mercoledì 10 aprile 2013

Un presidente donna? Chissenefrega, basta che non sia un conservatore







Annalisa Terranova

So che è impopolare dirlo, ma a me interessa poco che il nuovo presidente della Repubblica sia una donna. L’insistenza su questo aspetto rivela un’indulgenza stucchevole verso la peggiore retorica italiana, quella che guarda all’immagine e non alla sostanza. Le forti disparità di genere che esistono nel nostro Paese vanno sanate con buone leggi e non con la bandierina rosa issata sul Quirinale. Detto questo, se la scelta dovesse cadere su Emma Bonino (ma è improbabile) va sottolineato che, al di là delle indubbie competenze dell’esponente radicale, si tratta di un personaggio che rappresenta una cultura e una storia politica minoritarie nel nostro Paese, un personaggio che tra l’altro ha sempre detto di detestare (giustamente) i canoni delle quote protette. Accenno poi solo velocemente al fatto che noi siamo un paese dove in campagna elettorale si dibatte se sia giusto o meno da parte di un capo di partito apostrofare una donna con l’espressione “Lei quante volte viene?”. E tra chi derubrica la cosa a semplice scherzo e chi la fa diventare una tragedia ancora non si è trovato il giusto equilibrio che dovrebbe esprimere una cultura condivisa rispettosa delle donne e della loro dignità. Dubito che una donna al Quirinale sanerebbe d’incanto questo genere di problema, che nasce dalla stratificazione di mentalità e atteggiamenti culturali estremamente resistenti.
C’è poi un elemento da non sottovalutare. I presidenti italiani, dal 1994 in poi, cioè dall’avvento della seconda Repubblica, si sono dimostrati ostili e eccessivamente prudenti rispetto a quei cambiamenti che la politica prometteva e che gli elettori si aspettavano. E con Napolitano, spiace dirlo, le cose  non sono andate meglio. Infatti il capo dello Stato, nell’elogiare il compromesso storico del 1976, ha anche sanzionato i “moralismi distruttivi” separando di netto etica e politica e mostrando una profonda incomprensione per quella parte di società che proprio dal 1994 (dopo Tangentopoli) chiede a gran voce che quel nesso si ricostituisca. Così come Scalfaro fu ostile al parvenu Berlusconi, Napolitano è diffidente verso i grillini (unico fenomeno veramente nuovo che la politica italiana ha espresso in un ventennio).
Ecco a me che il capo dello Stato sia un moderato non me ne importa nulla, e neanche che sia di genere femminile. Mi basta che sappia guardarsi intorno e comprendere che, come rivelava un interessante sondaggio (Community Media Research) pubblicato qualche giorno fa da La Stampa, i cittadini chiedono alle nuove classi dirigente due cose: visione strategica (35,3%) e dirittura morale (33,6%). Che i futuri leader siano di destra o di sinistra non frega nulla a nessuno (il 58,9 lo reputa irrilevante). Interessa di più che non facciano politica per arricchirsi, e che sappiano guardare oltre il proprio orticello.
Infine l’augurio è che il prossimo capo dello Stato non tratti la nostra Costituzione come la kaaba da adorare in pellegrinaggio ma come una Carta che può e deve rispecchiare la storicità dell’evoluzione di un popolo, come affermava Joseph de Maistre. Che sia dunque un personaggio di rottura rispetto al ventennio di asfittica conservazione che ha caratterizzato l’operato degli ultimi inquilini del Quirinale.  

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