sabato 20 aprile 2013

Con il Pd muore l'ultimo dei partiti. Ma è il funerale della politica




Annalisa Terranova

Attenzione: la morte del Pd non c’è stata ieri, con il segretario che getta la spugna dinanzi alle lobby interne, grida al tradimento e se ne va. C’è stata con la diretta streaming dell’incontro con i Cinquestelle. Pochi minuti in cui è andato in scena il pietoso spettacolo del partito tradizionale che si dissolve e della democrazia di sorveglianza che avanza. Perché quello di Grillo non è un partito personale come è stato scritto. L’ex comico è solo il rappresentante momentaneo di ciò che i sociologi chiamano “democrazia della sfiducia organizzata” il cui fine è dare voce al popolo-controllore, al popolo-giudice, al popolo-sorvegliante (si veda, sul tema, il bel saggio di Pierre Rosanvallon, Controdemocrazia, Castelvecchi). Ma torniamo a Bersani: dunque il partito-apparato se ne va in fumo con la complicità dello streaming, il partito decisore si dissolve nel confronto estenuante, il partito che dovrebbe puntare all’egemonia si piega al giudizio degli infanti del Parlamento. E solo dopo, solo dopo che il re è apparso nudo e in qualche modo simbolicamente ghigliottinato (e per re ovviamente non si intende Bersani ma una certa visione della politica), parte l’assalto di Matteo Renzi, cominciano le rivendicazioni di D’Alema, le cinquanta cartelle di Fabrizio Barca (uno che neanche aveva la tessera) sui destini del partito, i malumori ribollenti degli ex popolari. Quello è il passaggio dalla politica che legge La psicologie delle folle di Le Bon e L’Arte della guerra di Sun Zu alla politica che si perde nei mille rivoli dei tweet che diventano livoroso cinguettìo, orgia di disappunto, dissacrazione, veleno, resistenza, botta e risposta, paranza del giornalismo vip. E pensare che solo vent’anni fa Ciriaco De Mita regalava in Parlamento un libricino che si chiamava L’arte del silenzio. E come può resistere un partito in questa morsa? Come può resistere un partito (al di là degli innegabili, pervicaci errori di Bersani) quando le sue correnti pur di farsi la guerra mettono a repentaglio l’esistenza stessa della casa cui appartengono? E le correnti non sono più a loro volta portatrici di una sintesi di cultura politica, di un’idea di società e del modo di affrontare le trasformazioni economiche ma sono cordate che cercano più potere e più poltrone.
Mai come in queste ore è apparso evidente il dramma del Pd: in parte erede dell’antica serietà del partito comunista, in parte, in larga parte divenuto partito contenitore senza più alcun addentellato nella vivacità del Novecento che aveva dato i natali ai partiti fondati su una causa nobile, su un ideale, su un idea di rivoluzione. E il partito contenitore, lo sappiamo perché lo si vede anche sul fronte opposto, quello del Pdl, è solo insieme di interessi, convergenza di apparati che sopravvivono a se stessi, meccanismo senza alcuna ventata di energia e di spirito. Resta da vedere se il saluto all’ultimo dei partiti sia qualcosa da festeggiare o di cui rammaricarsi. Bè, per l’incapacità dimostrata dai suoi dirigenti (compreso l’arrembante Matteo Renzi) la fine del Pd appare come epilogo più che giusto. Non lo è per chi è cresciuto ripetendo a se stesso una famosa frase di Adriano Romualdi, uno dei pochissimi intellettuali transitati per il Msi: “Sogno un partito come la Compagnia di Gesù o come il Partito comunista”. Una frase dietro la quale c’era l’idea, molto vintage, molto anni Settanta, per cui se si faceva politica doveva esistere qualcosa di superiore al singolo individuo, qualcosa per la quale valesse la pena perdere e disperdere energie. Un partito, appunto. Il tramonto definitivo di questo concetto, lo sappiamo, lascia spazio ai partiti-contorno (Pdl), ai partiti tematici, ai partiti di nuovo conio buoni al massimo per una-due tornate elettorali, alle sigle che nascondono solo gruppi di potere e di interesse (si veda la candidatura di Alfio Marchini a Roma). Si dirà che con il Pd muore la sinistra e dunque chi sta dall’altra parte deve esserne contento. E perché mai? Senza avversari muore anche la politica. E del resto anche la destra è morta da un pezzo, e anche in quel caso per colpa dei colonnelli che hanno a un certo punto scaricato il vecchio leader per diventare loro stessi interlocutori del nuovo e più ricco e più potente capo. E anche allora i segnali di disfacimento non vennero colti. Anche allora si brindava e si cantava, come ha fatto ieri sera Berlusconi alla cena elettorale di Alemanno, per un Fini cacciato via. Ora si canta e si balla per un Prodi affondato, per una Bindi dimissionaria, per un Bersani KO. Finché la gigantesca onda anomala che sta seppellendo la politica non finirà il suo percorso, lasciando tra i detriti anche i brindisi frettolosi e le canzoncine allegre. Brindisi e canzoncine, peraltro, che hanno avuto come scenario una cena elettorale del sindaco di Roma uscente Gianni Alemanno il quale forse ha dimenticato, nell’ebbrezza dei festeggiamenti, che anche i suoi elettori hanno visto Report

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