Pier Paolo Segneri
Equità significa innanzitutto
equilibrio. Quando si perde l’equilibrio, si cade. Quando si perde l’equità, si
precipita verso il basso. E inevitabilmente si creano scollamenti,
disgregazioni, frantumazioni, detto in una parola: si creano ingiustizie.
Insomma, equilibrio ed equità sono, per molti aspetti, sinonimi. Perché
rappresentano un moto e un modo, cioè un movimento e un approccio, che possiamo
considerare agli antipodi rispetto all’immobilismo e allo stato oppressivo di
chi si ritrova costretto a rimanere schiacciato a terra, con il volto verso il
basso. In altri termini, equità non vuol dire – in alcun modo – appiattimento,
non vuol dire omologazione, non vuol dire bloccare o impedire il funzionamento
dell’ascensore sociale, anzi. Equità, in senso autentico e liberale, è il
riconoscimento dei diritti e dei meriti di ciascuno. Infatti, l’equità è tale
se permette ai meritevoli, ai più creativi, a chi si impegna, a chi studia, a
chi migliora se stesso, a chi è onesto e capace, a chi aiuta gli altri e a chi
fortifica le proprie attitudini di poter salire i gradini della scala sociale,
anche con la possibilità di arrivare ai gradi più alti. Invece, niente. In
Italia, tutto è fermo, immobile, statico. Ormai da anni. Si procede per
nepotismo, per familismo, per beceri tornaconti personali oppure secondo
criteri tesi a premiare i mediocri, i ruffiani, i più servili, i meno capaci, i
non creativi, i gregari, i fedeli privi di qualsivoglia senso di lealtà, i
burocrati di apparato. Siamo al disastro.Come si seleziona una classe dirigente? È
questa la prima riflessione che mi è venuta in mente dopo aver letto la recente
intervista di Giuliano Amato apparsa sul Corriere della Sera.
Suggerisco a tutti di leggerla. E vorrei segnalare come il professor Amato
abbia saputo sollevare la questione così da aprire, speriamo, un necessario
dibattito sull’attuale selezione al rovescio della nostra classe dirigente. E
non soltanto. Ormai, tutto sembra andare in senso rovesciato. E aumenta
l’angoscia, la depressione, lo scoramento. Perché si è affermata l’idea che
tutti possono fare tutto. A cominciare dalla politica. Come se per ricoprire un
ruolo politico o istituzionale, amministrativo o dirigenziale, una persona
valesse quanto un’altra. Senza guardare alle qualità e alle competenze. Ma
questa non è equità, anzi: è il suo opposto. È come se chiunque, anche il primo
che passa di lì in quel momento, potesse ricoprire qualsivoglia compito,
assumersi una responsabilità politica o svolgere un determinata funzione
istituzionale richiesta. Come se chiunque, al di là delle proprie attitudini
personali, potesse fare qualsiasi cosa, magari senza la necessità di avere una
preparazione adeguata o una solida formazione culturale o, almeno, un minimo di
competenza sorretta da una personale attitudine, per non dire talento, per quel
determinato ruolo politico. Niente. Anzi, la situazione è assai peggiore di
quella appena descritta perché, nell’attuale sistema illiberale e
anti-democratico, sono proprio i meritevoli e i più creativi, i più preparati e
talentuosi ad essere esclusi, emarginati, puniti, fermati, ostacolati,
scoraggiati, bruciati. Non è più accettabile. Attualmente, infatti, i
“commissari tecnici” dei vari movimentismi o partitismi o delle molteplici
correnti burocratiche e di apparato organizzano le loro squadre in questo modo:
i portieri vengono schierati in attacco, i difensori sono posti tra i pali, i
fuoriclasse restano in panchina, i centrocampisti fanno i raccattapalle, gli
attaccanti giocano in difesa.Questo meccanismo, basato sulla
cooptazione al rovescio e sulla selezione verticistica, voluto da una mentalità
cinica e ignorante, egoista e cieca, sta annientando la Politica (e lo spazio
pubblico in generale). Forse, nel nostro Belpaese vi sono, a oggi, cento
potenziali statisti, cinquanta futuri leader, mille dirigenti politici di
altissimo livello, eppure non si conoscono, non si sa chi siano e non lo
sapremo mai finché si continuerà a procedere con tali sistemi coercitivi e
illiberali. Insomma, con gli attuali ingranaggi del Potere fine a se stesso, di
destra e di centro e di sinistra, le attitudini di ciascuno non verranno mai
valorizzate e, difatti, le nuove generazioni non trovano - oggi - lo spazio per esprimere le proprie
qualità, il proprio talento, le giuste capacità. Non si tratta di chiedere
spazi per emergere, ma di avere la possibilità di conquistare luoghi in cui
ciascuno possa, poi, contribuire attivamente alla vita pubblica del nostro
Paese offrendo agli altri ciò che si è e ciò che si sa fare, secondo il proprio
talento, secondo la propria cultura, inventiva, creatività, predisposizione,
preparazione e rispetto alle attitudini o alle qualità che si hanno. Il futuro
parte da qui.
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