Annalisa Terranova
Parlo con un parlamentare
pidiellino, già nel Msi. Intelligente e colto, mi dice che Berlusconi è l’uomo
che ha lottato contro i poteri forti, che la condanna contro di lui per
concussione è pura barbarie, che con lui sono stati arrestati i capimafia più
temibili, che lo spread è stato un imbroglio di certa finanza contro il governo
di centrodestra. Non ci sono macchie, in questa vulgata berlusconiana, che ho
ascoltato con raccapriccio ma anche affascinata dalla pervasività del luogo
comune propagandistico che tiene insieme il Pdl. Allo stesso tempo, ovvio, io
venivo accusata di infantilismo, di travaglismo, di amore per la furia
inconcludente di chi distrugge ciò che altri, faticosamente, hanno costruito.
Ma soprattutto ciò che dico io non fa prendere voti, questa è l’accusa, ciò che
dico io disorienta, confonde. E in questo io sarei la perfetta incarnazione del
finismo fallimentare e fallito. Lo racconto per far capire quante chance abbia
un certo mondo travolto dalle divisioni di ritrovare compattezza e unità. Ma
gli elementi veramente interessanti della conversazione sono altri: il punto è
che se i topoi del berlusconismo hanno fatto breccia anche in questa persona
allora c’è poco da fare, pochissimo da ricostruire.
Altro episodio: un amico mi ha
scritto di recente per commentare uno di questi convegni sulla ricostruzione
della destra. Aveva percepito molta fuffa in tutti questi discorsi. Manca l’autocritica,
annotava. Manca la considerazione del fatto che chi è stato complice della
distruzione non è credibile come ricostruttore. Ma questo è un fattore se
vogliamo morale e non certo politico.
Questi episodi servono da
premessa per far comprendere quanto siamo precipitati in un caos di linguaggi
incomprensibili dove l’unico lessico che si capisce davvero è proprio quello
berlusconiano. Che non è un linguaggio né di destra né di sinistra: è
immediato, semplificatorio, a volte falsificante ma nel suo essere del tutto
privo di sovrastruttura ideologica va dritto all’obiettivo. Votami e ti tolgo l’Imu;
votami e avrai la libertà contro la sinistra che ti vuole opprimere; votami e
avrai la crescita, le grandi opere, le Olimpiadi sotto casa, il benessere, le
fiction, le pensioni più alte, posti di lavoro. Non sto a dilungarmi perché
sono cose note e arcinote. Sottolineo l’assenza desolante in questo discorso di
elementi tratti da quella che un tempo chiamavamo “cultura di destra”. Ma questo
è il minimo: se la destra non è stata capace di farli valere, certi suoi
principi di riferimento, non si può certo addossarne la colpa a Berlusconi. Il
guaio è che tutto questo mirabolante repertorio propagandistico è diventato “la
destra” per l’opinione pubblica. A questa obiezione il parlamentare mio
interlocutore ha obiettato che nel Msi c’erano armamentari propagandistici ben
peggiori (ripensandoci ce n’erano: la pena di morte, l’assegno alle casalinghe,
l’apologia del “carabiniere” missino) e in An c’era il vuoto. Tutto vero. E
proprio nell’inseguire questa involuzione del mio ex mondo di appartenenza,
questa sua propensione a sopravvivere purchessia anche in assenza di un
progetto proprio, anche in assenza di un obiettivo esaltante che non sia “battere
la sinistra”, anche a costo di agitare vuoti slogan, mi imbatto in una bella
pagina de La Lettura (inserto
culturale del Corriere) in cui si
racconta come Edi Rama, vincitore delle elezioni in Albania, voglia fare un
investimento politico sulla bellezza rivoluzionando i colori della periferia di
Tirana. Edi Rama. In Albania. Cito. “Ha cancellato il colore grigio comunista dalle
facciate dei palazzi di Tirana sostituendolo con un onirico piano dei colori:
un balcone rosso, quello accanto blu, la facciata arancione, i cornicioni
azzurri e verdi…”.
La bellezza. Anche questa
battaglia non è più ascrivibile all’immaginario di destra. Anche questa
suggestione, dopo il pregevole film del regista liberal Paolo Sorrentino,
riposa nel cimitero delle occasioni perdute per il mio ex mondo di provenienza.
E non potrebbe essere altrimenti perché la destra si è involgarita, si è
imbruttita, è irriconoscibile. Tuonava un tempo contro quell’edonismo straccione
che è oggi uno dei connotati di cui va più fiera. E’ irriconoscibile anche rispetto all’estetica
bohemien e disperata dei primi cortei missini cui ho preso parte (e qui il mio
interlocutore ha obiettato che, poiché sto invecchiando, rimpiango gli anni
Settanta che in realtà facevano schifo perché la gente nostra moriva per
strada). Ma l’estetica non ha un’età di riferimento. L’aspirazione al bello
crea genuine disuguaglianze e nulla è più di destra, se vogliamo, di questa
inclinazione che oggi viene abbandonata per inseguire, con i voti, l’estetica “cafonal”.
Si difende Briatore. Si difendono le feste con le maschere da maiali. Si fa
diventare icona lo stile da “pitonessa” di Santanchè. Piace il dito medio
alzato. Piace la bava alla bocca. Si ostenta disprezzo per la cultura che non
si mangia. E poi c’è il repertorio di battute tipo “lei quante volte viene?”… E
se questo non ti garba, per ragioni estetiche prima ancora che etiche, sei
radical, sei moralista, sei troppo poco organica al comune sentire della gente.
Dietro l’etichetta giustificatoria del nazionalpopolare passa di tutto, passa
il politicamente scorretto e anche il civilmente scorretto, e le ambizioni di
un tempo (infantili, certo, ma almeno c’erano) evaporano nel nulla, come il
rutto di un camionista.
La battaglia per la bellezza
avrebbe dovuto essere amore per l’ambiente, per il paesaggio, per i beni
culturali, per la salvaguardia dell’italiano, per la cura delle radici, per il
decoro urbano, per la riqualificazione delle periferie. Tutte cose perdute,
tutte cose lasciate nelle mani di una sinistra che ha edificato mostri come
Corviale mentre la destra, dopo avere governato portando nel centro storico di
Roma bancarelle e camion bar, ora fa l’opposizione al sindaco Marino perché non
vuole far circolare le auto private attorno al Colosseo. Io sogno che le parti
si invertano un giorno. La destra che difende il Colosseo e la sinistra che
tutela gli automobilisti. La destra per l’ordine, la sinistra per il caos. Come
dovrebbe essere, in fondo. E sogno i ragazzi di destra, anziché intenti a postare
su FB fasci littori e slogan sulla libertà dei marò, che si attivano per un po’
di guerrilla gardening in città e forse, chissà, potrebbero aggregare
diciottenni volenterosi. Forse, forse, forse… Eppure c’è stato un tempo in cui
le idee sgorgavano efficaci da quella fonte emarginata che era il mio ex mondo
di appartenenza. In cui c’era voglia di rimettersi in gioco, di svecchiare
canoni di rappresentanza consolidati, in cui si era rigidi dinanzi ai compromessi,
anche verbali, anche e soprattutto estetici. Ho un album in cui conservo le
foto dei ragazzi dell’Aurelio che ristrutturano un asilo nido. non per soldi ma
per rappresentare la politica che costruisce o, come si sarebbe detto nella
lingua missina doc, per passare dalle parole ai fatti. Appaiono sorridenti e
fieri. Oggi siamo tutti più vecchi. Alcuni sono invecchiati male, altri non ci
sono neanche più. Ma, come dice una
bellissima canzone, “ci vuole del talento per riuscire ad invecchiare senza
diventare adulti”. La destra adulta, la destra che parla in arcorese, la destra
che esalta imprenditorialità e managerialità (che poi vuol dire esaltare chi si
sa fare meglio i cazzi propri) non ha più i colori di un tempo (non ha in ogni
caso i miei colori), è grigia come le case di Tirana che Edi Rama vuole
ridipingere. Chissà, forse abbiamo bisogno di pittori e non di intellettuali e
di politici. Chissà…
Carissima Annalisa leggo con vero piacere la Tua firma su un articolo che non si puo' non condividere. Un caro abbraccio, Andrea de Leitenburg
RispondiEliminaCondivido al 100% questo bello e amaro articolo. Mi viene pero' alla memoria quanto mi diceva una amica: la destra che hai in mente tu (quella che questo articolo vorrebbe) esiste solo nella tua testa! E' sempre piu' vero, non esiste e non e' mai esistito un movimento organizzato con queste basi. Esisteva una illusione che vi fosse la possibilita'crearlo, che venisse realizzato e che ciascuno potesse parteciparvi per la parte. Gianfalco
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