Giovanni Tarantino
Visto
“da sinistra” il mondo della curva deve avere una carica di significati
particolari, soprattutto quando l’osservatore e lo studioso è magari un tifoso “laziale”.
Avete letto bene: “laziale”, come lo sono, ad esempio, gli Irriducibili, attivi
fino a qualche tempo fa, o come l’ex Banda de’ Noantri, oppure come il
leggendario “Cml ’74. Lazio über alles”. Ma, come abbiamo già detto, nel caso degli
osservatori in questione la sensibilità “politica” è assai differente. Ci
riferiamo ad Antonio Smargiasse e Guido Liguori, studiosi rispettivamente di
storia del cinema e storia delle dottrine politiche, entrambi laziali e “di
sinistra” oltre che firme del quotidiano “comunista” il manifesto. Oltretutto, Smargiasse è stato una delle voci di “Lazio.Net”,
la web community biancoceleste meno vicina alle posizioni della Curva Nord,
negli anni del dominio degli Irriducibili. Un dato che, tuttavia, non gli ha
impedito di analizzare alcuni fenomeni di degenerazione del calcio moderno,
ponendosi, di fatto, in sinergia con le istanze del mondo ultras, movimentista
per vocazione, e quindi, in fin dei conti non allineato alle vecchie logiche di
appartenenza “destra e sinistra”.
Smargiasse
e Liguori qualche anno fa intervennero sulla necessità di ridefinire l’intero
mondo del calcio nel libro Calcio e Neocalcio. Geopolitica e prospettive del football in Italia
(edizioni “manifesto libri”, pp. 175, euro 18,00). I due giornalisti parlavano esplicitamente
di “neocalcio”, ritenendo superato il concetto contemporaneo di “calcio
moderno”: «Gli ultras, che ne sono oppositori risoluti, usano
sostengono i due – l’espressione calcio moderno. A noi sembra invece più
appropriata l’espressione neocalcio, in primo luogo perché la fase attuale si
configura per taluni aspetti come post-moderna: “moderno” infatti indica un
periodo storico iniziato alcuni secoli fa e per taluni ormai superato da tempo…
Il prefisso neo suggerisce di
concentrare l’attenzione sulle novità del fenomeno in questione. Calcio moderno indica una scansione temporale
(peraltro errata), neocalcio sottolinea invece i cambiamenti intervenuti via
via nell’universo calcistico». Secondo i due
studiosi il passaggio dal vecchio calcio novecentesco al neocalcio sarebbe infatti
tuttora in corso e risulterebbe difficile stabilire una precisa data di inizio
del processo, ma il neocalcio, in definitiva, sarebbe caratterizzato
dall’industrializzazione del calcio, e dalla commercializzazione dello stesso,
fortemente connessa alla diffusione del calcio televisivo e al ruolo degli
sponsor, che va diventando sempre meno uno sport e sempre più uno spettacolo. Con Antonio Smargiasse abbiamo allora discusso direttamente
delle maggiori problematiche legate ai cambiamenti del calcio italiano e non
solo…
In diversi ambienti legati
al tifo, non necessariamente ultras, e agli appassionati di calcio è
riscontrabile un’avversità e un’ostilità verso il cosiddetto calcio degli anni
Duemila. Qualcun altro, come il sociologo Pippo Russo aveva parlato
dell’invasione dell’ultracalcio, parafrasando L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel. Voi lo avete chiamato neocalcio. Definiamolo…
È
un problema che investe più soggetti che a loro volta hanno motivi diversi per
porsi in opposizione a un’eccessiva industrializzazione del calcio. Una delle
ragioni principali è quella che il calcio, e questo da tempo, non viene più
concepito come uno sport da varie componenti del mondo del tifo. L’ultras è l’elemento
più facile da capire. Nati in Inghilterra negli anni ’60, in forte rottura con
il tifo “semplice” e tradizionale delle tribune, i primi ultras erano
provenienti dai quartieri periferici, dal sottoproletariato e tra di loro c’era
una forte coesione sociale. Il movimento hooligans
in Inghilterra, e successivamente quello ultras in Italia, era costituito da
bande giovanili, quelle degli anni ’60-’70 che portarono il tema della
contestazione negli stadi, non volendo più essere spettatori ma protagonisti
degli stadi nella curva: una rottura rispetto al passato.
E in Italia cosa è successo,
invece?
I
gruppi italiani furono da subito una imitazione delle organizzazioni politiche
(le varie Brigate, ecc.), fenomeno
dapprima spontaneo e poi cavalcato fortemente da forze politiche antisistema,
di estrema destra ed estrema sinistra. Dagli anni ’80 in Europa il calcio
diventa prevalentemente televisivo: i tempi di gioco sono sempre più
caratterizzati dalla televisione, ciò che conta è l’immagine. Fino a giungere
al modello Sky, ostracizzato all’estremo dalle curve italiane.
Ma il neocalcio, così come
voi lo designate, ha un’accezione valoriale esclusivamente negativa? E come vi
ponete rispetto al deficit di democrazia che investe i processi di
modernizzazione del calcio nostrano?
Noi
contestiamo l’avversione al neocalcio in quanto questo rappresenta a nostro
modo una possibilità di democrazia. Ci sono diversi presidenti di serie A che
devono puntare tutto sul proprio portafoglio che però evidentemente non vale
quanto quello di Moratti dell’Inter, giusto per fare un esempio. Così i
giocatori migliori delle squadre di seconda fascia, che definiamo subalterne,
finiscono per essere ceduti alle grandi. Il problema è passare dalle premesse
del neocalcio a una democrazia reale. Il neocalcio punta a una distribuzione
equa delle risorse e infatti il modello che indichiamo è quello dell’Nba
statunitense dove sono state poste delle regole in maniera tale che anche chi
dispone di grandi capitali non li può spendere tutti o quasi per fare la
squadra che gli pare. In questo modo il campionato è molto più equilibrato. Allo
stesso modo se questo sistema venisse applicato anche in Italia assisteremmo
finalmente ad incontri più spettacolari perché imprevedibili e lo scudetto non
sarebbe più un affare riservato a tre soli club su venti. Ecco cosa vuole
offrire il neocalcio: qualcosa che ridisegni la staticità del nostro calcio. Il
neocalcio vuole proporre movimento. Mentre così com’è la nostra industria
calcistica sta perdendo competitività.
Lo scandalo di “calciopoli” ,
che pure sembrò essere da premessa per una riforma del mondo del calcio dalle
fondamenta, pare che non abbia contribuito affatto a dei miglioramenti verso
una democraticizzazione del movimento.
Con
“moggiopoli”, è meglio chiamarla così, non era cambiato tutto ma è cambiato
molto. A differenza della Juventus di Gianni Agnelli e Boniperti che disponeva
di grandi risorse, quella di Moggi e Giraudo doveva sopravvivere di ciò che
produceva. Ma allo stesso modo doveva vincere. Così la struttura criminale
architettata da Luciano Moggi serviva a tenere a distanza le milanesi che
potevano spendere di più. In parte si sono verificate forme di complicità col
Milan, mentre invece chi ne ha fatto le spese è stata l’Inter.
Gli ultras si fanno spesso
portatori di un messaggio di autenticità e di valori in un mondo, come quello
del calcio, che è sempre più industrializzato. Molti ragazzi delle curve si
battono in difesa delle loro maglie, pretendendo che gli sponsor e i partner
commerciali non ne modifichino le caratteristiche originali come quelle
cromatiche. Altri si battono per il ripristino della numerazione da 1 a 11.
Altri ancora vorrebbero la Coppa dei campioni vecchio stile e non l’attuale
Champions League. E a questi temi sono sensibili anche molti appassionati e
tifosi normali, non necessariamente di curva. Dinanzi a queste problematiche
quali sono le possibili soluzioni verso un calcio più a dimensione di tifoso?
Ritengo
che gli ultras potevano diventare un soggetto che lavorasse verso forme più
democratiche di calcio. Non esistono codici di comportamento e quindi è difficile
dire “cosa fare”. Bisogna capire però che il calcio è soprattutto emozione.
Pertanto ridiamo spazio alla fantasia, al disincanto e alla gioia. Sviluppiamo
il senso dell’identità, la parte più apprezzabile della filosofia ultras. E
cerchiamo di andare oltre. È necessario che il calcio cambi, altrimenti si
tiferà solo per cinque squadre negli anni a venire. Quindi il mio suggerimento
è preciso: manteniamo l’identità ma sviluppiamo coscienza critica.
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