Alberto Pezzini
Tutti pensiamo che il legal thriller sia il figlio dei romanzi di John Grisham.
Ammettetelo. Gianrico Carofiglio – che con l'avvocato Guido Guerrieri – ha
praticamente innestato in Italia ciò che negli Stati Uniti è un genere ben
preciso, è considerato anche lui un figlio di Grisham. Il socio viene di
solito indicato come il padre di tutti i romanzi che hanno come sfondo gli
studi legali e le battaglie furenti in tribunale, o davanti ad una giuria
popolare. Niente di più sbagliato. La nostra memoria tende a fallire nei
ricordi, soprattutto anche davanti a prove letterarie che in qualche modo
l’avevano incisa in profondità.
Il vero progenitore delle lotte forensi su
carta stampata resta Scott Turow e il suo Presunto innocente. L’aveva
scritto sul treno dei pendolari che lo portava – tutti i giorni – a lavorare
come avvocato a Chicago. In America il libro esce nel 1987, in Italia nel 1991
ed è pubblicato per Mondadori. Me lo ricordo bene, quel libro. Narra di un
pubblico ministero che viene incriminato per aver ucciso la propria amante. Si
scoprirà poi che il vero assassino è sua moglie, una professoressa di
matematica fredda e razionale come un rasoio o come l’algebra.
Quel romanzo fu ed incarnò una rivoluzione
copernicana a tutti gli effetti. Forse fece più danni de Il buio oltre la siepe
di Harper Lee, anche perchè portò sulla carta la vita dell'aula di giustizia,
vista da chi la conosceva molto bene e in modo fedele. Il thriller aggiunse
pimento alla storia giudiziaria e le diede uno slancio straordinario, come se
si trattasse di una corsa di Ribot.
Da allora Turow diventò uno scrittore famoso,
stracelebrato, tanto che nel 1999 la rivista
Time – per dirne una –
celebrò il suo nuovo libro, Lesioni personali, come il miglior
romanzo dell'anno.
Ma il più tosto resta Presunto innocente,
tanto che se ne fece anche un film, dove Rusty, il procuratore incriminato,
veniva interpretato da un Harrison Ford tutto sale e pepe e giustamente
incazzato come un puma se gli sparano ad una zampotta. Scott – che ha origini
italiane – si è laureato ad Harvard, facoltà di legge con la lode – non capite
cosa sia se non leggete un suo saggio specifico sul tema e su questa esperienza
di vita, Harvard Facoltà di Legge (sempre per Mondadori, 1995), mentre
era uscito negli States con il titolo di One L nel 1977.
È un libro da rileggere cinquanta volte nella
vita, per chi fa l’avvocato almeno cento. Fare gli avvocati vuol dire questo,
infatti:non avere mai tempo e quel poco che si ha bisogna travasarlo nel
diritto, nelle sentenze che si moltiplicano anche quando dormi, e il sonno non
basta mai. Come fare il militare ma in un corpo speciale.
Il segreto di Turow sta nel fatto che sa
scrivere bene. E, per un avvocato, che come handicap principale ha quello di
farsi capire dai giudici ai quali bisogna presentare ogni giorno tesi
persuasive per chiarezza e sintesi, è praticamente tutto. Cercatevi questi
libri, se non li avete mai letti. Poi mi direte cosa ne pensate di Ghrisham. Di quest'ultimo il suo libro migliore è Il
momento di uccidere e non Il socio.
Tanto per essere chiari.
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