Francesco Pullia
I vivisettori, o sperimentatori che dir si voglia, con la sponda
politica dei vari Ignazio Marino e di qualche, per fortuna ex, parlamentare
radicale rivendicano il diritto di sacrificare ignobilmente animali sull’altare
della non-scienza. Sostengono, poverini, che l'iniziativa nonviolenta dei
cinque attivisti animalisti che il 20 aprile scorso sono riusciti a liberare
centinaia di ratti e conigli (“mantenuti – ma pensa un po’ – con la massima
cura") dallo stabulario della Facoltà di Farmacologia dell’Università
degli Studi di Milano abbia procurato "un danno di centinaia di migliaia
di euro" mandando in fumo “ricerche” (le chiamano così) "finanziate
da enti pubblici ma anche da fondazioni onlus” (Telethon, AIRC, AISM, ANLAIDS,
ecc.), "approvate dagli uffici competenti del ministero della Ricerca,
condotte secondo tutte le norme nazionali e internazionali sul trattamento
degli animali da esperimento" (leggasi cioè dettate, imposte, dalla
potente lobby delle multinazionali chimiche e farmaceutiche e dai baroni
universitari). Peccato che non dicano che il 92% dei farmaci che supera le
prove sugli animali viene successivamente scartato quando i prodotti sono
clinicamente testati sull’uomo (Food and Drug Administration, USA) e che in
molti casi le ditte sono state costrette a ritirare dal commercio i loro
farmaci in seguito alla segnalazione di episodi di grave tossicità se non
addirittura di decessi (Van Meer PJ et al. “The ability of animal studies to
detect serious post marketing adverse events is limited”). Sulla fallacia della
sperimentazione animale e sulla maggiore affidabilità fornita dai nuovi metodi
di ricerca è possibile leggere rapporti di organismi prestigiosi come
l’Accademia delle scienze statunitense o saggi pubblicati da autorevoli riviste
come Nature, Science, British Medical Journal, Scientific American. Per non
parlare delle relazioni di scienziati come Thomas Hartung, o Claude Reiss,
direttore di ricerca del CNRS di Parigi. Il rapporto della citata Accademia
delle scienze statunitense, intitolato “Crolla il valore scientifico del topo
come modello per alcune malattie letali nell’uomo” e riportato l’11 febbraio
dal New York Times dimostra, ad esempio, chiaramente che il topo è un modello
fuorviante per almeno tre tipi di patologie mortali: sepsi (infezione
dell’intero organismo dovuta all'invasione di tessuti, fluidi o cavità corporee
normalmente sterili da parte di microrganismi patogeni e principale causa di
morte nelle unità di terapia intensiva), traumi e ustioni (ma esistono forti
dubbi anche per le patologie che riguardano il sistema immunitario, inclusi
cancro e disturbi cardiaci). Ciò aiuta a comprendere perché siano risultati
inefficaci circa 150 farmaci testati (con enorme dispendio di denaro e di vite
di animali) su topi. Già nel 2004 il British
Medical Journal aveva pubblicato un articolo che spiegava come nel caso
della sclerosi multipla le sperimentazioni sui topi avevano portato del tutto
fuori strada. Quattro anni dopo, la prestigiosa rivista Nature (2008) ha ospitato un saggio di Jim Schnabel intitolato “Neuroscienze,
modello standard: i quesiti sollevati dall’uso dei topi SLA hanno causato un
vasto ripensamento sull’utilizzo del modello murino per le malattie
neurodegenerative”. Le tante sperimentazioni fatte sui topi non sono state di
alcuna utilità e persino la loro modifica genetica non ha ottenuto il risultato
desiderato. La visione meccanicista che vede la possibilità di rendere la cavia
“più somigliante all’uomo” con il trasferimento di qualche gene si basa,
infatti, su una visione errata della genetica. Una migliore utilizzazione delle
informazioni e dei dati che sconfessano la sperimentazione animale avrebbe
giovato a risparmiare vite e investimenti di assoluta inutilità per i
cittadini. Gli animali utilizzati come cavie sono tenuti perennemente in
gabbia, in uno stato di continuo terrore. Sono manipolati geneticamente in modo
da farli nascere con più o meno menomazioni, sottoposti a iniezioni o a
inalazioni di sostanze chimiche, fatti ammalare dei mali peggiori. Soffrono in
continuazione e infine vengono uccisi. Ogni anno 12 milioni di animali vengono
utilizzati nei laboratori di ricerca di tutta Europa non solo per la
farmaceutica o la chimica ma anche per la cosmetica e persino per l'industria
bellica. Solo nel nostro paese nel triennio 2007-2009 (dati pubblicati sulla
G.U. n.53 del 3 marzo 2010 ai sensi del decreto legislativo 116/92) sono stati
2.603.671 gli animali uccisi per “fini sperimentali”, un numero ancora troppo
alto, considerato sia il quadro scientifico e legislativo europeo che prevede
la promozione dei metodi alternativi alla sperimentazione animale sia la netta
contrarietà dell’opinione pubblica alla vivisezione, ma anche, purtroppo,
fortemente sottostimato visto che non rientrano nelle statistiche invertebrati,
embrioni, feti e animali utilizzati già soppressi. Le regioni italiane con il
maggior numero di procedure autorizzate in deroga sono state il Lazio, l’Emilia
Romagna, la Toscana, la Lombardia e il Veneto. Soltanto in Emilia Romagna sono
stati eseguiti 60 esperimenti. In Lombardia risultano 136 stabilimenti
autorizzati. In Italia sono, in tutto, 609 i laboratori che portano avanti la
ricerca basata sulla sperimentazione sugli animali. I più tartassati continuano
ad essere topi (1648314) e ratti (682925), seguiti da uccelli (97248), altri
roditori e conigli (73362) e pesci (59881), tutti largamente impiegati a causa
del loro basso costo e perché facilmente maneggiabili.In aumento anche il
ricorso alle scimmie (sia ceboidea che cercopothecoidea) nonostante le restrizioni
poste dal decreto legislativo in vigore. Primati non umani, come i cani, sono,
poi, utilizzati per esperimenti invasivi, che comportano alti e prolungati
livelli di dolore, riguardanti cancro e malattie nervose e mentali. Eppure non
c’è bisogno di essere luminari della scienza per sapere che ogni specie animale
è unica per caratteristiche bio-chimiche, morfologia e fisiologia, patrimonio
genetico, reazioni a virus, batteri, sostanze. Pertanto non può esistere una
specie che possa essere considerata modello sperimentale per un'altra. Gli
“animali da laboratorio” spesso frutto di selezioni e manipolazioni genetiche,
differiscono perfino dai loro simili in libertà. E anche le malattie indotte a
fini sperimentali sono diverse dalle patologie che si manifestano naturalmente.
Affermare, inoltre, come in malafede si vorrebbe far credere, che ci sia
differenza tra vivisezione e ricerca di base volta alla scoperta di terapie per
malattie ancora incurabili e gravemente invalidanti che affliggono la nostra società
è falso e ignobile. La realtà è la stessa ed è tragica sia per gli animali non
umani che per gli umani. Per dire no a questa vergogna e affermare una nuovo
modello di ricerca è importante partecipare domani, domenica 28, alla manifestazione
nazionale indetta a Roma da Animal Amnesty e dal Coordinamento antispecista.
L’appuntamento è alle 14 in piazza della Repubblica.
“Benché più volte si sia dimostrato scientificamente che il modello animale non
sia predittivo per gli umani – ha affermato Candida Nastrucci, biologo
molecolare e biochimico clinico formatasi alla University of Oxford e docente
all’Università di Tor Vergata – viene ancora usato e finanziato, mentre per la
ricerca sulle alternative sostitutive i fondi in Italia sono inconsistenti, né
la legge ne predispone. Negli USA sono stati di recente stanziati due miliardi
di dollari per il progetto ToxCast che ricerca modelli cellulari più predittivi
e rapidi nella valutazione delle proprietà tossicologiche sull’uomo, visto che
i modelli animali attualmente in uso si sono rivelati inefficaci. Da noi,
invece, i metodi di ricerca avanzati per sostituire l’uso di animali non
vengono nemmeno insegnati nei corsi di laurea.”Il prossimo 10 dicembre, intanto, saranno processati i tredici
militanti animalisti che il 28 aprile dello scorso anno, al termine della
manifestazione nazionale svoltasi a Montichiari (BS) contro la vivisezione e il
lager Green Hill, riuscirono a fare breccia nelle recinzioni liberando una
trentina di cani beagle. Caduta per tutti l'accusa di resistenza a pubblico
ufficiale, i tredici restano, a vario titolo, imputati di reati che vanno dalla
rapina, al furto, al danneggiamento. Qualche mese dopo il gesto di
disobbedienza attuato dagli attivisti animalisti, precisamente nel luglio del
2012, grazie a quell’azione e alle denunce di associazioni animaliste come la
Lav, scattarono ispezioni e indagini da parte della magistratura per
maltrattamento ed uccisione di animali commesse in quel vero e proprio lager dei
nostri giorni (cinque ettari di terreno e quattro capannoni) di proprietà della
multinazionale Marshall.
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