Quaranta anni fa, nel 1973, uscì nelle sale cinematografiche il
film Charley Varrick. L'ultimo degli
indipendenti, una delle opere principali del regista statunitense Don
Siegel, famoso anche per L’invasione degli ultracorpi, L’ispettore
Callaghan.... e Fuga da Alcatraz. In Italia il film uscì con il diverso titolo di Chi ucciderà Charley Varrick?; un titolo
che ne depotenzia gli intenti, ne travisa il senso e ne sminuisce la qualità
declassandolo a semplice film d'azione. Eppure è proprio nel titolo originale la chiave di lettura di tutto il film. Un
film che porta il timbro della poetica personale di Don Siegel, un regista
libertario e individualista. Un artista eccentrico rispetto alla cultura mainstream, noto per aver realizzato
film d'azione la cui tematica di fondo è la libertà del singolo in una società
che tende ad annichilirlo, incatenarlo, inquadrarlo in apparati
sovraindividuali, “istituzionali”, che escludono la sua autonomia di giudizio e
di decisione; apparati che sono portatori del giusto modo di pensare e di una
spiegazione precisa per ogni aspetto della vita: il sindacato, il mercato, lo
Stato, il partito, la Chiesa, la famiglia.
Don Siegel, un po’ come Pirandello, Sergio Leone, Céline, Junger (tutti figli
di Nietzsche), ma anche come come Tacito, Thomas Carlyle, Plutarco crede nel
singolo uomo e lo difende. E Charley Varrick è proprio uno di questi singoli.
Un uomo qualunque che cerca di vivere come gli riesce meglio. Uno, come tanti,
che ha cambiato diversi mestieri, tra cui il pilota acrobatico; uno che si
arrangia perché nel mondo “il grande mangia il piccolo” e se non fai parte del
sistema allora sei un precario, un outsider...sei fregato insomma. Anche la sua
casa è precaria, ha le ruote. Ma a Charley non importa, lui è uno che accetta la vita, non vuole
spiegarla, e la sua condizione la porta con orgoglio come un distintivo. Anzi
il motto della sua ditta di disinfestazioni agricole recitaproprio “Charley
Varrick, l'ultimo degli indipendenti”. E questo spiega tutto.A un certo punto, Charley decide di darsi alle rapine in banca,
un po' per vivere un po' per ribellione. Giusto qualche colpetto, come dice
lui. Accade però che durante una sanguinosa rapina a una piccola banca di
provincia insieme al suo socio entra in possesso di una gran quantità di denaro
sporco, frutto di un sodalizio tra sistema bancario e criminalità organizzata. La
storia diventa quindi una fuga dalla polizia che lo cerca per la rapina (ma non
conosce le malefatte dei pesci grossi), e dalla criminalità che ha
sguinzagliato il suo killer. Alla fine Charley con astuzia riesce a vincere e a
fare giustizia, a modo suo, da "last of the indipendents": criminali, sbirri, uomini dei servizi e banchieri
si uccidono tra loro, la polizia scopre la verità. Lui fugge con i soldi a
tutta velocità lungo una strada tutta dritta che non sa dove lo porterà.
Un'altra identità, un'altra vita.A prestare il volto al personaggio è l'attore Walter Mathau. Un
viso pacato, morbido, innocuo, insomma una maschera di normalità, grazie alla
quale il film diventa quasi l'allegoria di una condizione esistenziale. Altro
che B-movie. Un personaggio accostabile al Bardamu di Viaggio al termine della notte di Céline, o al bandito anarchico
Sante Pollastri, veramente esistito, e cantato nella canzone Il bandito e il campione di Francesco De
Gregori e Luigi Grechi. Gente “che vive fuori”, ai margini, convinta che
“vivere dentro” non significa affatto essere giusti, migliori, perché poi a
farla da padrone in questa vita è poi, sempre, il Caso.
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