Angelo Ardovino
I fatti di Turchia, gravi,
massicci e imprevisti, hanno sorpreso un po’ tutti. Eravamo abituati a pensare
alla Turchia come a un paese diviso in due, con un partito islamico moderato al
potere per un soffio, contro un partito kemalista, custode della tradizione
laica e repubblicana dell’antico dittatore Moustapha Kemal detto Atatürk, il
cui ritratto ti guarda ancora, con uno sguardo un po’ inquietante, in tutti i
locali pubblici del paese. Il primo sulla cresta dell’onda per i risultati economici
strabilianti ottenuti negli ultimi anni, l’abolizione della censura e le
aperture sulle questioni delle minoranze, ma potenziale pericolo per la libertà
perché intenzionato, in misura crescente negli ultimi anni, a ristabilire
oppressivi costumi islamici, il secondo portatore di valori laici, ma anche
sostenitore di tutte le dittature che ci sono state in Turchia dalla morte di Atatürk,
di scarso attaccamento alla democrazia ma con i suoi quadri nei posti vitali
del paese, esercito, polizia, magistratura. Tre giorni di incidenti, e ci
accorgiamo che (anche se nel paese ci sono gruppi contrapposti di teppisti che
corrispondono esattamente a questi due stereotipi) la situazione è diversa: i
ragazzi in rivolta cantano Bella ciao,
che non è precisamente l’inno di una dittatura militare, e i manifestanti
contro il governo islamico feriti vengono curati nelle moschee.
Forse c’è qualche giudizio da
rivedere. Ma è tutt’altro che facile, perché i governi kemalisti hanno speso
tantissimo in una propaganda distorta e fuorviante, che presentava Atatürk come
un campione di democrazia, il genocidio degli armeni come l’invenzione di una
lobby, la distruzione di Smirne come legittima difesa, i curdi come una tribù sottosviluppata
che parlava un dialetto turco, e non una propria lingua, decenni di occupazione
militare di Cipro Nord come una necessità senza alternative. Anche fior di
docenti hanno sostenuto queste cose. Le fortune economiche di Erdoğan poi
suscitano inquietudine, per cui gode di una stampa negativa, sostenuta da
circoli che preferirebbero una Turchia nei guai come i suoi vicini. Basti
pensare agli apprezzamenti quotidiani al limite dell’insulto che Antonio
Ferrari gli ammannisce sul Corriere della
Sera.
Dall’altra parte però non sono
tutte rose e fiori. È vero che, consapevole che il Corano ordini di rispettare
le altre religioni, il governo di Erdoğan ha adottato una politica favorevole
alle minoranze cristiane e ha restituito alle comunità greche e armene beni che
i governi nazionalisti laici avevano sequestrato, ma tutto ciò è soffocato
dalla petulanza con cui sono stati affrontati molti problemi di politica
religiosa. È pure vero che ha rimosso la censura che tutti i governi kemalisti
e laici avevano sempre tenuto in piedi, ma ha mantenuto un sostanziale
autoritarismo, come le dichiarazioni di Erdoğan all’inizio delle manifestazioni
a Piazza Taksim hanno ricordato a tutti. Ha anche avviato colloqui con i curdi
e il leader Ocalan, superando uno stallo che i nazionalisti laici non sapevano
gestire, ma non è riuscito a concluderli. Ha abolito i privilegi dell’esercito,
ma si è limitato a sostituire i vertici della Polizia, salvandone i vecchi
quadri, che si stanno segnalando per la loro barbarie. In più ogni tanto
spaventa l’opinione pubblica mondiale con progetti megalomani, dal canale per
raddoppiare il Bosforo, che trasformerebbe Istanbul in un’isola provocando un
dissesto ecologico senza precedenti, al ponte di 50 chilometri tra la costa
della Cilicia e Cipro.
In realtà queste due forze contrapposte
(che sono anche buona parte dell’opinione pubblica turca, oltre che quella dei
commentatori stranieri), non rappresentano la Turchia nuova. I fatti di questi
giorni le stanno superando. Quelli che si sono rivoltati difendono una libertà
messa in discussione da provocazioni inutili ed irritanti, di un regime
vittorioso ma ormai stanco, ma non vogliono tornare al passato. I giovani che
sfidano la polizia non rivogliono la censura che Erdoğan ha soppresso con
fatica, o il ripristino della disinformazione sui genocidi condotti ormai un
secolo fa’, e neppure il ritorno alla politica kemalista (soprattutto
economica); vogliono trovare il modo di andare in avanti; e non si stanno
scontrando con i musulmani.
Su ciò continuano a esserci
troppi pregiudizi. È vero che ci sono minoranze che è meglio perdere che
trovare, che hanno attentato al Papa, ucciso Don Santoro a Trebisonda, profanato
i cimiteri cristiani ad Imvro, e si potrebbe continuare. Ma non rappresentano
l’Islam più di quanto la guerra tra Cattolici e Ugonotti rappresenti il
Cristianesimo. I feriti che una polizia criminale vieta di trasportare in
ospedale sono curati in moschea, dove non importa a nessuno se sono scesi in
campo per la libertà di baciarsi in pubblico o comprare alcolici. A suo tempo i
capi della comunità islamica di Trebisonda avevano criticato l’idea di
ripristinare la funzione di moschea per l’antica chiesa, ora Museo, di Aya
Sofia, facendo notare che le moschee che c’erano in città bastassero. L’islam
turco è questo; il problema è che per motivi di equilibrio di partito Erdoğan
ha dovuto appoggiarsi a correnti più estremiste, diventando, ironia della sorte,
“più papista del Papa”. La lezione che si è presa gli basterà?
Infatti la gente ha preso come
provocazioni anche misure che magari qualcuno sta presentando come involuzioni
intollerabili, ma non sono affatto incivili e in altri momenti sarebbero
passate. Mesi fa circolò la notizia che il regime volesse imporre il velo nelle
università, ma in realtà voleva solo abrogare le norme kemaliste che lo
vietavano in modo categorico; in questi giorni si parla di proibizione degli
alcolici, lasciando intendere che si adottino misure da Arabia Saudita, mentre
il decreto ne vieta la vendita dalle 22 fino alle 6 di mattina: diversi paesi
nordeuropei di etica protestante hanno misure più rigorose. Però queste cose
oggi non si tollerano, perché la gente vuole scegliere.
Come è sbagliata l’affermazione
che l’aumento del PIL, che nella Turchia di Erdoğan è stato vertiginoso, non
sia importante! È importante sì, perché non è stato elargito da un tiranno
benevolo, ma è stato raggiunto da uno sforzo collettivo. Dunque tutti ne sono
padroni, e vogliono contare di più.
La crisi attuale perciò può
essere positiva. È l’occasione che si offre di sostituire un laicismo e una
democrazia imposte dall’alto con un laicismo e una democrazia maturate dal
basso. Era del tutto logico che al laicismo kemalista ci fosse prima o poi una
reazione, che combattesse le tante imposizioni ed i fenomeni di sradicamento
culturale che hanno segnato la Turchia moderna. Ed è altrettanto naturale che
si contrastino gli eccessi di questa tendenza. Se tutte queste cose riusciranno
a trovare un equilibrio, sarà un vantaggio per tutti, non solo per i turchi.
L'autore di questo articolo forse ha informatori poco affidabili e forse dovrebbe essere meno "invaghito" del primo governo islamico turco: l'AKP non e' certo un interprete contemporaneo del filosofo sufi Rumi, aperto e universalista.
RispondiEliminaE' vero l'opposto.
Se qualcuno pensava che l'AKP sanasse le divisioni storiche della Turchia (kemalisti e islamici, nazionalisti e curdi, eccetera) – e anche alcuni liberali lo speravano – la misura del successo, anzi del fallimento, e' visibile in questi giorni: un premier che dichiara di difendere "i diritti della maggioranza" e degli altri che non lo votano se ne infischia, che insulta i manifestanti, che inaugura il terzo ponte sul Bosforo e gli da' il nome del sultano Yavuz Selim, noto per avere massacrato gli Alevi (tuttora minoranza discriminata in Turchia: i loro luoghi di culto continuano a non essere riconosciuti dallo Stato), che lascia che la polizia usi violenza discriminata contro manifestanti pacifici. Un premier che al momento di tornare in Patria (e' successo ieri notte) invece di gettare acqua sul fuoco, appena sceso dall'aereo alimenta l'incendio con dichiarazioni che suggeriscono il suo intento di scatenare la violenza dei suoi partigiani contro i manifestanti: non c'e' nulla in tutto questo che giustifichi una "indulgenza" e comprensione culturale ammantata di motivazioni nobili e fini ragionamenti.
Ci sono chiare falsita' in questo articolo (ma chi le ha suggerite?): Erdogan non si e' "limitato a sostituire i vertici della Polizia" ma ha attivamente esteso il suo controllo sulle forze di sicurezza, su quelle normali e sui servizi.
La censura e' stata rimossa, formalmente, su alcune pubblicazioni bloccate da decenni: ma che valore puo' avere poter leggere un libro pubblicato trenta anni fa se puoi andare in galera oggi per un tweet?
Sabato sera, le televisioni nazionali , mentre la polizia gasava i giovani di piazza Taksim, le televisioni turche ignoravano strenuamente ogni menzione dei fatti; passava in tv un documentario sui pinguini.
La questione della religione e' trattata da Erdogan come una arma retorica per attirare l'attenzione su questioni secondarie e per polarizzare le opinioni nei due campi divisi e incomunicanti: pro-islamici e laici (giochetto che riesce anche con alcuni osservatori stranieri). E a lui questo fa gioco: all'AKP conviene infatti che si discuta di cose come se sia opportuno o no vendere alcool dopo le 22.00 di sera nei supermercati. Molto meglio parlare di questo piuttosto che della violazione quotidiana dei diritti umani, della gente messa in carcere senza poter conoscere i capi di accusa secondo leggi anti-terrorismo da regime dittatoriale, della assenza di un sistema giudiziario indipendente e della connivenza – in loco della separazione – dei poteri nello Stato Turco.
Caro amico, le mie informazioni sono tutte di dominio pubblico. Non si tratta di essere invaghiti del primo governo islamico, ma di 1) non permettere che si calunni l'islam, che è un movimento religioso prevalentemente moderato; 2) riconoscere che era inevitabile che una cultura in cui il laicismo era stato "imposto", e non era stato una conquista dal basso, avesse un contraccolpo. D'ora in poi il laicismo sarà migliore. Se poi Erdoğan non è all'altezza della situazione, peggio per lui. I Turchi sapranno combatterlo: auguri. L'importante è che stia emergendo una realtà nuova, in cui non c'è più solo lo scontro tra il kemalismo e l'AKP. In quest'ottica credo che la cosa più urgente fosse informare gli Italiani, che non seguono queste cose, che la Turchia non è più quella di Atatürk e che l'Islam turco non è quello dell'Arabia Saudita. Ho anche fatto cenno all'involuzione di Erdoğan; dovevo parlarne di più, ma bisognava partire da questioni preliminari, su cui ho ho riportato dati già noti. Se gli stessi dati, presentati in modo un po' diverso, fanno più impressione, vuol dire che il mio lavoro è riuscito.
EliminaTu sei molto più informato di me sulla repressione in corso facendo; scrivi un articolo, che io non valuterò in contrapposizione al mio, ma come un giusto competamento.