martedì 26 marzo 2013

Quelli che "si dimettono" dalla Chiesa di Francesco




Luciano Lanna
Non ci piace la logica del dire “abbiamo avuto ragione” o “avevamo visto giusto noi”. Ma la tentazione c’è comunque stata di fronte alla notizia – lanciata sulla prima pagina del berlusconiano Giornale – delle “dimissioni” dal cattolicesimo di Magdi Allam. Uno sbattere la porta come se una fede fosse un taxi o un autobus sul quale si sale e si scende a seconda dell’interesse strategico del momento. Eppure lui, l’ex giornalista italo-egiziano di Repubblica e poi passato improvvisamente alla vicedirezione del Corriere, spiega che considera “conclusa” la sua conversione, quella sua adesione al cattolicesimo  “orgogliosamente” connessa, come ha precisato, a una visione del cristianesimo come “civiltà”. Un’accezione della fede che sa tanto – noi lo scriviamo e denunciamo da un decennio – di riproposizione di quella tentazione maurrasiana condannata a suo tempo dalla Santa Sede quale eresia essenzialmente atea e anticristiana. Non a caso Magdi Allam è, dal suo punto di vista, esplicito sia su questo punto spiegando di concepire l’identità cristiana come una realtà legata a fattori come la Nazione e la Civiltà: “La Chiesa – scrive nel suo commiato via Giornale – da sempre accoglie nel suo seno un’infinità di comunità, congregazioni, ideologie, interessi materiali che si traducono nel mettere insieme tutto e il contrario di tutto. Così come la Chiesa è fisiologicamente globalista fondandosi sulla comunione dei cattolici in tutto il mondo, come emerge chiaramente dal Conclave. Ciò fa sì che la Chiesa assume posizioni ideologicamente contrari alla Nazione come identità e Civiltà da preservare, predicando di fatto il superamento delle frontiere nazionali…”. Lo ripetiamo, perché lo denunciammo personalmente nell’ottobre del 2005 nel convegno viterbese “Volo di notte”: questa modalità di presentare il cattolicesimo come strumento politico, riproponeva nei primi anni Duemila le tesi nazionaliste e di estrema destra di Charles Maurras e del suo movimento politico Action française, tesi che presentavano l’identità cristiana come sovrastruttura di unificazione politica e di civiltà. Tesi che però già negli anni Trenta del Novecento erano state condannate ufficialmente e sanzionate dalla Chiesa. Preparata già dal 1913 da papa Pio X – con l’esplicito rimprovero di subordinare la religione alla politica e al nazionalismo – la condanna arrivò infatti il 29 dicembre 1926: papa Pio XI metteva all’indice i libri di Maurras per decreto del Sant’Uffizio e l’8 marzo del 1927 agli iscritti all’Action française venivano addirittura interdetti i sacramenti.
Nonostante ciò, tali tesi tornano di moda quasi un secolo dopo, soprattutto dopo l’11 settembre 2001. Vittorio Messori, l’intellettuale cattolico che è stato l’intervistatore ufficiale di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, ha da subito invitato a diffidare di chi, anche sull’onda della seconda presidenza di Bush jr, sollecitava “un uso della fede cristiana in funzione di copertura a battaglie politiche insieme al riferimento retorico alle radici cristiane ridotto a puro slogan da parte di coloro che non sono interessati alla vita reale di queste radici, ma a manifesti ideologici per giustificare scontri di civiltà o magari carriere politiche…”.
Eppure dal 2002 al 2006 è stato un crescendo di prese di posizione e manifestazioni ispirate a un neo-maurrasismo giustificato in nome della battaglia al relativismo e alla diffusione in Europa e in Occidente dell’Islam. Da destra, ma anche da parte di un certo occidentalismo già progressista e passato ad auspicare e delineare una nuova destra liberal-conservatrice.
Così, nel 2006 fu l’allora presidente del Senato Marcello Pera a lanciare una fondazione, Magna Charta, con l’obiettivo di salvare l’Occidente in nome dei presunti valori della cristianità. Per l’esattezza, con un manifesto, firmato da sessantasette esponenti della politica, della cultura e delle associazioni, Pera si diede il compito di preservare le tradizioni (citate quattro volte nel testo),”l’identita”, “i principi universali”, i “costumi millenari” e il “primato cristiano” di una civiltà “minata dall'interno da una crisi morale, culturale e spirituale”. Era quello il momento dell’emersione di tutta una serie di neo-convertiti al cattolicesimo da posizioni ultralaiciste di qualche anno prima. In prima fila al convegno indetto da Pera c’erano infatti gli ex comunisti Sandro Bondi e Ferdinando Adornato e l’ex radicale Gaetano Quagliariello (poi si aggiungerà dalle stesse file Eugenia Roccella), e non mancavano i “destri” Gianni Alemanno e Alfredo Mantovano. Ma seduti c’erano anche i giornalisti Fiamma Nirenstein e, appunto, Magdi Allam. Commentava giustamente su Repubblica Filippo Ceccarelli: “Mettere in agenda nientemeno che la crisi della civiltà occidentale rischia più che altro di mettere a nudo vanità, tornaconti, velleità e inadeguatezze. E poi: ammesso che questa crisi ci sia davvero, e che sul serio sia proprio il relativismo, come dice Pera, il veleno che attraversa la civiltà occidentale, ecco, il sospetto è che a questo esito non siano del tutto estranei molti di quelli che hanno firmato la magna charta del presidente del Senato”.
Sullo sfondo c’era, evidente, il tentativo di strumentalizzare il pontificato di un papa teologo come Ratzinger, sottacendo la sua attività al tempo del Concilio Vaticano II come i suoi scritti sulla bellezza delle fede o sul pensiero di Agostino. E su questo scenario arriva la “conversione” al cattolicesimo di Magdi Allam, avvenuta per mano di Benedetto XVI nella notte della Veglia Pasquale il 22 marzo 2008, preparata da un cattolico pidiellino come Maurizio Lupi. Anche se qualcuno, va ricordato, aveva comunque espresso qualche dubbio. Come il vaticanista de La Stampa Andrea Tornielli: “Dopo aver letto la lettera con la quale Magdi Cristiano Allam ha raccontato la sua conversione ho visto approfondirsi e acuirsi il mio dubbio. Mi è sembrato fuori luogo il fatto che a poche ore dal battesimo ricevuto (un dono di grazia) Allam abbia pubblicato una sorta di manifesto antimusulmano dicendo che ‘la radice del male è insita in un Islam che è fisiologicamente...”. Tornielli, intanto, ricordava come Magdi Allam in precedenza non fosse stato un musulmano professante ma un egiziano laico. “Mi rallegro – aggiungeva Tornielli – per l’approdo a cui il giornalista è giunto dopo un cammino interiore e degli incontri significativi. Non discuto in alcun modo la scelta di celebrare il battesimo in San Pietro. Discuto, invece, il significato anti-islamico che Allam ha voluto dare fornendo la mattina di Pasqua l’interpretazione del gesto del Papa. Interpretazione battagliera, che non mi risulta poi così condivisa Oltretevere. Vorrei ricordare, perché è importante farlo, che dopo il discorso di Ratisbona 138 intellettuali musulmani hanno scritto al Papa e si sono gettate le basi per il dialogo”. Magdi Allam, in un articolo intitolato “La doppiezza del terrore”, aveva invece espresso critiche durissime ai 138, bollando tra l’altro come ingenue le reazioni del cardinale Angelo Scola (patriarca di Venezia) e Jean Luis Tauran (presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso). “Allam – proseguiva Tornielli ­– ha inoltre sostenuto fino in fondo la guerra anglo-americana contro l’Iraq, osteggiata da Giovanni Paolo II e realisticamente descritta come catastrofica da Benedetto XVI”.
L’atteggiamento dei cristiani verso l’Islam d’altronde è quello ufficialmente sancito dal Concilio Vaticano II e ribadito più volte da Papa Benedetto XVI, il quale 25 settembre del 2006, nonostante del tesi dell’allora neo-convertito Magi Allam, dirà: “In un mondo segnato dal relativismo, e che troppo spesso esclude la trascendenza dall’universalità della ragione, abbiamo assolutamente bisogno d’un dialogo autentico tra le religioni e tra le culture, un dialogo in grado di aiutarci a superare insieme tutte le tensioni in uno spirito di proficua intesa. In continuità con l’opera intrapresa dal mio predecessore, il Papa Giovanni Paolo II, auspico dunque vivamente che i rapporti ispirati a fiducia, che si sono instaurati da diversi anni fra cristiani e musulmani, non solo proseguano, ma si sviluppino in uno spirito di dialogo sincero e rispettoso, un dialogo fondato su una conoscenza reciproca sempre più autentica che, con gioia, riconosce i valori religiosi comuni...”. 
Ecco, adesso, cinque anni dopo, e sempre in prossimità della Santa Pasqua, Magdi Allam esce, se ne va, sbatte la porta. “E’ vacillata la mia fede nella Chiesa”, dice. E spiega questo suo distacco soprattutto per la legittimazione cattolica dell’Islam come vera religione accomunata a quella di Roma dalla fede nell’unico Dio creatore, del Corano come testo sacro e religioso, delle moschee come luogo di culto: “E’ una autentica follia suicida – sostiene, giudicando anche i Papi – il fatto che Giovanni Paolo II si spinse fino a baciare il Corano il 14 maggio 1999, che Benedetto XVI pose la mano sul Corano pregando in direzione della Mecca all'interno della Moschea Blu di Istanbul il 30 novembre 2006, e che Francesco I ha esordito esaltando i musulmani che adorano Dio unico, vivente e misericordioso”.
Insomma, adesso è tutto chiaro. Le “dimissioni” di Ratzinger e l’arrivo di Bergoglio hanno fatto saltare il tappo. Nessuno può più pensare di imprigionare la Chiesa nei suoi schemi umani, troppo umani. Di disinnescarne la carica di misericordia e speranza. Il cristianesimo torna prepotentemente a riproporsi come salvezza e redenzione, come lo stupore di un incontro con qualcuno che ti stava aspettando. Non moralismo, non adesione intellettuale a un sistema, non ritualità fine a se stessa, non copertura a presunti progetti di civiltà. Ci pensino bene tutti coloro che ancora pensano di “usare” la Chiesa e i cattolici per lanciare le battaglie dai toni da crociata unicamente in difesa di valori cosiddetti non negoziabili. La speranza e la salvezza sono qualcosa di molto più reale e di molto più importante dei valori. Andassero a rileggersi la polemica anti-pelagiana di Sant’Agostino.

9 commenti:

  1. A Medjugorje non leggono e non commentano Magdi Allam,né neo o vecchi con, ma in nome e per conto dei messaggi della Regina della Pace invitano a non negoziare su aborto, divorzi, manipolazione genetica e libertà di educazione. Idem Padre Pio e lo stesso Papa Francesco (leggi quello che ha scritto sui matrimoni omosessuali). E' troppo debole il pensiero di dar ragione a don Gallo, Kung e alle altre anime belle moderniste in virtù delle forzature di Magdi Allam e di qualche laico fedele consonante.

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  2. Trovo stupendo inneggiare alle condanne della Chiesa inflitta a Maurras e dimenticare quelle contro i modernisti e contro i comunisti! A rileggere la riflessione di Luciano Lanna, sembra quasi che l'unico tentativo di "ingabbiare la Chiesa in schemi umani" in atto sia condotto dai laici fedeli e dai neo-con!!!! Ma il rovesciamento del Catechismo cattolico posto in essere da Micromega, l'Espresso, Repubblica, Vito Mancuso e soci, il buon Lanna non lo vede?!?!? O si fissa solo sulle imperfezioni di destra?!?! Eppure ricordo un suo bell'articolo sul secolo d'Italia agli inizi di luglio 2009 in cui applaudiva e condivideva il manifesto valoriale promosso da Alemanno, Mantovano, Sacconi, Cicchitto, Quagliariello e financo Stefania Craxi dal titolo "La persona prima di tutto"!!! O forse le analisi risentono delle successive divergenze politiche?!?!? Ai posteri l'ardua sentenza. Io non posseggo lauree, sono solo un misero autodidatta, che però non ama essere menato per il naso....

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  3. A parte che se parliamo della tentazione maurassiana, che è quella che coinvolge Allam e gli atei devoti, cosa c'entra la critica ai marxisti e ai comunisti che è altra cosa e che in altra sede potremmo affrontare. Qui si parlava della pericolosa offensiva anticristiana messa in opera da alcuni ambienti cristianisti e di destra. Così come non c'entrano l'offensiva neolaicista, che è ancora altra cosa. L'articolo di cui poi parla Martucci era in realtà un mio modo per criticare quel manifesto, strumentale molto strumentale, invitando invece a riscoprire il vero personalismo, quello di Mounier, Maritain e gli altri pensatori cattolici. Ma vedo che Martucci non è molto addentro alle cose cattoliche. E gli ricordo che le mie analisi si rifanno a quanto scrivono persone come il professor Massimo Borghesi, il vaticanista Lucio Brunelli e tanti altri cattolici doc...Peccato che Martucci non riesca a liberarsi dal tradizionalismo cattolico, che è altra cosa perniciosa come il modernismo

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  4. Dalla mattina alla sera la maggior parte dei lettori si imbatte nei quotidiani e nei periodici più diffusi in Italia: La Repubblica, Il Corriere della Sera, La Stampa, Il Messaggero, Il Fatto, L'Espresso, ecc. Molti di meno, invece, leggono Il Giornale, Libero, Panorama, il Foglio e il Secolo d'Italia (ormai solo sul web). Pertanto un osservatore sereno ed attento, libero cioè da ossessioni e pregiudizi, saprebbe riconoscere che è molto più vasta e diffusa la tentazione di ideologizzare la fede in senso marxista (teologia della liberazione con cui si è dovuto misurare pure il cardinale Bergoglio in Argentina tra le file dei suoi confratelli gesuiti) o modernista che non tradizionalista. Ma evidentemente questa serenità manca al mio interlocutore se è costretto pure a modificare nei ricordi gli esatti contenuti del suo articolo sul manifesto LA PERSONA PRIMA DI TUTTO (il valore della persona nella regolazione sulla vita e nell'economia sociale di mercato). Per sua sfortuna io conservo il suo articolo pubblicato sul Secolo d'Italia venerdì 3 Luglio 2009. Se necessario lo trascrivo integralmente qui a beneficio della sua memoria e degli altri lettori. Giusto per sfuggire alle tentazioni di modificare il passato per renderlo compatibile con nuovi orientamenti del presente. Forse il cattolicesimo è meglio sperimentarlo di più e raccontarlo di meno....

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  5. LA PERSONA PRIMA DI TUTTO
    (prima parte dell'articolo pubblicato da Luciano Lanna sul secolo'Italia venerdì 3 Luglio 2009)

    È un appuntamento che non passerà senza ricadute simboliche e politiche il convegno che si è svolto questa mattina a Roma sul tema "La persona prima di tutto" organizzato dalle fondazioni Craxi e Nuova Italia. All'incontro interverranno il sindaco Alemanno e il ministro del Welfare Sacconi, ma anche altre figure di primo piano della maggioranza: da Frattini e Castro a Quagliariello e Lupi, da Stefania Craxi e Cicchitto a Landolfi e ad altri. Laici e cattolici insieme per rilanciare il più autentico nucleo ideale attorno al quale è possibile costruire l’unica prospettiva e nuova sintesi politico-culturale adeguata all’epoca della fine della grandi narrazioni ideologiche: il personalismo.
    «Prima viene la dignità della persona», ha del resto spiegato l’altro giorno Fini intervenendo in Spagna a un forum del quotidiano El Mundo. E già nel suo intervento del 22 marzo al congresso di scioglimento di An, lo stesso presidente della Camera aveva parlato del «primato della dignità della persona» come l’esigenza principale che va garantita e tutelata da un’azione politica: «Lo Stato deve garantire a tutte le persone l’esercizio delle libertà. È questa una concezione di tipo culturale che ha delle conseguenze quando si affrontano i tempi della sicurezza e quelli connessi alla legalità». E per questo, sosteneva, la vecchia iconografia della destra “legge e ordine” oggi va nettamente superata verso un’altra prospettiva in cui «viene difesa e in qualche modo incrementata la dignità della persona umana». D’altronde, già nel 1949, esattamente sessant’anni fa, Mounier, l’intellettuale francese che nei primi anni Trenta aveva coniato e tematizzato la nuova sintesi, così spiegava il personalismo: «Non è filosofia, ma svolge un ruolo preciso contrapponendosi a tutto ciò che si oppone alla realizzazione del compito personale. Si caratterizza in tal modo polemicamente come anti-ideologia». E l’ideologia appariva nella sua prospettiva come la negazione strutturale del primato della persona. Sulla scorta di alcune intuizioni di pensatori come Proudhon e Peguy, Mounier – con la sua rivista Esprit – lavorò tutta la sua vita per affermare una visione realistica dell’uomo in contrasto e in alternativa sia all’individualismo utilitaristico che ai totalitarismi che si erano affermati nella prima parte del Novecento.
    E non fu il solo: sempre negli anni 30 e sempre in Francia sorse, attorno alla rivista Ordre Nouveau, un’avventura intellettuale vissuta da un pugno di uomini di pensiero – Alexandre Marc, Denis de Rougemont, Robert Aron, Arnaud Dandieu... – che, constatando come la democrazia fosse aggredita dalla massificazione e dall’ideologizzazione oltre che dagli strumenti stessi della democrazia, elaborano un progetto di federalismo personalistico, fondato sul primato della persona, il rifiuto di ogni forma di asservimento dell’uomo, il ripudio delle ideologie come griglie deformanti della complessa e originale realtà umana, la proposta di articolare la società in strutture a misura d’uomo. Sullo stesso percorso si mossero, in altri contesti geografici e culturali, anche altre figure come Hannah Arendt, Simone Weil, Paul-Ludwig Landsberg, Gabriel Marcel, Jacques Maritain, Gustav Thibon, Romano Guardini, Albert Camus...
    In Italia, nell’immediato secondo dopoguerra, fu soprattutto grazie all’impegno diretto di un imprenditore illuminato quale Adriano Olivetti – personalista già dagli anni 40, anche attraverso la mediazione della filosofia della libertà di Rudolf Steiner – che le principali opere dei personalisti vennero tradotte e pubblicate dalla sua casa editrice Comunità e sull’omonima rivista culturale, dai classici di Mounier ai saggi della Weil. E, sempre in Italia, la prospettiva si definisce teoricamente grazie all’impegno teorico di pensatori come Luigi Stefanini, Armando Carlini, Luigi Pareyson e, soprattutto, Armando Rigobello.

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  6. (2^ parte articolo LANNA - 3 lug 2009)
    Secondo Rigobello, «il personalismo trova la sua specificità in un concetto di persona integrale che si differenzia sia da quello banalmente giuridico sia da quello metafisico di vecchio tipo tomistico, ma anche dal concetto di esistenza tipico dell’esistenzialismo che rifiuta una consistenza, un nucleo stabile che sappia disciplinare l’esperienza soggettiva e che il personalismo cerca di fondare». È una prospettiva, a suo dire, che implica necessariamente un impegno etico-politico verso una posizione di dissenso, di critica nei confronti della realtà dominante e del potere costituito.
    È da queste prospettive, del resto, che matura trasversalmente nel secondo dopoguerra una cultura politica antitotalitaria. «L’importante per me resta il singolo», ovvero la persona, ha affermato anche lo scrittore tedesco E Jünger. E proprio in nome della singola persona e contro il dilagare del collettivismo e delle burocrazie spersonalizzanti si era espressa quasi tutta la sua produzione letteraria e filosofica a partire dall’apologo anti-totalitario Sulle scogliere di marmo del 1939. Ma soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, questa prospettiva divenne più esplicita: «Lo Stato rappresenta un costo non solo per i singoli, ma anche per i popoli». Riflessioni che Jünger continuerà negli anni Cinquanta e oltre. E non a caso un suo scritto – La ritirata nella foresta – apparirà, prima ancora di svilupparsi in un vero e proprio manuale di resistenza libertaria (tradotto in italiano come Il trattato del ribelle), sulla rivista statunitense Confluence nell’ambito di un seminario internazionale sulla minaccia totalitaria.
    E pubblicata in Italia nel ’57 proprio dalle Edizioni di Comunità di Olivetti, l’antologia di quegli scritti vedrà, accanto a quello di Jünger, i nomi e le firme di Hanna Arendt, James Burnhan e Giorgio de Santillana. Tutto questo per ricordare che il personalismo è davvero la prospettiva obbligata per rifondare la libertà nell’epoca succesiva al crollo di tutti i muri e delle narrazioni ideologiche. Non a caso al personalismo sono stati accostati, negli anni, i nomi di Luther King e Wojtyla, di Gandhi e Ratzinger...
    Una cosa è certa: si afferma la centralità della persona umana solo quando si fuoriesce dall’ideologico ”pensiero forte”. Lo ha spiegato il filosofo cattolico Dario Antiseri: «È sconcertante vedere come tanti cattolici abbiano combattuto e tutt’oggi rifiutino una razionalità limitata. Non si sono accorti che un vero pensiero debole equivale a una riappropriazione della contigenza e singolarità umana, alla consapevolezza che l’uopmo non è Dio e che i suoi prodotti culturali (politiche, Stati, sistemi di norme di comportamento) non sono che vitelli d’oro. E tutto ciò dopo i vaneggiamenti totalitari, dogmatici e antireligiosi dell’idealismo, del positivismo, del marxismo...».

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  7. (3^ e ultima parte LANNA Sec. d'It. 3 LUG 2009)

    LA PERSONA PRIMA DI TUTTO

    Sulla stessa linea anche lo scrittore Javier Marías che recentemente sul New York Times ha invitato a diffidare «di chi pone un ideale “al di sopra” delle persone». L’intellettuale spagnolo definisce infatti "inquietante" e "aberrante" la posizione di chiunque anteponga una qualsiasi realtà collettiva alla dignità della singola persona. Che viene così sacrificata, annullata e tradita in nome di una “entità” o “causa” che qualcuno considera sacra a prescindere: la nazione o il partito, l’azienda o la civiltà, l’ideologia o lo Stato, la rivoluzione o il progresso, la giustizia o la legge, la squadra di calcio o l’idea di famiglia, la religione o lo stesso popolo sovrano... «Le persone – scrive ancora Marías – passano, le istituzioni restano, qualcuno aggiunge. Come se queste ultime non fossero opera e invenzione di persone, e in realtà non stessero al loro servizio ma piuttosto il contrario». E lo scrittore conclude dichiarandosi molto più sicuro e tranquillo in compagnia di chi «non antepone mai nessuna astrazione al riguardo per il prossimo, di chi si rivolterà – dice – contro di me solo per le mie azioni personali e non per qualche dogma o credenza o ideale». Non c’è nulla da aggiungere: è questo il senso del personalismo.

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  8. Egregio Signor Marcucci, solo adesso leggo della Sua polemica con l'autore del (bell') articolo. C'è un modo, a mio avviso, concreto, reale e....sincero per giudicare della bontà delle intenzioni dei ..."maurrasiani-cristianisti": che facciano un passo indietro rispetto alle loro posizioni di potere -così, mi scusi, pervicacemente e....strenuamente (sic!) difese- e dìano ai poveri quello che è....in eccesso (se dovessi enumerarle i "beni" di ....strenui difensori della fede che conosco, ci stiamo fino a dopodomani). Pauperista cattolico? Non lo so, probabilmente: però, proprio come Lei, essere menato per il naso non è proprio una cosa che.... mi vada a genio . La....Povertà di cui parlo io potrebbe servire, chissà, a distinguere tra veri...."soldati" di Cristo e le loro stupide, insulse e imbelli parodìe: i mercenari(sic!).

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  9. Egregio signor Ala dino, non mi chiamo Marcucci bensì Martucci. Oltre a non prestare attenzione ai veri cognomi lei dimostra una certa consuetudine (forse per il nome d'arte scelto) con Alì Babà e i quaranta ladroni e la proietta sui suoi interlocutori. La realtà è ben diversa: nel senso che io -come tantissimi cosiddetti "tradizionalisti popolari" (espressione coniata con efficacia e sagacia anticapitalista dalla buonanima di Pino Tosca)- sono uno di quelli che sta sulla soglia di povertà. Sono capofamiglia monoreddito e campo me, mia moglie e mia figlia con 1.400 euro al mese. Tutti i suoi dubbi neopauperistici li risolviamo subito con un raffronto tra il suo e il mio 730. Così capisce che le menate sui passi indietro dai posti di potere farebbe meglio a rivolgerle a ben altri indirizzi. Cordialmente, Francesco Martucci

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