Annalisa Terranova
So che è impopolare dirlo, ma a me interessa poco che il
nuovo presidente della Repubblica sia una donna. L’insistenza su questo aspetto
rivela un’indulgenza stucchevole verso la peggiore retorica italiana, quella
che guarda all’immagine e non alla sostanza. Le forti disparità di genere che
esistono nel nostro Paese vanno sanate con buone leggi e non con la bandierina
rosa issata sul Quirinale. Detto questo, se la scelta dovesse cadere su Emma
Bonino (ma è improbabile) va sottolineato che, al di là delle indubbie competenze
dell’esponente radicale, si tratta di un personaggio che rappresenta una
cultura e una storia politica minoritarie nel nostro Paese, un personaggio che
tra l’altro ha sempre detto di detestare (giustamente) i canoni delle quote
protette. Accenno poi solo velocemente al fatto che noi siamo un paese dove in
campagna elettorale si dibatte se sia giusto o meno da parte di un capo di
partito apostrofare una donna con l’espressione “Lei quante volte viene?”. E
tra chi derubrica la cosa a semplice scherzo e chi la fa diventare una tragedia
ancora non si è trovato il giusto equilibrio che dovrebbe esprimere una cultura
condivisa rispettosa delle donne e della loro dignità. Dubito che una donna al
Quirinale sanerebbe d’incanto questo genere di problema, che nasce dalla
stratificazione di mentalità e atteggiamenti culturali estremamente resistenti.
C’è poi un elemento da non sottovalutare. I presidenti
italiani, dal 1994 in poi, cioè dall’avvento della seconda Repubblica, si sono dimostrati
ostili e eccessivamente prudenti rispetto a quei cambiamenti che la politica
prometteva e che gli elettori si aspettavano. E con Napolitano, spiace dirlo,
le cose non sono andate meglio. Infatti
il capo dello Stato, nell’elogiare il compromesso storico del 1976, ha anche
sanzionato i “moralismi distruttivi” separando di netto etica e politica e
mostrando una profonda incomprensione per quella parte di società che proprio
dal 1994 (dopo Tangentopoli) chiede a gran voce che quel nesso si
ricostituisca. Così come Scalfaro fu ostile al parvenu Berlusconi, Napolitano è diffidente verso i grillini (unico
fenomeno veramente nuovo che la politica italiana ha espresso in un ventennio).
Ecco a me che il capo dello Stato sia un moderato non me ne
importa nulla, e neanche che sia di genere femminile. Mi basta che sappia
guardarsi intorno e comprendere che, come rivelava un interessante sondaggio
(Community Media Research) pubblicato qualche giorno fa da La Stampa, i cittadini chiedono alle nuove classi dirigente due
cose: visione strategica (35,3%) e dirittura morale (33,6%). Che i futuri
leader siano di destra o di sinistra non frega nulla a nessuno (il 58,9 lo
reputa irrilevante). Interessa di più che non facciano politica per arricchirsi,
e che sappiano guardare oltre il proprio orticello.
Infine l’augurio è che il prossimo capo dello Stato non
tratti la nostra Costituzione come la kaaba
da adorare in pellegrinaggio ma come una Carta che può e deve rispecchiare la
storicità dell’evoluzione di un popolo, come affermava Joseph de Maistre. Che
sia dunque un personaggio di rottura rispetto al ventennio di asfittica conservazione
che ha caratterizzato l’operato degli ultimi inquilini del Quirinale.
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