Luciano Lanna
È di quarant’anni fa una
vicenda che, raccontata può farci riflettere sul bigottismo consociativo che ha
per troppo tempo avvelenato il clima pubblico del paese e rallentato quella
richiesta di libertà che saliva forte nel paese, soprattutto dopo gli anni
Sessanta. Il 13 giugno del 1973, infatti, scoppia un caso Pci-Urss per Ultimo tango a Parigi, il film di
Bernardo Bertolucci che era già stato condannato e sequestrato dai tribunali
italiani. La rivista russa Sovetskaja
Kultura approva nettamente la sentenza di condanna del film da parte della
magistratura italiana e deplora anche il fatto che alcuni giornali “borghesi”
italiani abbiano difeso il film anziché chiederne una pena più grave. Il
paradosso è che tra questi giornali c’erano anche testate come l’Unità, che era addirittura l’organo del
Pci, e Paese Sera, da sempre vicino
alla sinistra.
La vicenda di quel film è
del resto da manuale. Appena girato, Ultimo
tango non ha noie insuperabili in fase di commissione di censura. Qualche
lieve sforbiciatura e il nulla osta è ottenuto. Quanto basta però per mettere
sull’avviso i magistrati in agguato. Il film comincia infatti la normale
programmazione in sala e al quarto giorno lo sequestrano. Il regista, il
produttore, lo sceneggiatore e gli interpreti saranno processati a Bologna.
Si
arriva però a una prima assoluzione e il film torna in circolazione con un
successo strepitoso: oltre sette milioni di spettatori in pochissimi giorni.
Allora il pm si appella e il film torna in tribunale. Altri giudici lo
giudicano, sempre a Bologna. Prevale la tesi dell’esaltazione del sesso e della
“distruzione dei valori morali”. Che la critica internazionale, pressoché
unanime, abbia elogiato il film di Bertolucci con Marlon Brando e Maria
Schneider non importa ai giudici, i quali condannano stavolta solo gli autori e
dispongono il sequestro delle pellicole. Gli imputati impugnano la sentenza in
cassazione e i magistrati annulleranno la sentenza. Ma non finisce qui: il
procedimento sarà riesaminato da una diversa sezione della corte d’appello di
Bologna ma, intanto in attesa dell’ultimo processo, Ultimo tango a Parigi rimane sotto sequestro per un lunghissimo periodo,
fino a quando con grandi ritardi verrà messo a disposizione delle sale.
L’eroe di tutta la battaglia
fu comunque l’avvocato Gianni Massaro, il legale che riuscì a riportare nelle
sale il film. A differenza dei censori, per lo più catto-comunisti, Massaro
s’era formato nel Fuan, si definiva missino e sin dall’inizio della sua
attività s’era scagliato sistematicamente contro la censura e la caccia alle
streghe che – per dirla con le sue stesse parole – aveva “come fine ultimo e
come sempre la libertà di pensiero, la cui repressione nasce con la delazione e
si esaurisce nel rogo”. Massaro, scomparso qualche anno fa, nel 1976 aveva dato
alle stampe un libro con la casa editrice SugarCo del suo amico Massimo Pini: L’occhio impuro. Cinema, censura e
moralizzatori nell’Italia degli anni Settanta. Fu lui, insomma, l’avvocato
“fascista”, a difendere Bertolucci e Marlon Brando e a riportare nelle sale Ultimo tango. Cosa che fece anche per Il Decameron e I racconti di Canterbury del “comunista eretico” Pier Paolo Pasolini
e per tanti altri film: Arancia meccanica,
La grande abbuffata, Il portiere di notte, Emmanuelle, Il giustiziere della notte, Amici
miei atto II, Il Pap’occhio, C’era una volta in America…
Questa era l’Italia (vera) degli
anni Settanta. Mentre i sovietici e molti comunisti nostrani erano di fatto allineati
al bacchettonismo dei democristiani, Gianni Massaro, l’avvocato con la foto di
Mussolini (e un’altra, più piccola, di Almirante) sulla scrivania difese per oltre trent’anni i massimi nomi
della cultura cinematografica e letteraria, anche di sinistra, del suo tempo,
da Pier Paolo Pasolini a Marco Ferreri, da Federico Fellini a Sergio Leone, da
Louis Malle ad Andy Warhol, da Paul Morrisey ad Alain Robbe-Grillet, da Bob
Fosse a Luigi Comencini, da Elio Petri ad Alberto Bevilacqua, da Alberto
Moravia a Ken Russel, da Citto Maselli a Mike Nichols. Ma questo (come
altro) lo sanno coloro che, nonostante tutto, continuano a dichiararsi eredi
della presenza postfascista nel secondo dopoguerra?
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