Giovanni Tarantino
“Ma il tempo, il tempo chi me lo rende? Chi mi dà
indietro quelle stagioni / di vetro e sabbia, chi mi riprende la rabbia e il
gesto, donne e canzoni, / gli amici persi, i libri mangiati, la gioia piana
degli , / l’arsura sana degli assetati, la fede
cieca in poveri miti? / Come vedi tutto è usuale, solo che il tempo stringe la
borsa / e c’è il sospetto che sia triviale l’affanno e l’ansimo dopo una corsa,
/ L’ansia volgare del giorno dopo, la fine triste della partita, / il lento
scorrere senza uno scopo di questa cosa... che chiami... vita...”. Una lunga citazione
che è la parte finale di una canzone di Francesco Guccini, Lettera, scritta nel 1996, contenuta nell’album D’amore, di morte e di altre sciocchezze.
Guccini fa riferimento agli amici persi, la canzone in realtà è dedicata in particolare a uno
di essi, Franco Bonvicini detto Bonvi, il fumettista. Ma potrebbe riferirsi
anche a un altro personaggio scomparso da tempo, amico personale di Bonvi, e
che divenne celebre proprio quarant'anni fa con l’arrivo nelle sale del suo film Malizia. Si tratta del regista padovano
Salvatore Samperi: già sessantottino, era stato grande ammiratore di Marco
Bellocchio, e con pochi fondi a disposizione aveva realizzato il suo primo
lungometraggio, Grazie zia (proprio nel
1968), che seguiva la scia tracciata da I
pugni in tasca. Ed erano presenti, già in questa sua opera prima, le due
caratteristiche più importanti del suo cinema: la satira amara, o per meglio
dire cupa, contro la società democristiana e la furba narrazione di un amore
morboso ma impossibile che inaugurerà il filone definito «erotico indigeno».
Ma, come dicevamo la
sua opera più celebre è però senza dubbio Malizia
del 1973 – che arrivava sugli schermi giusto quarant’anni fa esatti – con il
giovane Alessandro Momo: ambientato nella Sicilia del 1950, ad Acireale,
descrive l'ascesa di una modesta cameriera che, grazie al fascino e ai
turbamenti erotici che provoca ai suoi interlocutori maschi, diventa una
signora altolocata. La pellicola, che ottenne un grande successo al botteghino,
consacrò Laura Antonelli come sex symbol
del cinema degli anni Settanta. Un anno dopo, Samperi batté sullo stesso tasto
con Peccato veniale: ancora una
volta, Laura Antonelli diventa oggetto del desiderio di un adolescente.
Tre anni dopo, nel
1976, faceva la sua comparsa nelle sale cinematografiche nche Sturmtruppen, diretto da Samperi ma scritto
e interpretato da Renato Pozzetto e Cochi Ponzoni. Un film che celebrava l'incontro tra la sensibilità di Samperi e quella di Bonvi. Un copione che, di per sé,
traendo spunto dalla serie a fumetti omonima di Bonvi, oltretutto era già tutto un
programma. Dissacratorio è dire poco:
con a comando un generale cocainomane, un capitano omosessuale e un sergente
violento e stupido a tal punto che le granate gli scoppiano in mano, un
improbabile reparto della Wehrmacht si prepara ad affrontare un'assurda e
inutile guerra. Nel bel mezzo della guerra giunge dal Paradiso un biancovestito
Milite Ignoto, inviato da Dio per diffondere il messaggio tra i soldati di
porre fine al conflitto. Molti i momenti spassosi, come il sergente che
sparando addosso a un intellettuale compone una svastica coi fori delle
pallottole, o la scena in cui il generale si sfoga contro un pupazzo effigiante
Karl Marx (che poi lo morde a tradimento). Nel film comparve lo stesso Bonvi,
nella parte di un condannato alla fucilazione che deve tentare di scansarsi per
evitare le pallottole.
In Sturmtruppen il regista non si limita a
trasportare le strisce di Bonvi sul grande schermo, ma riesce ad arricchire il
fumetto originario con una comicità umoristico-satirica e con una buona dose di
anti-militarismo. Purtroppo negli anni Ottanta Samperi smetterà di fare film
per il cinema, preferendo tornare dietro alla macchina da presa una quindicina
di anni dopo con fiction girate per Canale 5: Madame (2004), Il sangue e la
rosa (2008) e soprattutto le due serie di L’onore e il rispetto (2006 e 2009), la seconda delle quali viene
trasmessa alcuni mesi dopo la sua morte.
Una cosa è certa: la
stessa scomparsa prematura accomuna in fondo due libertari doc, come sono stati
Samperi e Bonvi, il regista padovano e il fumettista emiliano, padre delle Strurmtruppen disegnate, morto all’età
di 54 anni e la cui stessa biografia fa rilevare una serie di irregolarità.
Franco Bonvicini – questo il vero nome anagrafico di Bonvi – nasce
probabilmente a Parma, anche se diverse biografie riportano Bonvi come nato a
Modena, poiché pare fosse stato registrato dalla madre a entrambe le anagrafi,
per ricevere una doppia tessera annonaria di quelle che venivano consegnate per
ottenere i viveri previsti dal razionamento imposto dalla guerra. Trascorre la
giovinezza a Modena, dove si diletta a disegnare sulle tovaglie da osteria.
Questo già evidenzia il carattere e la verve sopra le righe che lo avrebbe
caratterizzato negli anni a venire. Tali gioviali attività lo portano a
incontrare, nel 1956, un giovane Francesco Guccini, col quale diverrà grande
amico e collaboratore in testi, gag e altro ancora. Tramite Guccini, Bonvi viene
presentato al vulcanico Guido De Maria e inizia a collaborare per la sua
neonata casa di cinema d’animazione, la Vimder Film, per la quale Guccini
stesso collaborava. L'amicizia tra i due è nata lì, rinsaldata da comuni
goliardate, grandi bevute in osteria, il servizio militare, le ragazze, la
musica rock. Negli anni Sessanta, vanno entrambi a Bologna, l’uno a scrivere le
sue canzoni, l'altro a disegnare le sue strisce. Entrambi scrivono racconti di
fantascienza. Bonvi, più dell’amico, li sa anche illustrare. E così è Guccini,
un giorno, a portarlo a Bologna da Guido De Maria e a dirgli: «È un po’ matto,
ma sa disegnare bene». De Maria sarà per Bonvi il papà, il maestro, l’agente.
Gli fa fare il Carosello dell'Amarena Fabbri, lo convince a presentare a Lucca
le strisce di Sturmtruppen. È fatta. Nel 1969 - Bonvi ha già sfondato con
Sturmtruppen, Guccini ha già cantato Dio è morto – i due amici pubblicano
insieme le cinque Storie dello spazio profondo, racconti di “fantascienza
sociale” che Granata Press ha riedito di recente. Seguono le Cronache del
dopobomba. Nel 1976 è di nuovo De Maria a portare Bonvi alla Rai, e le quattro
edizioni di Gulp-Fumetti in tivù garantiscono la celebrità anche ai personaggi
di Nick Carter. «Bonvi è matto», dicono. Di più, è «il guastafeste di genio in
una città di imbalsamati», come dice Stefano Benni. «Militarista guerrafondaio
demo-nazional-socialist-missino», lo definisce Guccini. D’altronde, libertario
fino al midollo era appassionato da matti delle divise della Wermacht. Anarchico
nello spirito, abbandona negli anni l'adesione alla sinistra per intraprendere
un percorso autenticamente libertario. Nel 1985 si fa eleggere consigliere
comunale presentandosi come indipendente nelle liste del Pci. Le sue
intemperanze riempiono i verbali di due anni di sedute, poi si dimette. Addirittura
arriverà ad abbandonare il consiglio comunale di Bologna parafrasando i
Righeira, particolarmente in voga in quegli anni: «L’estate sta finendo e il
Bonvi se ne va».
Nel ’92, all’indomani
della svolta della Bolognina, scrive una polemica lettera all'allora segretario
Occhetto chiedendo il rimborso di tutti i contributi versati come militante nei
precedenti anni. Alle successive elezioni politiche, infine, annuncia che
voterà An, «il mio avversario di fiducia». Un’annuncio che darà alla stampa
tramite l’amico giornalista (e libertario anche lui) Marco Guidi.
Antimilitarista convinto, redige l'Agenda dell'Esercito, che sarà il generale
Loi in persona a presentare all'Accademia Militare di Modena. Bonvi non possiede
un'automobile, ma reclama un permesso di ingresso al centro storico per l'auto
a nolo. Vi è in lui un'anima maledetta, che coltiva contro ogni ragionevolezza
ma senz'alcun narcisismo. La parte di sé più generosa la consacra ai bambini:
ai suoi due, Sofia e Francesco. E agli amici. Aveva messo in vendita una
cartella, Blob, con dodici storie inedite, per devolverne il ricavato a Magnus,
amico disegnatore (quello che faceva coppia con Max Bunker) in difficoltà.
Morirà il 10 dicembre
1995, in un incidente stradale, mentre stava recandosi da Red Ronnie, nello
studio di Roxy Bar. L'anno
successivo, nel ’96, Guccini dedicò all'amico scomparso, la canzone Lettera, contenuta nell'album D'amore, di morte, e di altre sciocchezze.
Non è casuale d'altronde che, negli ambienti di una certa destra giovanile
italiana, il libertario Bonvi sia stato recepito e metabolizzato come un amico
e un interlocutore. Era infatti andato a intercettare una
sensibilità antimilitarista che aveva contraddistinto già i testi di irregolari
come Ezra Pound o Céline, si è posto dialetticamente sullo stesso piano di un
percorso revisionistico intrapreso dopo il ’68 da una generazione che aveva
messo in discussione vecchie categorie – l’adesione all’autoritarismo su tutte –
la cui eco giungerà fino agli anni Ottanta, prova ne sarà l’amicizia col
l’allora missino Enzo Raisi in consiglio comunale. Citare altri esempi, per un
tipo come Bonvi, sarebbe finanche riduttivo.
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