. Del resto una volta disse: “Siamo tutti vittime dell'Illuminismo, abbiamo perduto il senso del Mito. Eppure non c'è nulla di più razionale che credere nell'irrazionalità”. Sapeva che una favola, una filastrocca (vedi “la tartaruga”) o anche un fumetto insegnano più cose di un testo dottrinario.
Alla fine della sua vita decise di cimentarsi in una nuova impresa: scrivere un romanzo. Uscì così nel 2005 per i tascabili Bompiani Il caso del pompelmo levigato (pp. 119, euro 6,50). libro poco noto, ma di qualità. Bizzarro al punto che solo Lauzi poteva scriverlo. L’autore stesso avverte in un capitolo: “Mi sento in dovere di avvertirvi che, se siete di quelli rigidamente deterministi, convinti che la vita abbia un senso preciso e che tutti gli eventi abbiano una motivazione logica per accadere, be’, allora questo libro non fa per voi”. Il libro, infatti, è un racconto non-sense, dove il tempo, lo spazio, e i personaggi non rispettano nessuna regola compositiva. La trama è quella di un romanzo giallo, utilizzato per affrontare diversi argomenti filosofici: la Bellezza, la Giustizia, l’esistenza di Dio e altri ancora; il racconto diventa quindi un vero e proprio “comte philosophique” che strizza l'occhio a quelli di Voltaire. Un libro strampalato, divertente, ironico ma anche profondo e stimolante per la mente. Un suo passo è bellissimo: “… quando uno pensa, deve sforzarsi di andare oltre i suoi limiti; oltre il soffitto, diciamo così, della sua scatola cranica, della sua capacità di concentrazione, dei suoi pregiudizi. Ognuno di noi vive in stanze le cui pareti e il cui soffitto se li è inventati da solo. Via, via, sfondare, rompere, andare oltre, penetrare altre stanze, questo è il compito e il fardello dell'uomo fino all'ultimo fiato di vita”.
Un libro da leggere, soprattutto per l’insegnamento che dà: cercare di essere liberi.

Nessun commento:

Posta un commento