Marco Iacona
Quarantasei anni fa moriva d’infarto uno dei più grandi attori comici
della lunga storia dello spettacolo. Era il 15 febbraio del 1967 e due mesi
prima Totò aveva compito sessantanove anni. Oramai quasi cieco, col cinema in
testa, il teatro nel cuore e la tivù come virtù necessaria. Era stato un grande
solitario, e come la sua amica Anna Magnani temeva l’oceano di spettatori
promessi volta a volta dai mezzi televisivi. A quei tempi il cinema si chiamava
“cinematografo” gli attori provenivano dal teatro e non era scontato che due o
tre proposte per la tivù dovessero entrare a far parte del curriculum di un
artista. Seppur grande artista. Nel 1967 si poteva vivere ancora in un “mondo a
parte” come azzardava Totò. Soprattutto se gavetta ed esperienza erano stelle
polari cui affidarsi ad occhi chiusi. Possiamo dire che con Totò moriva non
solo uno straordinario artista ma anche un personaggio – sembra paradossale per
chi girava oltre dieci film l’anno – che soleva distinguere uno studio
televisivo da un palcoscenico e un set cinematografico da un altro. Perché gli
spettatori non erano tutti uguali e perché a quel tempo, com’era facile
intendere, le vacche non erano tutte dello stesso colore.
Totò, ovvero Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno di Bisanzio De Curtis
Gagliardi e tanto altro ancora: erede dell’impero d’Oriente, maschera della
commedia dell’arte, umile, serio e riservatissimo uomo di fine Ottocento, poeta
(‘A livella), paroliere, autore
teatrale e attore drammatico con Pier Paolo Pasolini e non solo. E poi
soprattutto inventore di sentenze e modi di dire (Siamo uomini o caporali?), riassuntivi di un vissuto coraggioso, ma
non fortunato come potrebbe sembrare. Una storia italiana (si dice), anzi
napoletana.
La sua infanzia povera, l’idea che non si
diventa grandi per caso dovevano pur contare qualcosa. L’idea soprattutto che
il suo talento fosse – con espressione efficace – al di là del bene e del male.
E che la comicità fosse quanto di più naturale si potesse pretendere. Con un
volto che faceva ridere senza possibilità di replica (e da giovane fu uno dei
suoi crucci maggiori), con una mimica fenomenale e con la capacità di esprimere
sentimenti e quant’altro – la riflessione malinconica e la presa in giro – da
applauso continuo e a scena aperta. Cominciò in teatro dove a quel tempo ci si
faceva le ossa e se si valeva si andava avanti (altrimenti a casa); fino a
diventare impresario di se stesso. Nella rivista rischiò grosso sfidando la
censura fascista. Fu costretto a scappare (e a vivere) a Valmontone attendendo
che Roma venisse liberata. Non sarà solo questione di fascismo (che non fu uno
scherzo): sarà lotta con la censura fino alla fine. Che non amava sfide e
sberleffi. In teatro reciterà fino al 1957, fin quando la vista glielo consentirà.
Non tardi Cesare Zavattini tenta di farlo
debuttare nel cinema, ma c’è chi gli preferisce Ernesto Almirante. Zio di
Giorgio. La sua prima pellicola è datata 1937, Fermo con le mani; due anni dopo Animali pazzi di Carlo Ludovico Bragaglia, noto ai futuristi, ma il
grande successo arriva nel 1940 con San
Giovanni decollato. In quasi mezzo secolo la sua popolarità non è mai
declinata. Anzi. Nonostante la maggior parte delle pellicole non sia di
primissima scelta ma di qualità e gusto grossolano. Il suo momento arriverà nel
dopoguerra coi film di Mario Mattòli, Steno, Comencini, Monicelli, poi di
Camillo Mastrocinque e Sergio Corbucci. È bravo come attore (che lo diciamo a
fare?), immenso come improvvisatore. Fellini dirà che girare con Totò è quasi
impossibile perché il vero personaggio è lui, non il tipo che interpreta.
Accanto una lunghissima serie di coprotagonisti da Nino Taranto a Peppino De
Filippo, da Macario al fido Mario Castellani.
Gira circa cento film con più di quaranta registi. I maggiori titoli li abbiamo
visti almeno dieci volte. Seguono le mode, ma la qualità si scopre rincorrendo
Machiavelli e Pirandello. Fifa e arena (1948),
Totò le Mokò (1949), L’imperatore di Capri (1949), Napoli milionaria, di Eduardo de Filippo
(1950), Guardie e ladri (1951), Totò a colori (1952), L’uomo, la bestia e la virtù (1953), Un turco napoletano (1953), Miseria e nobiltà (1954), L’oro di Napoli, di Vittorio De Sica
(1954), La banda degli onesti (1956),
Totò, Peppino e la… malafemmina
(1956), I soliti ignoti (1958), I tartassati (1959), Risate di gioia (1960), I
due marescialli (1961), Il monaco di
Monza (1963), Gli onorevoli (1963),
La mandragola (1965) e Uccellacci e uccellini (1966).
Amato più come attore di teatro che di cinema e non amato dagli intellettuali
alla ricerca di puro valore, cercherà di farsi perdonare girando coi grandi
registi. Nella sua filmografia anche Rossellini, Bolognini, Zampa, Blasetti e
Lattuada. E grazie a Pasolini – e a Uccellacci
e uccellini – riceverà una Palma speciale al festival di Cannes. La
critica, è bene dirlo, colpiva più il contenitore che il contenuto. Più l’opera
che il protagonista. Totò era sempre Totò a prescindere dalla storia, dai
personaggi e dalle ambientazioni. Anche se nessuno gli avrebbe mai perdonato le
origini d’attore d’avanspettacolo.
Erede di Petrolini, più popolare e meno
ricercato, e maestro di pressoché tutti gli attori comici delle generazioni
successive. Maestro anche senza volerlo. Perché lui era la comicità nelle
manifestazioni fisiche e nelle possibilità artistiche: amara, buffonesca,
sciocca, spassosa, surreale, sempliciona. A volte perfino irresponsabile. Come
quella volta nel 1958, ospite televisivo del Musichiere di Mario Riva quando si
lascia scappare un improvviso “Viva Lauro!” rivolto all’esponente monarchico e
subisce una sospensione fino al 1965. Rientrerà in tivù con Mina e poi con una
serie diretta inizialmente da Daniele D’Anza (Tutto Totò), ma mai conclusa.
Muore a Roma, ma i funerali si svolgono a Napoli. Migliaia di persone a
dare l’addio al principe della risata. L’orazione funebre è di Nino Taranto (la
si può ascoltare su YouTube). In tivù da quel giorno una serie incessante di
film e sketch. Almeno un libro su ogni scaffale. Sul regno di Totò il sole non
è mai tramontato.
Nessun commento:
Posta un commento