Annalisa Terranova
È vero, della condanna a sette anni inflitta a Silvio
Berlusconi si è parlato fino alla nausea. Ma ci sono state alcune spigolature
che vale la pena di sottolineare, anche perché l’argomento non sembra aver
esaurito la sua portata mediatica, visto che se si accende la tv ci si imbatte ancora
o in Giuliano Ferrara che si mette il rossetto o in Daniela Santanchè che
sbraita contro l’indecenza dei giudici milanesi (e in genere, c’è da notare, i
perseguitati politici non possono godere di tali ridondanti difese, il che
basterebbe a togliere a S.B. questo status particolare di vittima). Dicevamo
delle spigolature: una indubbiamente interessante si trovava qualche giorno fa
su Il Foglio, dove veniva raccontato
del paragone fatto dal filosofo Roger Scruton tra il processo a S.B. e quello
per incesto alla regina di Francia Maria Antonietta. Vero è che ai tempi della
rivoluzione francese non c’erano le intercettazioni (mentre oggi abbiamo tutti
letto che S.B. prometteva a Ruby di ricoprirla d’oro in cambio del suo silenzio
e la invitava a “fare la pazza”) e oggi non c’è la ghigliottina ma il paragone
andava più in profondità. Il tentativo dei giudici di Milano sarebbe quello,
insomma, di togliere dignità morale all’imputato S.B. così come l’obiettivo del
tribunale giacobino era quello di presentare Maria Antonietta come la grande
meretrice di Babilonia che, nella sua fame insaziabile, non aveva esitato a
rivolgere i suoi appetiti verso il piccolo Delfino, suo figlio, di soli otto
anni. L’episodio del processo alla Reine de France è talmente stupefacente che
merita di essere ripercorso (anche al fine di rilevare che per fortuna nel 2013
gli imputati godono di garanzie ben diverse, a cominciare dai tre gradi di
giudizio).
Maria Antonietta, che per i suoi carnefici è ormai solo la
“vedova Capeto”, è rinchiusa alla Conciergerie. Nessuno può visitarla, nessuno
può rivolgerle la parola. Il Delfino è stato allontanato da lei e affidato a un
precettore, compito per il quale è stato scelto, in spregio alle consuetudini
aristocratiche, il ciabattino Simon. Costui e sua moglie sorprendono il piccolo
erede di Luigi XVI mentre cede ai “plaisirs solitaires”. Il ragazzo si
giustifica dicendo che sono state sua madre la regina e sua zia Madame
Elisabetta a insegnargli tali pratiche. A partire da questa avventata risposta
del Delfino viene costruita un’accusa mostruosa. Si accusa Maria Antonietta di
avere avuto rapporti incestuosi con il figlio, come si legge negli atti esibiti
al processo: “Il bambino ci ha fatto intendere che una volta la madre lo fece
accostare a sé , che ne risultò una copulazione alla quale seguì la tumefazione
di uno dei testicoli, a causa della quale il bambino porta ancora una
fasciatura, che la madre gli aveva raccomandato di non farne parola e che
questo atto si è ripetuto più volte…”. In realtà il ragazzo si era fatto male
in un punto delicato giocando con un bastone e un medico lo aveva fasciato.
Durante il processo il ragazzo ripeterà la sua versione anche quando viene messo
a confronto con la sorella e con Madame Elisabetta. È la deposizione di quest’ultima, in realtà, a
fornire gli elementi necessari per fare chiarezza: il nipotino, dice la zia,
aveva questo vizio da molto tempo ed era stato per questo severamente punito
dalla madre. Stefan Zweig nella sua magistrale
biografia di Maria Antonietta giunto a narrare di questo incredibile episodio
spiega così il maturare di un’accusa talmente mostruosa: “Un bambino,
impigliato in una menzogna, non retrocede più; quando poi, come in questo caso,
sente che la sua menzogna è creduta facilmente, anzi gioiosamente, si sente
rafforzato nella bugia e ammette di buon grado, senza il minimo scrupolo, tutto
quello che i commissari gli domandano. Per istinto di autodifesa insiste nella
versione inventata, sentendo che questo varrà a risparmiargli un castigo…”. E
Stefan Zweig fa anche un’annotazione a proposito dei giudici di Maria
Antonietta, complici e vittime al tempo stesso di un clima collettivo di
demonizzazione della regina che aveva determinato l’odio dell’opinione pubblica
parigina: “I giudici erano per lo più sotto l’influenza di una vera e propria
suggestione collettiva; per loro l’atroce calunnia del bambino si inseriva
perfettamente nella diabolica immagine del carattere di Maria Antonietta, che i
cento libelli pornografici avevano rappresentato ai francesi come il
ricettacolo di tutti i vizi. Non vi è delitto, neppure il più assurdo e
mostruoso, che possa suscitare in questi ossessi sorpresa o dubbio. Non si
stupiranno dunque a lungo, non andranno a fondo della penosa inchiesta ma, non
meno incoscienti di un bambino di nove anni, apporranno le loro firma quei
documenti in cui è fissata una delle più mostruose bassezze che mai abbiano
colpito una madre”. E la madre, colpita così profondamente dalla “macchina del
fango”, perdona subito il Delfino incauto e chiacchierone e scrive a Madame
Elisabetta: “Perdonatelo, mia cara sorella. Pensate alla sua età e quanto sia
facile far dire a un ragazzo ciò che si vuole e anche quello che non comprende.
Verrà un giorno, lo spero, in cui misurerà il valore della vostra bontà e della
vostra tenerezza”. Quel giorno, invece, non arriverà né per il Delfino né per
la zia calunniata.
Incrociare la tragedia con la cronaca non è sempre
conveniente, perché il paragone fa risaltare la farsesca bassezza dell’oggi e il
tragico significato degli eventi del passato. Su una sola cosa l’enormità del
paragone può basarsi: per larga parte dell’opinione pubblica italiana Silvio
Berlusconi, al di là dei verdetti delle corti che hanno a che fare con i suoi
presunti reati, è un politico ormai screditato la cui condotta, le cui
contraddizioni e la cui incoerenza dovrebbero indurre i suoi sodali a tenerlo
alla larga dalla cosa pubblica. Esiste cioè un pregiudizio collettivo verso Berlusconi che è anche, come nel caso di Maria Antonietta, pregiudizio morale. Un’altra parte di italiani crede, con Giuliano
Ferrara, che la doppia morale di Berlusconi (“buon padre di famiglia e
puttaniere”, così lo ha definito durante la manifestazione di piazza Farnese)
non sia uno scandalo anzi che lo avvicini al sentire comune di tanta gente.
Un’opinione che nasce più da faziosità che da convinzione, a mio avviso, solo
che si dovrebbe tenere fuori almeno il grande Nietzsche dall’orugia
argomentativa in favore dei vizi privati dell’anziano leader del Pdl,
ricordando che la doppia morale è proprio caratteristica intrinseca di quella
borghesia che fu moralista quando si sentiva garantita dalla Dc e che oggi è
libertina perché pensa che sotto Berlusconi pagherà meno tasse. Dunque
l’opposizione non è tra moralisti e libertini, ma tra chi è opportunista e
trasformista al punto da servire mille bandiere e mille morali e chi non è
disposto a seguire questa condotta.
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