Giovanni Tarantino
Una dichiarazione d’amore in pieno
stile, una sfilza di nomi che accomuna immaginari diversi tra loro: un pantheon
votato alla libertà. «Amo Hugo Pratt, Wolinsky e Pirichard / amo Parker e
Johnny Hart, amo Mell Lazarus, Smythe, Pericoli e Pirella, amo Chiappori,
Toppi, Battaglia/ amo Quino, amo Mordillo, amo Fremura e Cheval, Sangio,
Schultz, Bretecher, …Breccia & Lovecraft/ … Maurice Barres, accademico /
Andrè Breton, Tatlin e il costruttivismo, Dino Colalongo/ Lacerba e Giovanni
Papini, amo Georges Mathieu / amo Ezra Pound, fascista / amo Richter e Georges
Ribemont, Dessaignes e Balla, Boccioni/ e Segantini, Severini, Carrà e
Marinetti Filippo Tommaso, fascisti / e Sironi / li amo». A firmare questa sorprendente
poesia era - oltre trent’anni fa - il geniale Andrea Pazienza, un artista e un
intellettuale di cui tra poco si parlerà dato che a giugno ricorre il
venticinquennale della sua prematura scomparsa.
Ma come mai in quella poesia Pazienza
dichiarava il suo “amore” per quei nomi, così elencati? Certo che un senso
c’era, specie se la riflessione tiene conto del periodo in cui questa poesia,
intitolata “Amo”, è stata scritta. Era il 1977, anno in cui il superamento
delle vecchie contrapposizioni politiche era solo agli albori e in alcune
frange militanti resistevano ancora steccati ideologici che non riconoscevano a
pieno titolo i cosiddetti avversari. Che poi, nel decennio successivo, negli
anni Ottanta, si scopriranno amici o innamorati tra loro, ascoltatori degli
stessi gruppi musicali piuttosto che tifosi delle stesse squadre di calcio,
interessati alle stesse letture, per non dire che su problematiche concrete,
anche in politica, assumeranno le stesse trasversali posizioni. Ma tutto il
retaggio culturale degli anni Settanta, con i suoi morti e con i suoi
sopravvissuti, con i suoi odi e con le sue passioni, con la sua energia anche
violenta, viene meno dinnanzi al genio creativo di Andrea Pazienza, di cui ricorrono
in questi giorni i vent’anni dalla prematura scomparsa. L’autore di quella
poesia, intitolata Amo, che in maniera assolutamente non convenzionale elencava
tra i suoi ispiratori e uno dopo l’altro il fascista Ezra Pound, l’ex
adolescente della Decima Mas Hugo Pratt, il socialista nazionale Barrés, i
futuristi (e fascisti) Balla, Carrà e Marinetti.
Un uomo, uno spirito libero, Andrea
Pazienza, che tuttavia è sempre rimasto fortemente legato alle sue radici. Alla
sua maniera «del resto - scriveva di sé stesso in terza persona ne Il Libro rosso del Male - Andrea
Pazienza è nato a San Menaio, Foggia, ed è praticamente pugliese, pur vivendo
tra Bologna e New York». Solo una delle tante autobiografie da lui stesso
scritte e non veritiere.
Nato - realmente - a San Benedetto del
Tronto il 23 maggio del ’56, Pazienza si trasferì per motivi di studio dapprima
a Pescara, dove conobbe Tanino Liberatore, anch’egli autore di fumetti e
“padre” di Ranxerox, e poi a Bologna, sua città adottiva, dove si iscrisse al
Dams nel ’74. Le atmosfere di quei giorni bolognesi fanno da sfondo a Le straordinarie
avventure di Pentothal, primo lavoro di Pazienza pubblicato su Alter Alter, dove non venivano
risparmiate critiche dissacratorie nei confronti del sindaco del Pci Renato
Zangheri, che proprio in quei giorni si rendeva protagonista di una repressione
violenta nei confronti dell’ala creativa del movimento del ’77, ricorrendo
all’intervento dei blindati.
Tra i giovani di quel periodo si
avvertiva un’empatia sempre maggiore nei confronti dell’autore non conformista
per vocazione che era Paz e in molti si cominciano a identificare nelle sue
storie e nei suoi personaggi. Era l’Italia dei giovani che abbandonavano le
ideologie e davano vita ad una delle stagioni più effervescenti e
anticonformistiche, e straordinariamente creative, tra situazionismo, fumetti e
radio libere: uno dei maggiori fenomeni di portata generazionale che incideva a
sinistra quanto a destra.
Era quella l’Italia di Andrea
Pazienza: artista poliedrico prima ancora che semplice fumettista non ha mai
posto limiti alla sua sconfinata vena creativa: ha creato anche manifesti
cinematografici tra cui quello per Lontano
da dove, regia di Stefania Casini e Francesca Marciano (1983), e quello
della Città delle donne di Fellini
nel 1980, videoclips come Milano e
Vincenzo di Alberto Fortis, copertine di dischi bellissime come quella di Robinson di Roberto Vecchioni e diverse
campagne pubblicitarie.
Nel 1983 il nome di Andrea Pazienza
era già noto al grande pubblico e contribuisce alla rinascita della vita
italiana del dopo anni di piombo e alla voglia di molti ragazzi di vivere il
proprio tempo liberamente, appassionandosi a nuove suggestioni, come quelle
fornite dai fumetti, dal cinema o dalla musica, dimenticando le stagioni
violente. Andrea Pazienza diventa quindi, a tutti gli effetti, un’icona
italiana. Se in questi anni Pazienza incontra una grande fama grazie al suo
lavoro, contemporaneamente ne conosce anche i lati oscuri, che progressivamente
lo distruggeranno: le droghe, in particolar modo l'eroina, fanno ben presto
capolino nella sua vita, alternando periodi in cui egli riesce a distaccarsene,
a periodi in cui non riesce a farne a meno. Già nell’84 lui stesso,
intervistato da Red Ronnie, si dichiara, pur scherzosamente, “tossico”, ma il
tunnel che lo condurrà alla morte era già stato imboccato.
Nel 1987 collabora alla sceneggiatura
della pellicola Il piccolo diavolo di
Roberto Benigni, che non accredita il contributo di Pazienza, ma gli dedicherà
l'intero film uscito postumo. La notte del 16 giugno 1988 – venticinque anni fa
- si spegne improvvisamente a Montepulciano. Aveva solo 32 anni. Le prime voci
parleranno di un ritorno all’eroina, da cui era riuscito ad allontanarsi, o di
un suicidio indotto da overdose. Proprio questo tema era stato affrontato nella
storia Pompeo del 1985, in cui si parlava senza false ipocrisie delle
problematiche legate all’uso delle droghe pesanti.
L’Italia perdeva una delle sue icone
più estroverse, dotate di uno spirito libero e libertario, un vero
non-conformista. Non allineato e autoironico, disse di sé, già nell’81: «Sono
il più bravo disegnatore vivente. Amo gli animali ma non sopporto accudirli.
Morirò il 6 gennaio 1984». Si sbagliò di quattro anni. Nella memoria di chi ha
amato la sua arte è rimasto comunque immortale.
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