Giovanni Tarantino
4 aprile 1978,
esattamente trentacinque anni fa: la voce di una giovane presentatrice, Maria
Giovanna Elmi, dà via a una rivoluzione. Trentacinque anni fa faceva infatti la
sua comparsa nelle televisioni italiane il personaggio di Goldrake, il cartone
animato che avrebbe poi cambiato gusti e sogni di un’intera generazione di
bambini. Poco prima delle 18,45 di quel giorno l’annunciatrice presentava la
prima messa in onda di Atlas Ufo Robot,
nell’ambito del contenitore televisivo “Buonasera con...”. Nessuno sapeva di
cosa si trattasse esattamente: si vociferava di una serie animata molto amata
all’estero, sicuramente differente dalle varie serie che popolavano la tv di
allora, come quelle di Disney, Hanna & Barbera o della tradizionale Warner
Bros. E tutto cominciò con un errore: il titolo. Il robot, che in Giappone era
chiamato Grendizer, nella versione europea divenne Goldrake, nome facile da
memorizzare, anche se per i primissimi tempi qualcuno fece fatica scambiandolo
per Mandrake, altro genere, altra saga rispetto al robot. Altri ancora, ovvero
i fratelli maggiori a loro volta bambini negli anni ’60, sorridevano ricordando
un fumetto erotico dal titolo simile.
Così, il titolo
originale con cui Goldrake andò in onda fu Atlas
Ufo Robot. Dove sta l’errore? La serie giapponese fu acquistata in Francia,
dove il manuale di istruzioni di un programma tv si chiama tecnicamente Atlas.
Questo venne ignorato dai funzionari Rai che pensarono che quella parola,
Atlas, facesse parte del titolo Ufo Robot. Introdotto da una sigla divenuta poi
mitica composta da musicisti come Luigi Albertelli, Vince Tempera e Ares
Tavolazzi (gli ultimi due poi divenuti componenti fissi della band che supporta
Francesco Guccini), Goldrake divenne la liturgia di ogni fine pomeriggio:
«Mangia libri di cibernetica/ insalate di matematica/ e a giocar su marte va/
Lui respira nell’aria cosmica/ è un miracolo di elettronica/ ma un cuore umano
ha/ Ma chi è?, Ma chi è?/ Ufo Robot Ufo Robot!». La saga, assai semplice, e
tratta da un fumetto del genio Go Nagai, autore tra gli altri di Mazinga Z e
Grande Mazinger cui Goldrake è in parte collegato, nonché di altre storie come
Jeeg Robot d’acciaio, vedeva protagonista il coraggioso principe Actarus, dai
capelli romanticamente scombinati, nato sulla lontana stella Fleed, combattere
il malefico Re Vega, distruttore di mondi intenzionato a dominare su tutto
l’universo con fare tirannico. Actarus, fuggito a bordo del robot da battaglia
Goldrake, si era rifugiato sulla Terra e aiutava quindi i terrestri a resistere
contro le mire espansionistiche dei veghiani.
Il tutto condito di
guerre spaziali, combattimenti contro alieni spietati, tempeste d’acciaio e
dolori psicologici che tuttavia rappresentavano un’evasione sana che precedeva
la triste realtà dei telegiornali di fine anni ’70, quasi sempre testimoni di
realtà allora crudelmente violente. Era infatti quello l’anno delle Brigate
Rosse e del sequestro Moro, della strage di Acca Larenzia, delle vittime della
follia estremista e delle bombe. Ma vi è di più: quel cartone animato insieme
agli altri già citati, gli anime per dirla alla giapponese, rese popolare in
Italia la cultura tradizionale nipponica: vi era una riproduzione delle
armature dei Samurai in quelle futuristiche dei robot, l’uso delle armi era
sempre accompagnato da un rituale grido che serviva a liberare il Ki , la
potenza, le posture dei personaggi erano quelle tradizionali dell’iconografia
orientale così come i mostri erano raffigurazioni di demoni della tradizione
giapponese.
Immediatamente, per
la Goldrake generation di quei
ragazzi nati tra il 1965 e il 1975, impazzò la Goldrake mania: si canticchiava
la sigla per strada, ci si vestiva da Goldrake nel periodo di Carnevale, e si
passavano intere giornate, a scuola, ad esaltare le gesta di Actarus, il
personaggio che nella fiction pilota il robot, citando le appropriate
esclamazioni bellico-futuristiche: «Alabarda spaziale!», «Maglio perforante»,
«Lame rotanti». I più grandi, quelli che avevano sorriso del nome Goldrake che
ricordava loro la testata di un precedente fumetto erotico di Renzo Barbieri,
erano invece impegnati in politica, con tutto quello che questo poteva
significare in quel periodo.
Guardare un cartone
animato come Goldrake era considerato minimo come politicamente scorretto.
Sempre che al grido di «Alabarda spaziale» qualche bambino non si fosse beccato
del “fascista”.
Infatti ci fu anche
chi volle invece inimicarsi sul serio i cartoon degli Ufo Robot, come 620 famiglie di Imola che pensarono bene di
presentare una protesta ufficiale al governo, ritenendo quelle immagini
altamente lesive nei confronti dell’educazione dei minori nonché estremamente
violente e fagocitanti all’odio. Addirittura Silverio Corvisieri, ex di
Avanguardia Operaia, ex redattore dell’Unità
e poi, all’epoca dei fatti, deputato eletto come indipendente di sinistra,
presentò una specifica interpellanza parlamentare. E lo stesso Corvisieri su Repubblica fu autore di un intervento
molto polemico contro Goldrake: «Milioni e milioni di bambini italiani in
queste settimane – annotava allarmato sul quotidiano diretto da Eugenio
Scalfari – sono letteralmente rapiti dall’entusiasmo per Goldrake, il grande
protagonista televisivo che è insieme uomo, moderno samurai e ultrapotente
macchina da guerra spaziale». Nell’articolo, intitolato “Un ministero per Goldrake”,
Corvisieri – all’epoca membro della Commissione di vigilanza Rai – segnalava la
forte valenza politica di quei cartoni animati, in grado secondo lui di
veicolare un messaggio sicuramente più incisivo delle stesse trasmissioni
politico-istituzionali: «Quando ci si renderà conto, soprattutto a sinistra –
ammoniva il parlamentare – che i pezzetti di tribuna politica peraltro
necessari, e polivalenti documenti sugli indirizzi generali non scalfiscono
minimamente la realtà della Rai?». Una televisione di Stato che nonostante la
riforma del ’75 era, sempre a giudizio del preoccupato Corvisieri,
sostanzialmente caratterizzata da trasmissioni “poco educative” come «Furia,
Zorro, Goldrake, o Portobello, Scommettiamo e Domenica In». Quello che secondo
alcuni era un incentivo all’odio e alla violenza in realtà era un rassicurante
messaggio che presagiva la finale supremazia del bene sul male. Che il bene
fosse destinato sempre a vincere del resto lo annunciava anche la sigla di
chiusura, realizzata da Albertelli, Tempera e Bandini: «Và, distruggi il male,
và!/ Mille armi tu hai non arrenderti mai, perché il bene tu sei, sei con
noi!». Ma anche sulla sigla l’ex avanguardia operaia Corvisieri ebbe a ridire,
nella sua personalissima battaglia contro Goldrake, criticando il fatto che i
bambini ne conoscessero a memoria il testo:«Lo conoscono e lo cantano, spesso
in coro nelle aule scolastiche, tutti o quasi i bambini dai quattro ai dieci
anni. Ho visto un ragazzino cantarlo con grande fierezza e quasi con le lacrime
agli occhi: “Si trasforma in un razzo missile/ con circuiti di mille valvole/
tra le stelle sprinta e va…”». Ironia della sorte: anni dopo, un esperto di
musica come Gegè Telesforo indicò quella sigla come possibile colonna sonora
per la destra degli anni duemila.
Di fronte all’esplosione
del fenomeno Corvisieri invitava i genitori “democratici” a prendere
provvedimenti contro la “tentazione giapponese”: l’appello attecchì soprattutto
tra i genitori riuniti in associazioni laiche, cattolico-solidariste, democratiche
e antifasciste, tipiche voci di una sinistra bacchettona che proseguì il
dibattito anche sul mensile Alter Alter denunciando Goldrake come portatore di
un pericoloso messaggio subliminale che aveva come scopo quello di «abbassare
il livello critico del fruitore e far acquisire miti e modelli di comportamento
propri del sistema» considerati discutibili.
La critica nei
confronti di Goldrake durò a lungo, l’eroe dei bambini fu vittima di processi
per direttissima in televisione da parte di questo o di quell’esperto di
sociologia o di pedagogia. Si ricorda che a quei tempi un solitario e non
conformista Gianni Rodari prese le difese di Actarus e compagni con un articolo
intitolato "Dalla parte di Goldrake" comparso su Rinascita, dove la creatura di Go Nagai veniva definito come un
“Ercole moderno”.
In nome dei valori
tradizionali, comunque, sarà soprattutto da destra che arriveranno le arringhe
in difesa di Goldrake.
Qualche tempo dopo
anche lo storico Franco Cardini si lanciò in un’appassionata arringa - «E io
difendo Mazinga» - in favore dei cartoni animati nipponici. E nel maggio del
1980 sul quindicinale Linea un
articolo intitolato «In difesa di Goldrake» finirà in prima pagina, in difesa
del diritto dei ragazzi a sognare con quegli eroi del Sol Levante. Nel volgere
di breve tempo Goldrake surclassò l’antagonista “per femminucce” Heidi. «Per la
“generazione Goldrake” le battaglie di Actarus furono una filosofiadi vita.
Rappresentavano – ha commentato su La
Stampa Bruno Ventavoli – con immagini semplici il coraggio, la
perseveranza, la giustizia, e pure un tocco d’amore per la ninfetta Venusia. La
realtà era piena dicattivi maestri che insegnavano cose brutte. Quel principe
dal volto bambino era un piccolo Davide costretto ad affrontare e battere minacciosi
Golia».
Arrivarono anche le
t-shirt, i pupazzi gonfiabili, le già citate maschere da carnevale, i libri, i
dischi che contagiarono la generazione dei cosiddetti “paninari”, quelli che
crescendo a Milano si riuniranno nei pressi del bar “il Panino”, o a Roma in
altri fast-food e che verranno soprannominati anche “fasci-bar”. Quei ragazzi
descritti nella canzone Gli anni di Max Pezzali cresciuti proprio guardando Goldrake, il cartoon che ha
rappresentato una delle vie della riscoperta del mito da parte degli
adolescenti anni ’80. Simbolo di un’intera generazione che trentacinque anni
dopo è rimasta fedele a quell’icona.
Nessun commento:
Posta un commento