giovedì 2 maggio 2013

E se con papa Francesco si riscoprisse (anche) il vero significato della laicità?



Luciano Lanna

Con il pontificato di papa Francesco molto sta cambiando e molto cambierà positivamente nella percezione pubblica dell’incontro con la fede cristiana. Jorge Mario Bergoglio si è sempre tenuto lontano dai toni da crociata di chi fa la difesa dei valori non negoziabili e dei temi di morale sessuale l’orizzonte esclusivo del magistero ecclesiale. E le sue esternazioni hanno già scardinato di fatto lo schieramento dialettico che s’era imposto – soprattutto sul piano mediatico – più o meno dopo l’elezione al soglio pontificio di papa Ratzinger. Se da un lato la Chiesa fuoriesce deliberatamente dall’immagine di “cittadella assediata” dal deserto relativista e necessitata ad allearsi con chi – pur da posizioni atee – propone la difesa della civiltà e una sorta di appello al "pensiero forte"; dall’altro lato si affievolirà progressivamente e si estinguerà una certa percezione della laicità che negli ultimi anni aveva stravolto il discorso pubblico. Si smetterà insomma di far coincidere la laicità con l’irreligiosità e, recuperando il senso realistico – oltretutto nato in ambito religioso – della parola finiranno di avere corso corrente tutta una serie di sillogismi diventati purtroppo egemoni e automatici, soprattutto in Italia. Essere autenticamente laici non significa infatti essere naturalmente schierati con chi propone l’aborto come una scelta obbligata e di libertà; così come non equivale a sostenere tout court la definizione giuridica del matrimonio e dell’adozione dei gay; allo stesso modo non implica la posizione di chi vorrebbe imporre quasi per decreto l’eutanasia; e, infine, non equivale affatto a quelle curiose intromissioni dei non credenti nella sfera religiosa, secondo cui la chiesa di Roma dovrebbe introdurre il sacerdozio femminile e altre amenità del genere. Tutte queste sono solo posizioni integraliste afferenti a una  “ideologia”, quella del cosiddetto postmodernismo, quella dei diritti isolati dalle responsabilità personali, dell’astrattezza giuridica a ogni costo, della negazione del legame sociale a favore di un’antropologia individualista e indifferentista.
Siamo infatti convinti che, archiviata l’equazione tra la laicitàe queste opzioni ideologiche, si riaprirà il libero corso al suo significato più autentico. Sul concetto di laicità – per essere politicamente precisi dovremmo forse parlare di “laicità delle istituzioni” (e “della politica” tout court) – in Italia d’altronde c’è da sempre molta confusione. Nell’ultimo decennio, poi, soprattutto dopo l’ondata (fortunatamente ormai in declino) delle mode teocon e teodem, s’è davvero finito per non farci capire più niente. Tanto da arrivare a spacciarci come normale e fisiologica – e addirittura qualificante uno dei piani dialettici del quadro politico – la presunta discriminante tralaici e credenti, quando in realtà la vera contrapposizione politica e di civiltà è quella, più profonda e trasversale, che si pone tra laici (siano essi credenti, facenti riferimento all’uno o l’altra confessione religiosa, oppure agnostici o anche atei) e integralisti, facciano questi ultimi riferimento a una ideologia oppure a una fede religiosa ma comunque concepita e praticata come assoluta ed esclusivista.
Oltretutto, l’abuso del termine “laico” in funzione di sinonimo sovrapponibile ad “anticlericale”, “antireligioso” o addirittura “ateo”, ha generato l’emersione e l’utilizzo del termine spregiativo di “laicista”, con un significato simile e opposto all’uso del termine clericale, per indicare persone che si autodefiniscono laiche ma che in realtà sono spesso piuttosto dei fanatici anticlericali, dei mangiapreti di stampo ottocentesco e fuori contesto. Sullo stesso piano di equivocità filosofica (e politica) l’uso del termine laico per indicare un generico atteggiamento agnosticheggiante o indifferenzialista nell’ambito dell’orizzonte sacrale e religioso. Anche tale accezione è semanticamente scorretta, in quanto laico ha certo significato di libero nel senso di “svincolato dall’autorità confessionale”, ma non inficia affatto la convinzione o anche la pratica di una particolare credenza religiosa, per cui in realtà si dovrebbero distinguere “laici credenti” da “laici non credenti”.


Concretamente il termine laicità indica la  separazione, storicamente avvenuta in Occidente (e solo nel corso nel Novecento anche in altre aree geopolitiche) con la nascita e l’affermarsi della sovranità statuale e con la consapevolezza teorica espressa da Niccolò Machiavelli, fra la sfera religiosa e la sfera politica. Da un punto di vista delle convenzioni accademiche, lo steso termine laicità è comunque usato in un’accezione politica e politologica solo e soltanto nelle lingue francese e italiana. Nella sua accezione più ampia è di origine greca, è stato variamente presente in ambito cristiano-medioevale  allorché indicava persone che non avevano preso gli ordini sacerdotali ma che si ponevano comunque all’interno della Chiesa, nei paesi anglosassoni viene sostituito dal termine di secolarizzazione, un concetto che forse indica senza equivoci il più generale processo didisincanto (nel senso weberiano) e di autonomidella sfera politica rispetto alle credenze religiose che ha coinciso con l’originaria affermazione della modernità. È un fatto oggettivo infatti che contrario della laicità sia, storicamente,  il confessionalismo, l’atteggiamento che possiamo definire anche clericalismo, integralismo o fondamentalismo, ovvero la pretesa di informare le leggi dello stato e tutta intera la sfera pubblica ai precetti che provengono da una precisa fonte, sia essa religiosa o ideologica poco importa, tentando di imporre a chiunque (spesso anche con l’intenzione di volergli fare del bene) determinati comportamenti, stili o condotte di vita.La laicità, insomma, è un metodo più che unsistema o una concezione organica, è un atteggiamento e una sensibilità piuttosto che un insieme di precetti o di ricette sovra-storiche pronte per l’uso. Tutto questo per ricordare che nel Novecento il richiamo alla laicità e il contrasto allo Stato etico (che pretendeva definire i comportamenti e le visione giuste cui avrebbero dovuto attenersi i singoli cittadini e le singole persone) sono spesso stati espressi da ambienti dichiaratamente e consapevolmente cattolici o cristiani e che, al contrario, posizioni integraliste e assolute sono state imposte quasi sempre da regimi agnostici o di chiaro stampo ideologico. Che poi nella cronaca politica italiana degli ultimi anni formazioni di vario orientamento – di centro, di centrodestra e di centrosinistra – abbiano pensato e tentato di rappresentare un presunto (e astratto) elettorato omogeneo dei credenti, trasformando cosiddette opzioni etiche sensibili in battaglie di principio, politiche e parlamentari, tutto ciò non inficia affatto la corretta interpretazione della laicità. Che, come abbiamo cercato di illustrare, è l’esatto opposto di una politica integralista, sia essa fondata o sul tentativo di rappresentare politicameente i credenti o su quello, opposto, di riesumare un anticlericalismo di tipo ottocentesco e vetero-massonico.


L’uso strumentale della fede – cristiano-cattolica nel nostro caso, ma anche musulmana o evangelico-protestante in altre aree geopolitiche – in funzione di battaglie politico-culturali o lo stesso riferimento alle radici religiose ridotto a slogan da parte di coloro che non sono affatto interessati alla libera espressione di queste radici ma solo a manifesti ideologici per giustificare scontri di civiltà (o magari banali carriere politiche) è però l’opposto di una visione laica della politica e della società, sia essa sostenuta da credenti oppure da agnostici. Lo attesta un cattolico doc come Vittorio Messori: “Mi trovo a mio agio – ha scritto l’intervistatore ufficiale di Wojtyla e Ratzinger – nella nostra open society, in questa società aperta, come la chiamava Karl Popper, questa società sempre più meticcia e sempre più complessa. Io amo la libertà annunciata da Cristo e dal suo Vangelo, ma che concepisco come una libertà da proporre e mai da imporre. So che non può esserci virtù senza la possibilità di optare per il peccato. Mi piace la vita come avventura, dove santi e mascalzoni si intersecano dove si confrontano bene e male. Amo le metropoli, le giungle d’asfalto ben più del controllo sociale del villaggio amo il ribollire delle grandi città, dove la storia si costruisce attraverso la trama infinita dei liberi rapporti umani”. Nient’altro, in queste parole, che una professione di fede nella laicità più propria e autentica.

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