Riccardo Ponti
Alcuni eventi di quest'ultimo anno inducono a una riflessione
sulle modalità di acquisizione e di perdita del Potere nell'odierno mondo
globalizzato. Connessi permanentemente 24 ore su 24, tutti noi abbiamo potuto agevolmente
“deliziarci” o allarmarci esercitando il nostro “tifo” sui fuochi d'artificio
nell'agorà Tahir del Cairo e sullo sbeffeggiamento ad aprile di Dario Franceschini
in un ristorante romano. Ma, al di là della superficie, c’è davvero un ritorno
delle piazze, delle folle non più solitarie?
Le apparenze sembrano simili a dove tutto ebbe inizio ovvero in
quella giornata di metà luglio del 1789 quando una folla di “arrabbiati” diede
l'assalto alla Bastiglia, la prigione simbolo dell'oppressione. Non è difficile
proseguire con le icone che gli scrigni dell'immaginario ci proiettano
mentalmente come le barricate europee del 1848 fino al pavè divelto nel maggio parigino del 1968.
Tuttavia la teoria della piazza in tumulto, dello sciopero
generale o l'assalto al Palazzo d'Inverno è sempre restata comunque
propedeutica all'instaurazione di diritti costituzionali, alla fiducia nella
democrazia, in definitiva alla fede nel giorno X delle votazioni col suo esito
nella forma parlamento, come ultima istanza; fosse pure farsa come nei regimi
socialisti o in quelli arabi post-coloniali.
Ora è tutto diverso: non è solo l'esercito d'Egitto ma anche le
classi dirigenti occidentali a dare l'impressione di volersi disfare del suffragio
universale democratico, paradossalmente preferirebbe fare a meno degli
elettori, non solo quelli altrui: ne fu un esempio in Italia la defenestrazione
(concordata) di Berlusconi nel novembre del 2011. L'astensionismo crescente che
si registra ora rispecchia la sindrome Bruxelles, un potere distante dai
cittadini, afflitti da una sorta di metafisico senso di colpa per il debito
pubblico e che mediante paralizzanti formule pseudo-teologiche sono condannati
a tassazioni infernali: del tipo i conti non sono a posto, siete fuori dai
parametri, l'Imu non si può abolire, etc etc.
Si sprecano le parole per legittimare là “un colpo di Stato di
velluto”, qui “il senso di responsabilità” verso lo Stato che permettono di
procrastinare la carica presidenziale o di far subire, senza alcuna procedura democratica,
le larghe intese. Forse bisognerebbe aggiungere al testo magistrale di Curzio Malaparte
Tecnica del colpo di Stato gli ultimi
trucchi emersi dall’attualità, come le 22 milioni di firme egiziane contro
Morsi che nessuno ha visto o appurato e dall'altra la storia degli F-35 in cui
al Parlamento italiano non spetta più la decisione finale.
Se ci si chiedesse come si prende e si mantiene il Potere magari
domandando dove sia andata a risiedere la sovranità nazionale, ci si potrà
rendere conto di come in realtà si sia conclusa l'epoca delle classi politiche,
della rappresentanza dei partiti e con essi tutto l'armamentario degli eletti e
degli eleggibili (legge elettorale, congressi, mozioni, primarie, i meet-up e le espulsioni).
Le vicende interne delle tre forze vincitrici del voto italiano
del 25 febbraio risultano assai istruttive. Bisognerà arrendersi alla evidenza
che non solo in Egitto ma che anche le democrazie occidentali stanno esalando i
loro ultimi respiri delle formalità procedurali di un tempo, del resto non c'è
da farsi illusioni nessuno né in Egitto né in Europa né tantomeno in Turchia e
in Brasile potrebbe sollevare il pesante tallone che grava sul mondo dal 2008,
quando emerse la verità sulle banche. Da lì è mutato il paradigma del dominio:
è iniziata apertamente l'era del potere delle oligarchie della ricchezza. Una
ricchezza oscenamente prodotta in un circuito che integra sfruttamento
schiavistico, raggiri dei derivati, ed inebetimento da brand. I privilegi di quell'1 per cento si confrontano con una
massiccia povertà e miseria che i tagli nel welfare degli stati occidentali fa
aumentare di giorno in giorno. A questi “dominatori” non serve la politica,
come non serve più l'università, il pensiero, sanno che non possono neanche più
permettersi di trarre un consenso minimo da parte del restante 99 per cento di
popolazione. Basta loro l'imbonimento dai media.
Questa situazione va piuttosto rapidamente verso un inesorabile
punto di squilibrio: il malanimo nei confronti della casta, combinato col 60
per cento di disoccupazione giovanile, finirà, secondo un realistico
machiavellismo, per generare nelle città una serrata critica pratica. Sarà
uguale a ciò che molti prevedono per l'Egitto o invece sarà una rivolta non
violenta nel segno di quelle che abbatterono il muro di Berlino, si eviterà
come fece Beppe Grillo all'indomani della rielezione di Napolitano di gettare
benzina sul fuoco ?
Saranno fantomatiche guerre esterne umanitarie o interne guerre
civili di repressioni dei propri cittadini a tentare di far sopravvivere un
tale sistema del tutto impossibilitato a soluzioni della crisi mondiale?
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