Giuseppe Mancini
Istanbul - Cosa succede qui a Istanbul e in Turchia? Facciamo attenzione alla
superficialità mediatica, e cerchiamo di capire quello che sta accadendo. La protesta ecologista per
salvare un parco nel cuore europeo della città – a ridosso di piazza Taksim –
da un oscuro e indefinito progetto di riqualificazione urbana si è trasformata,
a causa di uno sgombero affrettato e inflessibile da parte della polizia, in
manifestazioni contro il governo che hanno coinvolto decine di migliaia di
persone: non solo nella città sul Bosforo ma anche in molte altre città (come
Izmir e Ankara), a eccezione dei feudi elettorali del Partito della giustizia e
dello sviluppo del primo ministro Erdoğan. Un'esplosione di collera forse
inattesa per un paese in forte crescita economica e impegnato – oltre che nella
riscrittura della propria costituzione in senso democratico e liberale, per
sostituire quella autocratica del 1982 – in un processo di pacificazione con la
minoranza curda, pesantemente discriminata fin dagli albori della repubblica 90
anni fa: ma i segni del malcontento erano presenti e di facile lettura.
In sostanza, le proteste di piazza Taksim sono nate dalla
saldatura di tre diverse sensibilità. In primo luogo quella “verde”, originaria
e minoritaria, che si oppone ai sempre più numerosi progetti di
cementificazione: ma tra costoro c'è anche chi dice no per principio anche alle
infrastrutture – ponti, metropolitane, aeroporti – invece indispensabili; in
secondo luogo quella più diffusa e comunque spontanea di chi vorrebbe
l'emergere di una democrazia autenticamente avanzata e maggiormente
partecipata: e che mal sopporta lo stile abrasivo di Erdoğan; infine quella
prevalente e tutta ideologica delle forze politiche di orientamento kemalista e
nazionalista, umiliate da una serie di misure – consumo di alcol, educazione
religiosa e velo a scuola, simboli politici – contrarie ai principi costitutivi
del precedente regime, che consapevoli di non poter diventare in tempi brevi
maggioranza attraverso le urne cercano la spallata in piazza.
Le proteste hanno preso forme variopinte: cortei, caroselli di
auto con bandiere nazionali (anche con l'effigie di Atatürk), attraversamento
in massa e a piedi del ponte sul Bosforo, percussioni a ore prestabilite di
pentole e coperchi da parte di chi è rimasto a casa, slogan per chiedere le
dimissioni ai vertici politici; ma non sono mancati episodici atti di
distruttivo vandalismo: automezzi pubblici e privati dati alle fiamme,
barricate costruite con tutto ciò che capitava sottomano, attacchi contro la
polizia e contro sedi del governo e dell'Akp. Piazza Taksim come piazza Tahir,
dunque? La primavera araba che diventa turca? Assolutamente no! In realtà, la
primavera turca esiste ma non da ieri: è il processo di graduale smantellamento
– iniziato nel 2002 proprio dall'Akp di Erdoğan – delle strutture dello stato
autoritario, per dar vita a una democrazia che si vorrebbe avanzata.
Il processo non si è però compiuto – anche per le resistenze
delle forze d'ancien régime, che hanno dato vita a complotti golpisti – e la
qualità della democrazia in Turchia è ancora poco elevata: il processo
costituente si è infatti arenato e alcuni meccanismi autocratici sono ancora in
piedi. Manca soprattutto la trasparenza, la volontà di informare
tempestivamente i cittadini sui dettagli dei grandi progetti che vengono
continuamente avviati e di attivare canali di feedback verso le istituzioni: il
sindaco di Istanbul Kadir Topbaş lo ha riconosciuto esplicitamente, se la
municipalità e il governo avessero reso partecipi i dimostranti e se la
cittadinanza fosse stata consultata le proteste di piazza non sarebbero mai
nate. Dal canto suo, il premier ha mostrato inflessibilità retorica e
arroganza: ma dopo l'intervento del presidente Gül – per carattere e ruolo più
conciliante – la polizia è stata ritirata almeno da piazza Taksim (gli scontri
sono continuati in zone adiacenti e soprattutto a Izmir e nella capitale
Ankara); anche il leader dell'opposizione ha deciso – dopo l'intervento
presidenziale – di annullare la grande manifestazione di partito che era stata
già annunciata per sabato scorso. L'intensità delle proteste va scemando,
Erdoğan è partito per un viaggio in Algeria, Libia, Tunisia: ma se vorrà
conservare il sostegno popolare per i suoi progetti di modernizzazione,
rafforzare la democrazia è un passaggio prioritario e indispensabile. (http://istanbulavrupa.wordpress.com)
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