lunedì 1 luglio 2013

Berlusconi come Maria Antonietta? Così funzionò per la regina la "macchina del fango"




Annalisa Terranova 

È vero, della condanna a sette anni inflitta a Silvio Berlusconi si è parlato fino alla nausea. Ma ci sono state alcune spigolature che vale la pena di sottolineare, anche perché l’argomento non sembra aver esaurito la sua portata mediatica, visto che se si accende la tv ci si imbatte ancora o in Giuliano Ferrara che si mette il rossetto o in Daniela Santanchè che sbraita contro l’indecenza dei giudici milanesi (e in genere, c’è da notare, i perseguitati politici non possono godere di tali ridondanti difese, il che basterebbe a togliere a S.B. questo status particolare di vittima). Dicevamo delle spigolature: una indubbiamente interessante si trovava qualche giorno fa su Il Foglio, dove veniva raccontato del paragone fatto dal filosofo Roger Scruton tra il processo a S.B. e quello per incesto alla regina di Francia Maria Antonietta. Vero è che ai tempi della rivoluzione francese non c’erano le intercettazioni (mentre oggi abbiamo tutti letto che S.B. prometteva a Ruby di ricoprirla d’oro in cambio del suo silenzio e la invitava a “fare la pazza”) e oggi non c’è la ghigliottina ma il paragone andava più in profondità. Il tentativo dei giudici di Milano sarebbe quello, insomma, di togliere dignità morale all’imputato S.B. così come l’obiettivo del tribunale giacobino era quello di presentare Maria Antonietta come la grande meretrice di Babilonia che, nella sua fame insaziabile, non aveva esitato a rivolgere i suoi appetiti verso il piccolo Delfino, suo figlio, di soli otto anni. L’episodio del processo alla Reine de France è talmente stupefacente che merita di essere ripercorso (anche al fine di rilevare che per fortuna nel 2013 gli imputati godono di garanzie ben diverse, a cominciare dai tre gradi di giudizio).



Maria Antonietta, che per i suoi carnefici è ormai solo la “vedova Capeto”, è rinchiusa alla Conciergerie. Nessuno può visitarla, nessuno può rivolgerle la parola. Il Delfino è stato allontanato da lei e affidato a un precettore, compito per il quale è stato scelto, in spregio alle consuetudini aristocratiche, il ciabattino Simon. Costui e sua moglie sorprendono il piccolo erede di Luigi XVI mentre cede ai “plaisirs solitaires”. Il ragazzo si giustifica dicendo che sono state sua madre la regina e sua zia Madame Elisabetta a insegnargli tali pratiche. A partire da questa avventata risposta del Delfino viene costruita un’accusa mostruosa. Si accusa Maria Antonietta di avere avuto rapporti incestuosi con il figlio, come si legge negli atti esibiti al processo: “Il bambino ci ha fatto intendere che una volta la madre lo fece accostare a sé , che ne risultò una copulazione alla quale seguì la tumefazione di uno dei testicoli, a causa della quale il bambino porta ancora una fasciatura, che la madre gli aveva raccomandato di non farne parola e che questo atto si è ripetuto più volte…”. In realtà il ragazzo si era fatto male in un punto delicato giocando con un bastone e un medico lo aveva fasciato. Durante il processo il ragazzo ripeterà la sua versione anche quando viene messo a confronto con la sorella e con Madame Elisabetta. È  la deposizione di quest’ultima, in realtà, a fornire gli elementi necessari per fare chiarezza: il nipotino, dice la zia, aveva questo vizio da molto tempo ed era stato per questo severamente punito dalla madre.  Stefan Zweig nella sua magistrale biografia di Maria Antonietta giunto a narrare di questo incredibile episodio spiega così il maturare di un’accusa talmente mostruosa: “Un bambino, impigliato in una menzogna, non retrocede più; quando poi, come in questo caso, sente che la sua menzogna è creduta facilmente, anzi gioiosamente, si sente rafforzato nella bugia e ammette di buon grado, senza il minimo scrupolo, tutto quello che i commissari gli domandano. Per istinto di autodifesa insiste nella versione inventata, sentendo che questo varrà a risparmiargli un castigo…”. E Stefan Zweig fa anche un’annotazione a proposito dei giudici di Maria Antonietta, complici e vittime al tempo stesso di un clima collettivo di demonizzazione della regina che aveva determinato l’odio dell’opinione pubblica parigina: “I giudici erano per lo più sotto l’influenza di una vera e propria suggestione collettiva; per loro l’atroce calunnia del bambino si inseriva perfettamente nella diabolica immagine del carattere di Maria Antonietta, che i cento libelli pornografici avevano rappresentato ai francesi come il ricettacolo di tutti i vizi. Non vi è delitto, neppure il più assurdo e mostruoso, che possa suscitare in questi ossessi sorpresa o dubbio. Non si stupiranno dunque a lungo, non andranno a fondo della penosa inchiesta ma, non meno incoscienti di un bambino di nove anni, apporranno le loro firma quei documenti in cui è fissata una delle più mostruose bassezze che mai abbiano colpito una madre”. E la madre, colpita così profondamente dalla “macchina del fango”, perdona subito il Delfino incauto e chiacchierone e scrive a Madame Elisabetta: “Perdonatelo, mia cara sorella. Pensate alla sua età e quanto sia facile far dire a un ragazzo ciò che si vuole e anche quello che non comprende. Verrà un giorno, lo spero, in cui misurerà il valore della vostra bontà e della vostra tenerezza”. Quel giorno, invece, non arriverà né per il Delfino né per la zia calunniata.

Incrociare la tragedia con la cronaca non è sempre conveniente, perché il paragone fa risaltare la farsesca bassezza dell’oggi e il tragico significato degli eventi del passato. Su una sola cosa l’enormità del paragone può basarsi: per larga parte dell’opinione pubblica italiana Silvio Berlusconi, al di là dei verdetti delle corti che hanno a che fare con i suoi presunti reati, è un politico ormai screditato la cui condotta, le cui contraddizioni e la cui incoerenza dovrebbero indurre i suoi sodali a tenerlo alla larga dalla cosa pubblica. Esiste cioè un pregiudizio collettivo verso Berlusconi che è anche, come nel caso di Maria Antonietta, pregiudizio morale. Un’altra parte di italiani crede, con Giuliano Ferrara, che la doppia morale di Berlusconi (“buon padre di famiglia e puttaniere”, così lo ha definito durante la manifestazione di piazza Farnese) non sia uno scandalo anzi che lo avvicini al sentire comune di tanta gente. Un’opinione che nasce più da faziosità che da convinzione, a mio avviso, solo che si dovrebbe tenere fuori almeno il grande Nietzsche dall’orugia argomentativa in favore dei vizi privati dell’anziano leader del Pdl, ricordando che la doppia morale è proprio caratteristica intrinseca di quella borghesia che fu moralista quando si sentiva garantita dalla Dc e che oggi è libertina perché pensa che sotto Berlusconi pagherà meno tasse. Dunque l’opposizione non è tra moralisti e libertini, ma tra chi è opportunista e trasformista al punto da servire mille bandiere e mille morali e chi non è disposto a seguire questa condotta. 

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