Pubblichiamo di seguito un intervento di Gennaro Malgieri sulla fine di Fli. Segnavia non condivide tutto ma di certo, tra tanti lazzi e tante stupidaggini, qui c'è almeno una densità argomentativa
Gennaro Malgieri
L’ultimo atto di Fli è il congedo. Da un’illusione, da una improvvida avventura, da un malinconico
progetto senza sbocchi politici.Gianfranco Fini, già leader di Alleanza nazionale che ottenne
lusinghieri successi tra il 1994 (quando il “mutamento” non era ancora stato completato) ed il 2006, fino a
toccare la vertigine del 15,7% dei suffragi, si ritira dichiarando di aver
fallito ed accetta la sconfitta senza accampare giustificazioni, né alibi e neppure cercando ricomposizioni impossibili,
come ha lui stesso ammesso, convinto di non essere uomo per tutte le stagioni.
Il “riciclaggio”, insomma, non gli si
addice. E dell’assunzione piena delle responsabilità gli va dato atto.
Inutile elencare qui gli
errori di strabismo politico commessi da Fli. Il magrissimo risultato
elettorale li riassume tutti. Va solo ricordato che prima l’abbandono del centrodestra da parte degli scissionisti e
poi la confusa e precaria costruzione di un soggetto che per disperazione – non avendo altre possibilità di collocazione – è diventato “centrista” pur essendo lontanissimi da quell’area tutti i suoi esponenti, ne hanno pregiudicato l’agibilità politica fino alla scomparsa. La destra che
Fini ed i suoi immaginavano, insomma, non è mai nata. Poteva esistere,
pur lontana dall’alveo berlusconiano, a patto che principi,
valori, riferimenti, strategie fossero coerenti con una tradizione
politico-culturale riconoscibile e comunque attraente. Invece non è stato infrequente imbattersi in prese di posizioni
antitetiche alla destra da parte di non pochi parlamentari di Fli e dello
stesso Fini che lasciavano sconcertati coloro che li avevano seguiti, molti dei
quali non esitarono perciò a fare retromarcia.
Comunque la si voglia
giudicare, l’esperienza finiana ha determinato una rottura
traumatica all’interno di una componente umana prima che
politica le cui conseguenze si sono fatte dolorosamente sentire. Per dirla
tutta, un mondo, cementato da ideali e culture, a lungo ostracizzato per poi
affermarsi con il consenso conquistato, è andato in frantumi. In
quel mondo, per oltre mezzo secolo sopravvissuto a tutte le intemperie
politiche, si sono consumati drammi personali di cui non è stata valutata la gravità nello stesso Pdl che in quest’ultima tornata elettorale ha marginalizzato quasi tutti
coloro i quali erano rimasti nel suo ambito – perfino quelli che avevano
criticato la “fusione a freddo” tra An e Forza Italia -
come se fossero comunque sospetti di “intelligenza con il nemico”. Ma questa è acqua passata.
Non passa, invece, la “tentazione” di rimettere insieme i
cocci. Anche da parte di chi ha seguito Fini. E’ in corso un lavorio che
coinvolge alcuni dei suoi collaboratori più stretti come Roberto Menia
che sta tentando un dignitoso approccio con altre componenti della destra, da
Fratelli d’Italia al partito di Storace, al gruppo che
si riconosce in Moffa, Landolfi, Viespoli, Benedetti Valentini (che sabato
scorso ha tenuto un convegno a Roma sul presidenzialismo) e al movimento che
sta mettendo in piedi Domenico Nania che debutterà il 16 maggio a Palermo.
Naturalmente contatti con gli ex-An nel Pdl sono frequenti da parte di tutti
gli interessati. E non è detto una “Cosa” di destra non venga fuori.
Naturalmente una sommatoria di soggetti
sarebbe inadeguata allo scopo. La destra che non c’è eppure, paradossalmente c’è, come “destra diffusa” intendo, potrebbe
ritrovarsi soltanto intorno ad un progetto finalizzato all’organizzazione nello spazio lasciato vuoto dalla
scomparsa di An, di uno schieramento politico che riesca a muoversi in sintonia
con l’esigenza di cambiamento istituzionale e di moralizzazione
della vita pubblica diffusa nel Paese. Coniugando la tradizione culturale
propria della destra con le spinte modernizzatrici che andrebbero adeguatamente
interpretate e governate. Non si tratterebbe di rifare ciò che non c’è più, insomma, ma di reinventare un’identità procedendo a quella sintesi culturale che
venne avviata a Fiuggi nel 1995 e poi è sbiadita strada facendo,
fino a perdersi.
Un orizzonte ambizioso,
senza dubbio. Ma inseguire piccoli obiettivi non è interessante per nessuno.
Se si vuol provare a far rinascere la destra tanto vale riconoscere che l’impresa è ardua e che molte energie vanno spese.
Accontentarsi del piccolo cabotaggio o trasformarsi in qualcosa d’indistinto è inutile. Come la parabola
di Futuro e libertà eloquentemente dimostra.
(tratto da Il Tempo del 7-5-2013)
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