lunedì 13 maggio 2013

Il “caso italiano” sta nella difficoltà a far emergere una nuova classe dirigente




Pier Paolo Segneri

Equità significa innanzitutto equilibrio. Quando si perde l’equilibrio, si cade. Quando si perde l’equità, si precipita verso il basso. E inevitabilmente si creano scollamenti, disgregazioni, frantumazioni, detto in una parola: si creano ingiustizie. Insomma, equilibrio ed equità sono, per molti aspetti, sinonimi. Perché rappresentano un moto e un modo, cioè un movimento e un approccio, che possiamo considerare agli antipodi rispetto all’immobilismo e allo stato oppressivo di chi si ritrova costretto a rimanere schiacciato a terra, con il volto verso il basso. In altri termini, equità non vuol dire – in alcun modo – appiattimento, non vuol dire omologazione, non vuol dire bloccare o impedire il funzionamento dell’ascensore sociale, anzi. Equità, in senso autentico e liberale, è il riconoscimento dei diritti e dei meriti di ciascuno. Infatti, l’equità è tale se permette ai meritevoli, ai più creativi, a chi si impegna, a chi studia, a chi migliora se stesso, a chi è onesto e capace, a chi aiuta gli altri e a chi fortifica le proprie attitudini di poter salire i gradini della scala sociale, anche con la possibilità di arrivare ai gradi più alti. Invece, niente. In Italia, tutto è fermo, immobile, statico. Ormai da anni. Si procede per nepotismo, per familismo, per beceri tornaconti personali oppure secondo criteri tesi a premiare i mediocri, i ruffiani, i più servili, i meno capaci, i non creativi, i gregari, i fedeli privi di qualsivoglia senso di lealtà, i burocrati di apparato. Siamo al disastro.Come si seleziona una classe dirigente? È questa la prima riflessione che mi è venuta in mente dopo aver letto la recente intervista di Giuliano Amato apparsa sul Corriere della Sera. Suggerisco a tutti di leggerla. E vorrei segnalare come il professor Amato abbia saputo sollevare la questione così da aprire, speriamo, un necessario dibattito sull’attuale selezione al rovescio della nostra classe dirigente. E non soltanto. Ormai, tutto sembra andare in senso rovesciato. E aumenta l’angoscia, la depressione, lo scoramento. Perché si è affermata l’idea che tutti possono fare tutto. A cominciare dalla politica. Come se per ricoprire un ruolo politico o istituzionale, amministrativo o dirigenziale, una persona valesse quanto un’altra. Senza guardare alle qualità e alle competenze. Ma questa non è equità, anzi: è il suo opposto. È come se chiunque, anche il primo che passa di lì in quel momento, potesse ricoprire qualsivoglia compito, assumersi una responsabilità politica o svolgere un determinata funzione istituzionale richiesta. Come se chiunque, al di là delle proprie attitudini personali, potesse fare qualsiasi cosa, magari senza la necessità di avere una preparazione adeguata o una solida formazione culturale o, almeno, un minimo di competenza sorretta da una personale attitudine, per non dire talento, per quel determinato ruolo politico. Niente. Anzi, la situazione è assai peggiore di quella appena descritta perché, nell’attuale sistema illiberale e anti-democratico, sono proprio i meritevoli e i più creativi, i più preparati e talentuosi ad essere esclusi, emarginati, puniti, fermati, ostacolati, scoraggiati, bruciati. Non è più accettabile. Attualmente, infatti, i “commissari tecnici” dei vari movimentismi o partitismi o delle molteplici correnti burocratiche e di apparato organizzano le loro squadre in questo modo: i portieri vengono schierati in attacco, i difensori sono posti tra i pali, i fuoriclasse restano in panchina, i centrocampisti fanno i raccattapalle, gli attaccanti giocano in difesa.Questo meccanismo, basato sulla cooptazione al rovescio e sulla selezione verticistica, voluto da una mentalità cinica e ignorante, egoista e cieca, sta annientando la Politica (e lo spazio pubblico in generale). Forse, nel nostro Belpaese vi sono, a oggi, cento potenziali statisti, cinquanta futuri leader, mille dirigenti politici di altissimo livello, eppure non si conoscono, non si sa chi siano e non lo sapremo mai finché si continuerà a procedere con tali sistemi coercitivi e illiberali. Insomma, con gli attuali ingranaggi del Potere fine a se stesso, di destra e di centro e di sinistra, le attitudini di ciascuno non verranno mai valorizzate e, difatti, le nuove generazioni non trovano  - oggi - lo spazio per esprimere le proprie qualità, il proprio talento, le giuste capacità. Non si tratta di chiedere spazi per emergere, ma di avere la possibilità di conquistare luoghi in cui ciascuno possa, poi, contribuire attivamente alla vita pubblica del nostro Paese offrendo agli altri ciò che si è e ciò che si sa fare, secondo il proprio talento, secondo la propria cultura, inventiva, creatività, predisposizione, preparazione e rispetto alle attitudini o alle qualità che si hanno. Il futuro parte da qui.


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