Gennaro Malgieri
Quando il 27 luglio 1972
Richard Coudenhove-Kalergi si spense a Schruns in Austria – era nato a Tokio il
17 novembre 1894, figlio di un diplomatico austro-ungarico e di Mitsuko Aoyama,
discendente da una nobile famiglia di samurai - l’Europa era senza speranza.
La divisione del mondo in
blocchi la rendeva sostanzialmente irriconoscibile dal punto di vista politico
perché non dotata di una sua autonomia. Si potrebbe dire che essa era la
sintesi di tutto ciò contro cui aveva combattuto per oltre cinquant’anni
Coudenhove-Kalergi, visto che il suo movimento “Paneuropa” non era riuscito a
creare, nonostante le ottime intenzioni dei molti che vi cooperarono, le
condizioni per la creazione, quanto meno, dei presupposti sui quali fondare
l’unione europea. Uno sconfitto, dunque, l’aristocratico austriaco? Non si
direbbe, dal momento che le sue idee, ben dopo la sua morte, hanno registrato
attenzioni non sporadiche o frammentarie e “Paneuropa” continua ancora oggi ad
essere un riferimento per quegli europeisti che non si accontentano di
compromessi al ribasso per costruire l’unità continentale.
In altri termini, il lavoro appassionato di
Coudenhove-Kalergi, riceve quotidianamente conferma da quanti si ostinano a
ritenere la costruzione dell’Europa indispensabile al fine di dare al mondo un
nuovo ordine.
Se oggi risulta non d’attualità
uno degli obiettivi che “Paneuropa” si prefiggeva, cioè a dire la costruzione
dell’alleanza difensiva politico-militare contro la Russia e l’America, perché
si sono prodotti negli ultimi decenni cambiamenti radicali al punto che
“quella” Russia, la Russia sovietica, non esiste più, resta attualissimo lo
scopo di dare vita ad una Europa dei popoli, delle culture e degli Stati per
fronteggiare i nuovi pericoli che la minacciano e favorire la coesione di un
Continente che potrebbe esercitare un ruolo primario nella ricostruzione degli
equilibri mondiali.
Un Continente, come
verifichiamo ogni giorno, preda di egoismi nazionali (affatto diversi dalla
sovranità che dovrebbero tutelare) che fanno temere il peggio di fronte ai
quali il Trattato costituzionale su cui si fonda l’Unione europea risulta a dir
poco inadeguato e l’ “allargamento” della stessa, legato essenzialmente a
parametri economico-finanziari, piuttosto che ad oggettive necessità politiche,
fa intravedere non una Grande Europa, ma un’Europa confusa, lacerata, incapace
di darsi una politica per come i tempi richiedono.
Non diversamente da altri
europeisti del suo tempo, che avevano vissuto nelle carni la tragedia della
prima guerra civile europea, come Aristide Briand, innanzitutto, che il 5 settembre
1929 lanciò all’Assemblea della Lega delle Nazioni una proposta non dissimile
da quella dello studioso austriaco, o da Stresemann, tutti preoccupati per la
pace in Europa ed inclini a riconoscere nelle distorsioni di certo sciovinismo
nazionalista le cause di nuove tragedie, Coudenhove-Kalergi considerava gli
orizzonti geopolitici dell’avvenire modellati sull’antica aspirazione a dare al
Continente una sostanziale unità fondata sulle radici culturali comuni dei
popoli che l’abitano. Così come l’avevano pensata Dante Alighieri ed il coevo
giurista francese Pierre Dubois. Ma fu un re boemo, Giorgio di Podiebrad, che
nel XV secolo tentò di formare un’alleanza per difendere l’Europa dal pericolo
dell’invasione turca: purtroppo chi avrebbe dovuto guidarla, il re francese
Luigi XI, non se la sentì e l’Europa perse un’occasione per costituirsi come
“nazione” davanti ad un oggettivo pericolo incombente.
La prima guerra mondiale
che apparve a Coudenhove-Kalergi come una catastrofe di prima grandezza, lo
fece decidere per la creazione di “Paneuropa”: una decisione presa di fronte
allo smembramento dell’Impero absburgico, all’emergere di risentimenti
nazionalistici, al nuovo disordine europeo che la caduta dell’ecumene politico
più antico e solido, dopo la Chiesa cattolica, aveva prodotto.
Nel suo libro Paneuropa
del 1923, Coudenhove-Kalergi scriveva: “L’unica forza che possa realizzare
Paneuropa è la volontà degli Europei; l’unica forza che possa essere formata da
Paneuropa è la volontà degli Europei. Nelle mani di ogni singolo Europeo si
trova parte del destino del suo mondo”.
Coudenhove-Kalergi era
giunto a questa conclusione l’anno precedente, quando, dopo una serie di
colloqui con importanti uomini politici europei, a cominciare da Thomas Masaryk,
presidente della Repubblica Cecoslovacca, capì che non sarebbero venuti dalla
classe politica gli aiuti indispensabili per “fare” l’Europa. Fu logico,
quindi, per lui ricordare esempi illustri che potevano suggerirgli la strada:
Mazzini con la Giovine Italia, Herzl con il Movimento Sionistico, Suhraworthy
che inventò il Movimento Panislamico.
Furono sostanzialmente
tre i motivi che indussero Coudenhove-Kalergi a dare vita al suo movimento.
Nell’autobiografia, Una vita per l’Europa,
li indica chiaramente: “Paneuropa era la sola via per evitare una seconda
guerra mondiale. Il continente era diviso senza speranza in nazioni
revisionistiche ed antirevisionistiche. La Germania, l’Ungheria, la Bulgaria e
la Lituania premevano per ottenere la revisione. La Russia stava dalla loro
parte per via della questione bessarabica e l’Italia, che col trattato di pace
non aveva avuto soddisfazione alle sue rivendicazioni coloniali, minacciava di
passare dalla parte dei revisionisti. La revisione di pace di Mustafa Kemal
accendeva nuove piccole speranze nei revisionisti. La Francia, la Polonia e la
Piccola Intesa erano decise a combattere con le armi ogni tentativo di
revisione. Non occorreva essere profeta per prevedere che questi contrasti
avrebbero portato presto o tardi a una nuova guerra mondiale. Soltanto
Paneuropa poteva evitarla poiché sia i revisionisti che gli antirevisionisti
potevano unirsi in un programma che avrebbe fatto sparire le frontiere in
contestazione”.
Altro argomento
favorevole a “Paneuropa” era che “soltanto con la creazione di un grande
mercato europeo senza barriere doganali c’era la speranza di rialzare
rapidamente il tenore di vita europeo”. Infine, in favore di “Paneuropa”
militava la considerazione della minaccia russa: “Era da prevedersi che la
Russia, dopo il termine della guerra
civile, si sarebbe rapidamente ripresa, grazie alle sue ricchezze naturali e
alla sua potenza demografica. Nessuno dei suoi vicini europei avrebbe poi
potuto resistere da solo alla sua pressione”
Il primo articolo di
Coudenhove-Kalergi apparve nell’estate
1922 contemporaneamente sulla berlinese Vossische
Zeitung e nella viennese Neue Freie Presse, nel quale osservava:
“La questione europea si riassume in due parole: unificazione o
disintegrazione”. E aggiungeva, con straordinaria lucidità e preveggenza:
“L’Europa diventerà, ineluttabilmente, sempre meno potente nella politica
mondiale, meno importante nell’economia mondiale, se continuerà a frantumarsi
in divisioni interne, mentre il mondo extraeuropeo si concentra in imperi sempre
più grandi e sempre più chiusi”.
Il solo modo, per il
fondatore di “Paneuropa”, di scongiurare tale pericolo era la confederazione
dell’Europa continentale , dal Portogallo alla Polonia: una sorta di Stati
Uniti d’Europa. A tal fine Coudenhove-Kalergi concepì il suo movimento
lanciandolo nella mobilitazione dell’opinione pubblica europea a favore
dell’unificazione continentale con l’obiettivo di forzare i governi ed i
partiti a prendere posizione sulla questione europea.
Il simbolo dell’ “Unione
Paneuropea” era una croce rossa sopra un sole dorato. La prima ricordava le
Crociate medioevali ed era il più antico simbolo della comunità europea al di
sopra dei nazionalismi; il sole doveva rappresentare lo spirito europeo che ha
illuminato il mondo nelle sovrapponibili espressioni della grecità e del
cristianesimo: la croce di Cristo sul sole di Apollo.
Al movimento aderirono non soltanto eminenti uomini politici,
ma anche leader spirituali ed intellettuali come Paul Claudel, Paul Valéry,
Jules Romains, Thomas ed Heinrich Mann, Gherard Hauptmann, Rainer Maria Rilke,
Stefan Zweig, Franz Werfel, Arthur Schnitzler, Sigmund Freud, Albert Einstein,
Ortega y Gasset, Miguel de Unamuno. Ma anche artisti come Richard Strass, Bruno
Walter, Max Reinhardt.
Il già ricordato Briand,
ministro degli Esteri francese, promise ogni appoggio al nuovo movimento perché
per lui, ricordò Coudenhove-Kalergi, “Paneuropa era una questione di cuore, non
si accontentava di lodarla a quattr’occhi, come facevano tanti altri, ma era
pronto a battersi apertamente per essa”.
Il primo congresso di
“Paneuropa” ebbe luogo a Vienna dal 3 al 6 ottobre 1926 e fu presieduto da sei
statisti: Eduard Benes, Joseph Caillaux, Paul Loebe, Francesco Saverio Nitti,
Nicola Politis, Ignaz Seipel. Sulla parete di fondo della sala campeggiavano i
ritratti di Carlomagno, Sully, Comenio, l’Abate di Saint-Pierre, Kant,
Napoleone, Victor Hugo, Mazzini e Nietzsche. Il clima culturale era facilmente
intuibile.
La storia di Paneuropa è
una storia complessa, nutrita di fiducia, di speranza da parte del suo
fondatore, ma è anche la storia di un’illusione che nulla toglie alla bontà
dell’idea che porta avanti ancora oggi quando un’Europa incerta, confusa, dalla
problematica identità si sta facendo strada. Comunque, va sottolineato, che
soltanto un vero europeo, per cultura, vocazione e soprattutto per ascendenze
familiari come Coudenhove-Kalergi poteva crederci.
La sua famiglia, come
testimonia il doppio cognome, aveva origini olandesi e greche; nato in
Giappone, dalla madre donna colta ed affascinante che ebbe un ruolo
fondamentale nel suo sviluppo, il giovane Richard si formò in Austria ed in
Boemia e nella ricca biblioteca paterna entrò in contatto con la storia, la
filosofia, soprattutto con la cultura europea e le vicende dei popoli del
Continente. In quella biblioteca maturò la sua idea di Europa spesso facendo
girare il gigantesco mappamondo che troneggiava nella sala. Nella sua
autobiografia raccontò che gli “piaceva farlo girare e sognare così Paesi
lontani. Spesso tracciavo col dito il lungo viaggio che ci aveva portato da
Tokio a Ronsperg. Quando i miei sguardi cadevano sulle isole giapponesi,
pensavo ai miei nonni Kihachi e Yonne…La grande macchia verde che separava
l’Austria dal Giappone era la Russia, Paese d’origine dell’altra mia nonna,
dove per quarantasei anni suo zio Nesselrode era stato governatore. L’Austria,
la Boemia e l’Ungheria mi erano naturalmente più familiari e anche la Germania,
di cui varcammo spesso la frontiera durante le nostre gite nei boschi. Nei
Paesi Bassi vedevo il Paese d’origine dei Coudenhove nel Belgio quella che fu
per secoli la loro patria. I nostri nonni si erano incontrati a Parigi e a
Versailles, il mio antenato che portava ancora il nome mezzo francese di
Coudenhove de la Fretture, era stato
paggio dell’infelice Maria Antonietta. La Spagna mi rammentava Jacques de
Coudenhove che venne a cavallo da Roma per portare a Carlo V la paurosa notizia
che i suoi lanzichenecchi ammutinati avevano preso e saccheggiato Roma.
Guardando il Mediterraneo, pensavo ai Kalergis di Creta e Venezia, mentre
Bisanzio era la città per la quale il nostro capostipite Gerolfo Coudenhove
aveva combattuto nella quarta Crociata. L’Inghilterra mi rammentava il nostro
bisnonno inglese Kalergi, il milionario misantropo, mentre in Scandinavia
cercavo la città di Bergen, patria di sua madre. A sud dell’Equatore, in
Africa, vedevo mio zio Hans seduto tra i negri, mentre teneva in grembo la sua
scimmia addomesticata. E dall’altra parte dell’Atlantico, mio padre mi indicò
dove aveva abbattuto i due giaguari le cui teste erano fissate sul camino della
biblioteca. Così la sfera terrestre tutt’intera mi pareva piccola e
strettamente legata alla nostra famiglia sparsa ovunque”.
Un destino europeo,
quello di Coudenhove-Kalergi. Al punto che precocemente riuscì ad intravedere
un nuovo ordine del mondo a cavallo di avvenimenti che avevano squassato
l’antico ordine europeo. Divenne, infatti, forse un po’ ingenuamente, fervente
ammiratore del presidente americano Wilson convinto dal suo progetto di pace
assecondato in Austria dal giovane imperatore Carlo. “Nulla – scrisse – mi
legava al mondo dell’imperatore Guglielmo, tutto al mondo di Wilson. La mia
grande speranza era la Società delle nazioni”. Quanto fallace si sarebbe rivelata
la sua giovanile speranza, non tardò scoprirlo.
La filosofia di
“Paneuropa” si ispirava a sentimenti personali e a valutazioni
storico-politiche profondamente ponderate. Nel suo libro più importante dal
titolo Paneuropa. Un grande progetto per
l’Europa unita Coudenhove-Kalergi avvertì, con molta lucidità per l’epoca: “La causa della decadenza dell’Europa è
politica e non biologica. L’Europa non muore di vecchiaia; muore perché i suoi
abitanti si trucidano gli uni con gli altri e corrono verso la rovina con
l’ausilio di tutte le risorse della tecnica moderna”. Ma, nello stesso
tempo, nutriva una speranza che non l’avrebbe mai abbandonato riconoscendo che
“l’Europa è ancora il serbatoio umano qualitativamente più ricco del mondo. I
dinamici Americani sono degli Europei trapiantati in un altro contesto
politico. I popoli europei non sono affetti da senilità, lo è il loro sistema
politico. La trasformazione radicale di questo sistema può e deve portare al
risanamento totale di questo continente ammalato”.
La constatazione lo
portava a chiedersi se l’Europa frammentata politicamente e divisa
economicamente poteva assicurarsi un avvenire di fronte alle potenze mondiali
extra-europee in pieno sviluppo oppure se non sarebbe stata costretta ad
organizzarsi in una federazione di Stati per poter sopravvivere e recitare un
ruolo degno della sua storia sul palcoscenico mondiale. Coudenhove-Kalergi
dispiegò tutti gli sforzi possibili per dare una risposta adeguata a questa
prospettiva. L’Europa poteva vivere soltanto se le sue nazioni si fossero unite
in un disegno comune fondato su una cultura comune. L’unità delle nazioni,
insomma che esistono, diceva, e “sarebbe assurdo negarne l’esistenza”. Ma
immediatamente aggiungeva, per sgombrare il campo da possibili equivoci che stavano
malauguratamente prendendo piede in Europa, che “queste nazioni non sono
comunità basate sul sangue, bensì comunità spirituali. Esse non hanno antenati
carnalmente comuni, ma spiritualmente dei maestri comuni”.
Per Coudenhove-Kalergi “ogni nazione è un santuario”. Essa,
asseriva con grande forza persuasiva, “è il laboratorio della cultura, il
nucleo di cristallizzazione delle virtù civiche e del progresso. Come nei tempi andati le cattedrali
erano il centro della vita religiosa, oggigiorno le università sono il centro
della vita nazionale. Una guerra contro l’idea nazionale sarebbe una guerra
contro la cultura. La lotta contro lo sciovinismo verrebbe gravemente
compromessa se toccasse l’idea nazionale. Lo sciovinismo nazionale non può
essere combattuto con un internazionalismo astratto, ma con un approfondimento
ed un allargamento della cultura nazionale in una cultura europea, e con la
diffusione del principio che tutte le culture nazionali d’Europa, nella loro
stretta ed inestricabile interdipendenza, non sono altro che elementi
costitutivi d’una sola grande cultura europea”.
La nazione europea,
dunque, per Coudenhove-Kalergi, si configurava come una unità spirituale e culturale,
cementata da un dato religioso inestirpabile. Si legge nel suo libro-manifesto:
“L’Europa forma un tutto unico grazie
alla religione cristiana, alla scienza europea, all’arte e alla cultura che
poggiano su basi greche e cristiane. La storia comune dell’Europa iniziò
con l’impero romano e le grandi invasioni, e continuò col papato ed il
feudalesimo, la riforma e la controriforma, l’assolutismo e l’illuminismo, il
parlamentarismo, l’industrializzazione, il nazionalismo ed il socialismo. Le
costituzioni e le leggi dei diversi Stati europei sono senza confronto più
vicine alle une e alle altre di quanto, in altri tempi, fossero quelle delle
città-Stato greche. Gli Europei hanno in comune lo stesso stile di vita, la
stessa maniera d’essere, la medesima struttura sociale, gli stessi punti di
vista sulla morale e la famiglia, gli stessi costumi ed abitudini, lo stesso
modo di vestire le cui mode sono sottoposte alle medesime variazioni. Gli
orientamenti artistici nella pittura, nella letteratura e nella musica in
Europa hanno un carattere altrettanto internazionale: romanticismo e
naturalismo, impressionismo ed espressionismo. Del tutto identici sono i
problemi della politica interna e della vita economica”. Insomma “l’unità della
cultura occidentale ci dà il diritto di parlare d’una ‘nazione europea’ che si
suddivide in diversi gruppi linguistici e politici. Se questo sentimento della
cultura paneuropea riesce ad imporsi, ogni buon Francese, Tedesco, Polacco o
Italiano sarà anche un buon Europeo”.
Questa convinzione
indusse, non senza scetticismo, Coudenhove-Kalergi ad intraprendere un lungo
viaggio tra i politici europei al fine di sensibilizzarli all’idea di
“Paneuropa”. In questo peregrinare si
avvicinò anche a Mussolini e all’Italia fascista intrattenendo con il regime
rapporti contraddittori, altalenanti, difficili insomma.
Non fu tanto la
diffidenza ispirata dall’aristocratico tedesco in alcuni ambienti del fascismo,
quando la sua propensione ad un certo pacifismo (di tipo wilsoniano, come
abbiamo visto) che all’epoca, in Italia, veniva scambiato per avversione alle
rivoluzioni nazionali. Si trattava di un equivoco poiché Coudenhove-Kalergi
simpatizzò inizialmente con la rivoluzione fascista, considerando il movimento
di rinnovamento nazionale ai suoi esordi – così disse – erede di Mario e di
Cesare. Questa convinzione lo spinse nell’estate del 1922, quando “Paneuropa”
stava prendendo forma e la marcia su Roma ancora lontana, ad indirizzare a
Mussolini , che reputava aperto ai problemi europei, una lettera con la quale
lo invitata a farsi promotore di una conferenza per l’unificazione del
Continente e per affermare una sorta di “dottrina di Monroe” europea fondata
sull’assunto dell’identità spirituale e culturale dell’Europa. La proposta
cadde nel silenzio, ma non nell’indifferenza. All’epoca Mussolini era preso da
altri pensieri, ma non risulta che fosse preconcettamente ostile all’idea
dell’unità continentale dal momento che si rendeva ben conto che l’emergere
della potenza americana dopo la la guerra mondiale e la minaccia russa ponevano
all’Europa problemi che prima del conflitto erano inimmaginabili.
Se Mussolini, del resto,
fosse stato ostile all’idea dell’unione europea, Margherita Sarfatti non
avrebbe potuto scrivere nella biografia del Duce che “se il presidente Wilson,
che voleva ricostruire l’Europa con il programma la mentalità di un americano
che non conosce affatto il vecchio mondo, fosse stato almeno coerente al suo
pensiero, egli avrebbe parlato di Stati
Uniti d’Europa e questo avrebbe costituito una speranza. Inoltre l’Europa,
in paragone al globo terrestre, non è altro, anche se in una proporzione
maggiore, che una piccola magnifica Ellade”. Dunque, la nozione di Stati Uniti
d’Europa, cara a Coudenhove-Kalergi, circolava in Italia.
Il silenzio di Mussolini
indusse comunque lo studioso austriaco a rivolgersi altrove. Per lui, nel suo
progetto, l’Italia era troppo importante per poterla trascurare. Fu negli
ambienti del fuoriuscitismo italiano antifascista, specialmente in Francia, che
il fondatore di “Paneuropa” riuscì a fare breccia. Soprattutto Francesco
Saverio Nitti si entusiasmò per il programma prospettatogli dal conte
austriaco. A lui, insieme con altri, come abbiamo ricordato, Coudenhove-Kalergi
affidò la presidenza del primo congresso del Movimento.
Tra fascismo ed
antifascismo Coudenhove-Kalergi seppe muoversi abilmente, per nulla infastidito
dal pregiudizio verso l’uno o verso l’altro. A lui interessava il risultato,
perciò se le autorità italiane ufficialmente lo tenevano a distanza, lui, pur
deluso, non abbandonava la partita che giocava su un piano diplomatico per
quanto concerneva il rapporto con l’Italia fascista e su quello più
propriamente politico-culturale per ciò che atteneva il rapporto con
l’antifascismo militante.
In questo secondo
ambiente, ricco anche di umori patriottici, dominato da un profondo sentimento
liberale, Coedenhove-Kalergi seminò il suo paneuropeismo raccogliendo
l’interesse, oltre che di Nitti, di Benedetto Croce, di Guglielmo Ferrero, di
Gaetano Salvemini, di Guido Manacorda, di Carlo Sforza. Quest’ultimo ricordò
nelle sue memorie che Coudenhove-Kalergi “non era un nazionalista illuminato,
ma un vero patriota dell’Europa; europeo per cultura e pensiero, egli voleva porre
la propria nazione al servizio dell’Europa, e non viceversa”. Sforza invitò
Coudenhove-Kalergi, nel 1925, ad assistere ad una seduta del Senato del regno
“per osservare Mussolini da vicino”. “Fui sorpreso – annotò Coudenhove-Kalergi
– per il contrasto per le immagini monumentali del Duce e il suo aspetto niente
affatto monumentale. Non aveva nulla dell’antico romano, ma tutto di un
italiano moderno. Sembrava gli riuscisse difficile star tranquillamente seduto
ad ascoltare i noiosi discorsi del Senato. Nervoso e irrequieto,sembrava
irritabile e affaticato. Le sue belle mani erano in continuo movimento, i suoi
occhi stralunati e roteanti ardevano, ma non luccicavano. Senza equilibrio
interiore, sembrava sospinto dalle furie. Adesso capivo perché quell’uomo aveva
lasciato senza risposta la lettera che gli avevo inviato due anni prima
scongiurandolo di interessarsi alla questione europea. Quello che Mussolini
cercava non era la quiete, ma il movimento; non la pace, ma la guerra”.
Il ritratto psicologico
che Coudenhove-Kalergi tracciò di Mussolini, risentiva, con tutta evidenza, del
momento politico. Il 1925 fu un anno cruciale per il fascismo ancora stordito
dall’effetto dell’assassinio di Giacomo Matteotti. L’anno si era aperto con il
discorso del 3 gennaio che introdusse la “costituzionalizzazione” della
Rivoluzione. Mussolini non poteva essere tranquillo e “Paneuropa” non poteva
essere in cima ai suoi pensieri.
Probabilmente le idee di
Coudenhove-Kalergi vennero “catturate” da Mussolini soltanto dopo l’assemblea
del Consiglio della Società delle Nazioni, nel giugno 1929 a Madrid, quando
Aristide Briand, come ricordato, discusse il suo piano europeo.
Gli “Stati Uniti
d’Europa”, come venne definito il progetto di Briand, non ebbero una favorevole
accoglienza in Italia. Una delle più prestigiose riviste del fascismo,
“Politica”, diretta da Francesco Coppola
e da Alfredo Rocco, prese posizione censurando l’iniziativa di Briand e
bollandola come “un subdolo e futile espediente politico” tendente a conservare
lo status quo. Briand – scrisse Coppola – “vuole che le attuali rispettive
condizioni delle varie nazioni europee siano gelosamente e perennemente
conservate, che il ricco resti ricco… La sua Paneuropa non è, in fondo, che un
nuovo sistema complementare escogitato ad abundantiam in aggiunta alla Lega di
Ginevra, al Patto Kellogg e simili statuti della ‘organisation de la paix’, per
consolidare in perpetuo le attuali
posizioni internazionali in una immobilità, che i Francesi chiamano ‘sécurité’,
nella quale, in definitiva, i poveri, i digiuni, gli insoddisfatti, e, diciamo
pure, i traditi, i defraudati, gli spogliati, dovrebbero volenterosi e
riconoscenti, acconciarsi in eterno a montar la guardia intorno alla opulenta
digestione degli altri”.
Tuttavia qualcosa in
Italia, nel senso sperato da Coudenhove-Kalergi, si muoveva. A Roma si
pubblicava, per iniziativa del giovane intellettuale Asvero Granelli, la
rivista “Antieuropa” che pur non perdendo occasione per criticare Briand,
rivelava nel profondo tendenze paneuropee, a dispetto perfino del titolo. Coudenhove-Kalergi
concluse che “si trattava di una manovra subdola di Mussolini per guadagnare la
classe intellettuale italiana all’idea di Paneuropa senza perdere la faccia”.
L’insistenza del conte austriaco sortì, infine, gli effetti
sperati. Tramite Dino Grandi, ministro degli Esteri, riuscì nel 1933 finalmente
ad incontrare Mussolini. “Lo trovai molto cambiato – ricordò anni dopo – da quando lo vidi
l’ultima volta al Senato”. L’incontro fu caratterizzato da due temi, solo in
apparenza “impolitici”: l’europeismo di Nietzsche e la questione razziale che
cominciava ad espandere le sue ombre minacciose in Europa. Mussolini definì
assurdo il razzismo di Hitler concordando con Coudenhove-Kalergi che gli fece
osservare come un nazista “non poteva mai ritenere suo eguale un italiano, dato
che considerava i popoli mediterranei dai capelli neri come incroci tra ariani
biondi e negri”. Mussolini consentì con il suo interlocutore: peccato che
cinque anni dopo dimenticò quella conversazione e quel tale articolo, ricordato
a Coudenhove-Kalergi, scritto qualche anno prima nel quale sosteneva come i
popoli mediterranei avessero dato origine a tutte le grandi opere culturali e
come “i barbari del Nord” avessero cercato sempre di distruggerle.
Parlarono anche di Nietzsche che Coudenhove-Kalergi
interpretava come un precursore del movimento paneuropeo, tanto che sulla sua
rivista “Paneuropa” aveva pubblicato pagine di citazioni del filosofo tedesco.
Anche su questo punto Mussolini fu d’accordo, ritenendo Nietzsche suo maestro.
Su temi più squisitamente
politici, la consonanza tra lo statista italiano e l’aristocratico austriaco fu
totale. Mussolini si mostrò favorevole all’idea di un’unione latina con la
Francia quale baluardo contro le mire pericolose del terzo Reich; e si disse pure
interessato alla complessiva idea paneuropea. Insomma, un’inversione di rotta
totale, sintomo del mutato atteggiamento del regime verso il movimento di
Coudenhove-Kalergi che colse accenti nuovi nella pubblicistica di politica
internazionale fascista ed in
particolare nell’ “Antieuropa “ di Gravelli. Scopo di questi, secondo il conte
“era di guadagnare l’opinione pubblica alle mie idee e di organizzare, con
l’approvazione di Mussolini, la sezione italiana dell’Unione Paneuropea”.
Delegazioni italiane parteciparono
da quel momento all’attività di
“Paneuropa”. Mussolini stesso non nascose le proprie simpatie per il movimento.
In un’intervista rilasciata nel 1934 al quotidiano “L’Intrasigeant” sembrò
quasi voler prendere il posto del non amato Briand. Dichiarò in
quell’occasione: “E’ logico che il destino dei grandi popoli europei dipenda
dalle decisioni di piccoli e lontani popoli, che meritano senz’altro, a ogni
riguardo, la nostra stima, ma di cui tre quarti degli europei ignorano perfino
la posizione geografica? No. La Società
delle Nazioni è stata una creazione ideologica delle democrazie, essa non ha
mantenuto il contatto con la realtà, e la pace è divenuta pertanto un ideale
vacillante, metafisico e instabile. L’Europa l’ha guidata e ne ha tratto profitti.
Oggi l’Europa, presa tra l’America ed il Giappone, sta per mancare al suo
compito. Se l’Europa vuole di nuove prendere piede e salvarsi, deve trovare un
minimo di unità. Quello che occorre ai grandi popoli europei, quello che deve
unirli, è lo spirito europeo”.
Accenti che non potevano
lasciare insensibile Coudenhove-Kalergi il quale riteneva che l’unione europea
non è soltanto una questione di mercati e di circolazione di merci, ma è una
questione di cultura e di destino intorno a cui costruire un disegno politico.
Coudenhove-Kalergi lo fece presente a Mussolini in varie occasioni. L’incontro
che ebbe con il capo del Governo italiano il 9 maggio 1936 lo ricordò così: “Il
duce era di splendido umore (la conquista dell’Etiopia era appena avvenuta,
ndr). Mi salutò cordialmente. Ciano era con noi. Venimmo subito a parlare della
situazione politica. ‘Hitler è sulla via di dominare l’Europa’, dissi. ‘L’unico
mezzo per fermarlo è una stretta alleanza tra l’Italia e la Francia’. Questo
pensiero era familiare a Mussolini. Il suo sogno difatti non era mai stato
Paneuropa bensì una federazione palatina contrapposta all’Europa germanica,
anglosassone e slava. Il nocciolo di questa unione doveva essere formato da una
stretta alleanza franco-italiana che praticamente aprisse l’Africa del Nord
alla colonizzazione italiana. Naturalmente questa unione latina si sarebbe
estesa anche alla Spagna e al Portogallo, con l’appoggio dell’America Latina.
Dopo aver parlato per un’ora, Mussolini mi accompagnò alla porta e mi promise
di riflettere sulla cosa. Dovevamo rivederci due giorni dopo.
“Due giorni dopo
Mussolini iniziò il nostro nuovo colloquio con le parole: ‘La sua politica è
geometrica, è logica, ma purtroppo inattuabile’. Aprì il cassetto della sua
scrivania e ne trasse un giornale: ‘Qui, guardi, nel Populaire, Léon Blum depreca che non sia riuscito alla Società
delle Nazioni di strangolarmi’, e così dicendo si portò le mani alla gola:
‘come posso accordare la mia fiducia ad un uomo simile?’. Blum era appena
uscito vincitore dalle nuove elezioni e doveva formare quanto prima il nuovo
governo. Mi fu difficile contraddire Mussolini, quando mi disse che il nuovo
governo del Fronte popolare non avrebbe certo avuto voglia di allearsi con lui.
‘Inoltre’, aggiunse, ‘l’Inghilterra non permetterà mai un’unione tra la Francia
e l’Italia!’. Infine mi disse che avrei potuto tentare di parlare con i nuovi
governanti della Francia. La sua condizione era che l’unione dovesse
comprendere esclusivamente la Francia e l’Italia, senza includere l’Inghilterra
e la Jugoslavia, e che dovesse andare al di là di una alleanza politica. La
collaborazione coloniale ed economica avrebbe dovuto essere altrettanto stretta
di quella militare. Senza troppe speranze andai a Parigi. Discussi delle
proposte di Mussolini col nuovo vice-premier, Camille Chautemps, e con Léger.
Presto riconobbi la completa inutilità di voler intraprendere simili trattative
tra un governo fascista e uno nettamente antifascista. Mussolini aveva ragione:
l’unione franco-italiana era necessaria, ma nel contempo impossibile. Ai primi
di luglio ero di nuovo da Mussolini. Non rinunciava all’idea di un’alleanza con
la Francia, ma voleva aggiornarla in attesa che un nuovo governo francese fosse
al potere. Poneva le sue speranze su daladier. Mussolini sembrava ancora
sostenere la indipendenza dell’Austria senza essere ancora deciso a diventare
il compagno di Hitler”.
Questo ricordo di
Coudenhove-Kalergi è di estrema importanza per comprendere le responsabilità
dei governanti democratici nella nefasta alleanza tra l’Italia e la Germania
nazista: Léon Blum fece di tutto per gettare Mussolini nelle braccia di Hitler
e la testimonianza del fondatore di Paneuropa lo dimostra. Le speranze di
quest’ultimo naufragarono, comunque, dopo il varo delle leggi razziali,
sciagurato pegno pagato all’alleanza che Mussolini stesso soltanto qualche anno
prima giudicava impossibile.
In Italia
Coudenhove-Kalergi ebbe rapporti con il segretario di Stato vaticano Eugenio
Pacelli, con il sostituto monsignor Montini, e poi, dopo la guerra, con don
Sturzo, con De Gasperi che fu tra i fondatori nel 1948 dell’Unione parlamentare
europea e tra i promotori, con Adenauer, Schuman, Spaak del Consiglio d’Europa
nel 1949.
Negli anni Sessanta,
Coudenhove-Kalergi provò a tracciare un bilancio di “Paneuropa”, dopo
quarant’anni di attività. “Si tratta di un bilancio positivo”, scrisse. “In
quarant’anni noi siamo riusciti a trasformare l’antica nozione di un’Europa
unita da un bel sogno in un movimento politico, grazie al quale fatti storici
si sono realizzati”. Restava il sogno nel cassetto: l’unione politica
dell’Europa. Resta ancora sullo sfondo. E non c’è più per le contrade del
Vecchio Continente un uomo che sappia animarlo come Coudenhove-Kalergi. Dopo la
guerra questo grande europeista, generoso ed incompreso, con amara lucidità
scrisse in un libro ricco di straordinarie suggestioni culturali e politiche,
dal titolo pieno di speranza, L’Europa si
desta: “L’Europa si è oggi smarrita e non sa ritrovare questo grande
sentiero della sua civiltà e si perde nel deserto dello scetticismo, della
demagogia, della barbarie, delle frasi fatte e del cinismo. In tal modo essa ha
dimenticato la sua grande tradizione, che le conferiva tanta potenza e
prestigio di fronte a tutta l’umanità. La sua potenza ed il suo prestigio sono
ora scossi, per colpa degli stessi europei”. Chi può sostenere il contrario?
Frequentando il Consiglio
d’Europa dal 2001 mi è accaduto di soffermarmi spesso davanti al busto di
Richard Coudenhove-Kalergi affiancato a quelli di noti fondatori dell’Europa
ricordati. Credo di essere stato il solo o uno dei pochi a riconoscerlo come
grande europeista degno di trasmettere la sua creatura Paneuropa all’arciduca
Otto d’Asburgo, figlio dell’ultimo imperatore Carlo e di Zita di Borbone Parma.
Una volta una deputata baltica mi chiese a chi appartenesse quella testa in
bronzo davanti al quale tutti passavano frettolosamente. Faticosamente provai a
spiegarglielo. Qualche mese dopo, incontrandola, ne sapeva più di me. E mi
confessò il suo stupore avendo appreso che in Austria, politici ed
intellettuali, lo avevano rimosso. Mi ringraziò dicendomi che soltanto uomini
del genere potrebbero dare un’anima all’Europa. Già, ne avessimo o se soltanto
li ricordassimo…
Richard Kalergi è stato un killer di massa che ha esplicitamente proposto la distruzione dei popoli europei di pella bianca per sostituirli con immigrati africani ed asiatici. Kalergi è un criminale genocida e, probabilmente, il più grande assassino della storia umana. Le politiche di tutte le classi dirigenti dei paesi occidentali si basano ,oggi esclusivamente sulle idee di Richard Kalergi, volte alla distruzione totale dei popoli europei. E' conseguenza logica che oggi i popoli europei ed occidentali sono governati da terroristi genocidi che lavorano per la nostra morte
RispondiEliminaArticolo scritto da un fratello di loggia. Congratulations.
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RispondiEliminahttps://www.adhocnews.it/kalergi-un-profeta-visto-oltre-le-bugie/
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RispondiEliminaNeonazisti e vari estremisti di destra hanno diffuso menzogne e visioni distorte su ciò che proponeva Kalergi. Boccaloni avidi di prendere per buone teorie compottistiche deliranti le hanno accolte senza adeguato senzo critico. All'epoca in cui Kalergi scriveva qualche opera da cui disinformatori senza scrupoli hanno estratto frasi fuori dal contesto, alcuni stati europei avevano imperi coloniali e Kalergi era a favore della colonizzazione dell'Africa mentre era contrario all'ingresso in Europa di gente proveniente dell'Africa nera.
http://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/coudenhove-kalergi-il-vero-padre-delleuropa-il-piano-kalergi/
Il vero piano Kalergi era un piano geopolitico di rafforzamento dell'Europa occidentale e centrale tramite una federazione che evitasse guerre rovinose tra stati europei. Una Federazione europea avrebbe potuto evitare di essere dominata da stati più potenti di singoli stati nazionali, come USA e URSS.
RispondiEliminahttps://sermo.forumfree.it/m/?t=70366563