Nella ricorrenza della morte di Tony
Augello, scomparso il 19 aprile di tredici anni fa, Segnavia propone un
interessante articolo a sua firma, sul tema della memoria e dell’identità,
scritto nel 1994 a ridosso del 25 aprile, la prima volta che la ricorrenza
venne celebrata sotto un governo di centrodestra. L’articolo è tratto dal libro
“Una vita da ribelle. Scritti e discorsi in camicia nera” (Settimo Sigillo,
2001)
Tony Augello
1970. L’Italia arriva seconda ai
mondiali di calcio messicani. Nelle feste – più in casa che in discoteca – si
balla al ritmo lento di una canzone malinconica, “Monia”: molte fanciulle si
ritroveranno battezzate Monia da genitori d’epoca ignorando il perché. Da sei
mesi, ginnasiale quattordicenne, ho aderito alla Giovane Italia, l’organizzazione
giovanile del Msi, e dichiaro a chiunque mi capiti a tiro i miei granitici
convincimenti neofascisti.
Alle 8,30 della mattina del 25
aprile sono, con inusitata puntualità, sotto il liceo Orazio Flacco di Bari che
frequento e sino alle 12,30 insceno il mio sit in di personalissima protesta
contro l’ignobile festività.La ragazzina che mi è accanto finge di condividere
con dolce ipocrisia il profluvio di argomentazioni che le riverso addosso: il
fascismo terza via tra comunismo e capitalismo, la guerra del sangue contro l’oro,
il tradimento del re, il legittimo governo della Repubblica Sociale, i pochi
banditi comunisti al soldo degli invasori angloamericani, l’assassinio di
Mussollini.
La mia cultura politica è di estrema
approssimazione, ho cominciato a leggere Evola dal “Cammino del Cinabro”, la
sua ultima opera riepilogativa di un complesso percorso, che è un po’ come
infilarsi le scarpe prima delle calze, ma l’esposizione è appassionata e
soprattutto la mia compagna di classe sta con me e beve le mie parole come
passi del Vangelo. Passa un motorino con due “sovversivi” del mio liceo che mi
salutano astiosi con pugno chiuso. Rispondo dalla mia gradinata con un
impeccabile saluto romano. Ci odiamo con l’accanimento con cui si riescono a
odiare solo gli adolescenti…
1994. E’ trascorso – me ne accorgo
con inquietudine – quasi un quarto di secolo. Alla passione politica che è
rimasta intatta e bruciante come allora, si sommano la compassione per quanto è
avvenuto tra i ragazzi di quel tempo e la comprensione delle altrui ragioni.
Mentre mi faccio la barba scopro stupito come il mio profilo non abbia
acquisito nulla di governativo nelle ultime settimane ma rimanga identico a
quello del bastian contrario che sono sempre stato. Certo capisco i motivi
della stizza della sinistra sconfitta. Capisco anche la strumentalizzazione un
po’ grossolana di questo 25 aprile, vigilia del primo governo a partecipazione
missina della storia patria. Non potrei non capire dopo una vita di sconfitte.
Non mi scandalizza affatto il tentativo di enfatizzare la data, le
manifestazioni, la stanca liturgia.
Ho un'unica preoccupazione che è
quella del riaccendersi dell’odio tra i giovani, di quell’odio superato con
tanta fatica dopo la tragica caricatura di guerra civile strisciante che ho
vissuto, cimentandomi anch’io in giochi di mani e di villani, per tutti gli
anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, di quell’odio che ha insanguinato le
strade, spezzato esistenze di ragazzi singolarmente simili, da un versante e
dall’altro, per entusiasmo e purezza d’intenti, di quell’odio che è servito a
cementare sul sangue di quei ragazzi il sistema di potere democristiano e la
sua consociazione con il Pci-Pds.
Non voglio sfuggire il tema, la
domanda che mi proponeva in un dibattito quel simpatico provocatore del collega
Carmine Fotia: sei ancora fascista? Ma quanto sei fascista? Credo che il processo
di revisione storica del fascismo intrapreso da Renzo De Felice non possa
essere cancellato dalla miseria della cronaca politica. Credo che la seconda
guerra mondiale sia stata l’ultimo e più sanguinoso capitolo di quella interminabile
guerra civile europea iniziato con le guerre di religione, temperato dai
conflitti dinastici, esasperato negli ultimi due secoli dall’esplodere dei
nazionalismi.
Credo che gli antifascisti veri –
una sparuta minoranza durante il Ventennio – meritino particolare rispetto a
cominciare da quella lucida intelligenza che corrisponde al nome di Antonio
Gramsci. Come rispetto meritano quelle due più consistenti minoranze che
combatterono la guerra civile italiana tra il ’43 e il ’45 mentre la
maggioranza furba e un po’ cialtrona del nostro popolo stava alla finestra, in
attesa di correre in soccorso del vincitore.
Credo all’attualità e alla giustezza
profonda di alcune spinte politiche e culturali che hanno animato il fascismo:
la ricerca del ruolo centrale del nostro Paese nella vita del Mediterraneo; la
spinta alla modernizzazione dello Stato; il sostegno alla nazionalizzazione delle
masse o meglio alla difesa dei soggetti più deboli, alla giustizia sociale, a
raffrenare gli eccessi spietati del liberalcapitalismo in tutte le sue forme. Non
condivido e condanno nel fascismo i limiti posti alla libertà d’espressione, al
pluralismo, al dissenso, più vastamente alle libertà individuali. E ritengo un
grave errore le leggi razziali del 1938.
Quanto sono fascista? Mi pare
difficile individuare l’apparecchio per misurarlo. So per certo che oggi credo
fermamente nel diritto di manifestare l’esatto contrario delle mie opinioni, di
divulgare ogni tipo di pensiero e cultura politici e sono pronto a battermi per
tutelare questi diritti di quelli che reputo miei avversari non nemici. Spero
solo che nessuno intenda riaprire la stagione dell’odio.
Che grande che eri, Tony nostro! Ti mando un bacio lassù!
RispondiEliminaOnorato e fortunato di esserti stato vicino per una parte del tuo breve cammino terreno. A rivederci lassù, spero.
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