lunedì 25 marzo 2013

La lezione di Adriano Romualdi



E' stato ripubblicato dalle Edizioni Settimo Sigillo il libro di Adriano Romualdi, nel quarantesimo anniversario della sua tragica e prematura scomparsa, Una cultura per l'Europa. Si compone di due saggi, scritti in tempi diversi, pubblicati insieme per la prima volta nel 1986 a cura di Gennaro Malgieri della cui nuova prefazione proponiamo qui di seguito ampi stralci.






MEMORIA DI ADRIANO



Gennaro Malgieri

A quarant'anni dalla improvvisa e prematura scomparsa, Adriano Romualdi (1940-1973) è ancora vivo nella memoria di chi era suo coetaneo o, come si disse all'epoca, suo "fratello minore". Per quanto possa risultare strano, la visione complessiva della cultura politica della destra elaborata "prodigiosamente" in considerazione della sua giovane età da Romualdi, è ancora fonte di suggestioni, stimoli e spunti di riflessione. Per quanto i tempi si siano fatti lividi, quel che rimane di una esperienza di scavo nelle ragioni profonde di una parte politica come la destra italiana è ancora racchiuso in tante intuizioni dello studioso che se ne andò come mai avrebbe immaginato: tra le ferraglie della sua macchina fuori strada alla vigilia di un torrido ferragosto, mentre indifferenti per tutta una notte gli passavano accanto automobilisti distratti che non si accorsero di un uomo che stava morendo.
Fu una perdita enorme ed anche chi intellettualmente lo avversava ne riconobbe il grande valore che Rodolfo Sideri, studioso attento ed appassionato, sottolinea nel suo Adriano Romualdi. L'uomo, l'opera e il suo tempo (Edizioni Settimo Sigillo), nel quale passa in rassegna la vasta produzione romualdiana situandola nel dibattito politico-culturale che si sviluppò a destra tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi dei Settanta. Dibattito del quale i saggi che qui si ripropongono, ripubblicati insieme per la prima volta nel 1986, forniscono non solo un'idea del clima di aspettative che stavano maturando, ma anche le indicazioni  ad una destra che stava per uscire dallo stato di minorità e doveva attrezzarsi a "cavalcare la tigre" dell'antagonismo politico-culturale con la consapevolezza di chi sa che la buona battaglia è soltanto quella che si combatte con "la forza delle idee senza parole", come ammoniva Oswald Spengler.
A quell'epoca, quando Adriano scriveva e "consigliava" percorsi di interventismo intellettuale dalle pagine della rivista "L'Italiano", diretta da suo padre Pino e sulla quale tanti di noi ci andavano formando come giornalisti, scrittori e politici, per quanto giovanissimo era già "qualcuno" e non soltanto perché ricercatore universitario a Roma, per volere di Renzo De Felice e Rosario Romeo che quasi clandestinamente, visto il nome che portava, lo laurearono in Storia contemporanea, o per il fatto di essere poi diventato assistente nell'Ateneo di Palermo dell'indimenticabile altrettanto giovane maestro Pippo Tricoli, ma per l'innata attitudine a pensare la politica e la cultura insieme, non ravvisando tra di esse nessuna frattura come purtroppo a destra, e non soltanto, si era portati a ritenere.
Nel panorama di allora della cosiddetta nuova cultura coincidente, grosso modo, con quella che, dopo le affermazioni elettorali del Movimento Sociale Italiano, veniva definita in maniera approssimativa larea della cultura di destra emersa, sviluppatasi ed in una certa misura affermatasi (soprattutto presso alcuni ambienti intellettuali, anche di sinistra), Romualdi occupava, per quanto ancora apparentemente "acerbo", un posto preminente come testimoniano i suoi scritti, i suoi interventi giornalistici, la sua prodigiosa attività di pensatore e di storico teso a dimostrare, come avrebbe scritto Giorgio Galli che "la cultura di destra  e le sue proposte politiche non sono un'escrescenza anomala sul corpo socio-culturale dell'Occidente". Prescindere, dunque, dalla sua riflessione storico-politica, per quanto il tempo trascorso abbia modificato sostanzialmente i connotati di una destra destra che di fatto è talmente evanescente dal punto di vista politico da essere perfino irrilevante culturalmente, è senzaltro pregiudizievole ai fini di unadeguata comprensione di una destra "diffusa", essa sì reale e viva più di quanto si sia portati a credere,  arcipelago quanto mai frastagliato nel quale compaiono paesaggi radicali, tradizionali e innovativi i cui confini non sempre sono netti e definibili proprio in ragione del medesimo terreno di coltura sul quale, nel tempo, e non sempre per ragioni puramente ideologiche, sono avvenute diversificazioni e differenziazioni tattico/strategiche. Insomma, un pensiero di destra - declinato in chiave conservatrice soprattutto, almeno nell'accezione di Arthur Moeller van den Bruck ("Essere conservatori non significa dipendere da ciò che è stato ieri, ma vivere di ciò che è eterno") - esiste ancora per quanto non codificato in neessuna scuola, nè tantomeno, purtroppo, in nessuna formazione politica. Da questo punto di vista le speranze di Romualdi, ma anche di tutto un mondo a lui coevo e perfino successivo, si sono rivelate assolutamente inconsistenti per ragioni che sarebbe improprio indagare qui. Basta soltanto dire che chi avrebbe dovuto incarnare la destra, soprattutto una volta al potere, ha dimostrato di non aver assimilato nulla di quella cultura e di aver  gettato alle ortiche la storia dalla quale discendeva per calcoli sui quali si discuterà a lungo quando la riflessione  sul ventennio 1992-2012 sarà possibile, al di là delle passioni che ne impediscono un sereno approccio.
Lopera di Adriano Romualdi, comunque la si voglia considerare e  sia  pur valutata in parte legata al suo tempo e suscettibile essa stessa di riconsiderazione alla luce di esperienze ed approfondimenti successivi che egli stesso avrebbe considerato "naturali",  è certamente uno dei motivi conduttori di maggiore interesse della destra culturale a prescindere dalle passioni di parte e dalle valutazioni della stessa ascrivibili alle sensibilità diverse che ciascuno legittimamente può nutrire. Resta tuttavia integro, come osserva Sideri nel saggio citato, "la necessità di raccogliere l'invito romualdiano ad elaborare una massa critica di produzione culturale che renda egemone, nelle coscienze prima che nelle urne, la cultura politica di destra".
Già, il problema dell'egemonia. Romualdi ne era consapevole forse più di ogni altro anche quando venne di moda parlare di "cultura di destra", mettendola magari nelle mani di chi veniva da sinistra ed in fondo legato al materialismo storico era rimasto. Ma questa è un'altra storia che coincide con la vitalità, negata dagli avversari ed da decenni ignorata dagli storici, di una destra che voleva riformarsi senza abdicare ai principi. A quella destra in particolare si rivolgeva Romualdi non sempre compreso, anzi il più delle volte avversato tanto dagli apparati partitici missini che da quelli collaterali.
Nonostante tutto - ed è ciò che più conta -   pur nella poliedricità degli interessi coltivati, in Romualdi è comunque possibile individuare un pensiero unitario teso allelaborazione di una nuova cultura quale supporto teorico di una grande politica da praticare nel tempo della fine delle illusioni edonistiche (quanto mai attuale la sua diagnosi della società unidimensionale e determinista) e scandito dal rifiuto della politica, motivato dal disgusto per lastrattismo partitico, dallindifferenza per una logica di potere estranea agli interessi reali, dalla mancanza di qualsiasi ideale di rinascita europea da parte delle classi dirigenti non solo italiane. Insomma, il tempo della Grande Crisi nel quale siamo totalmente immersi in cui insensate e fittizie sollecitazioni estetiche acuiscono la corsa verso i nuovi bisogni sempre più difficili da soddisfare, alimentando le sacche di depressione morale che costituiscono la riserva migliore allampliamento degli scenari della rinuncia, apocalitticamente colorati, sui quali si staglia lazione corrosiva dei giganti egemoni della nostra epoca: i mercati finanziari che hanno sostituito in pratica i giganti del tempo in cui si esercitava la critica romualdiana contro il mondo moderno, vale a dire lAmerica e lUnione Sovietica. La vittoria di questi soggetti ieri e della finanziarizzazione dell'economia oggi dipende solo dalla rassegnazione europea. E quanti sono oggi i non rassegnati? E per loro quale orizzonte di impegno civile è ipotizzabile? Può essere la scelta europea, la riappropriazione della politica, il tentativo di creare ed imporre nuove egemonie l'impegno di di chi non è venuto meno alladerenza ai valori oggettivi nel tempo della trasmutazione del senso e del bene comune? Lopera complessiva di Romualdi è la risposta affermativa a questo interrogativo cruciale. Risposta che a fronte di quanto sta accadendo nel mondo, ma soprattutto in Europa, ci sembra la più pertinente e la più attuale.(...)
La riflessione storica e politica di Adriano Romualdi è certamente un punto di riferimento per chi cerca delle risposte radicali nel contemporaneo movimento delle idee, caratterizzato da una malsana indulgenza verso un certo rifiuto nichilistico a cui Romualdi ha inteso reagire respingendo la logica compromissoria dellegualitarismo e della massificazione, la mercificazione dellanima e della mente, lo scempio della nostra Europa, la profanazione della Tradizione, la dissacrazione della memoria storica dei vinti, la negazione delle più intime ragioni della vita delluomo, nel più complessivo intento di adeguare i valori di sempre alla mutevole realtà.
È questo il patrimonio ideale che unintera generazione ha fatto suo; quella generazione nata agli inizi degli anni Cinquanta che ha considerato Adriano Romualdi un fratello maggiore, orfana di padri nobili; e per tale generazione, il 12 agosto 1973 non è soltanto il giorno in cui è morto un amato giovane studioso, bensì la data dellinizio di un cammino fuor di tutela che avrebbe visto le idee di Romualdi percorrere itinerari diversissimi con le gambe di giovani intellettuali che comunque la sua lezione non hanno dimenticato.
Il problema delle radici, delle origini, connesso alla ricerca di unidentità unitaria degli europei è stato il grande assillo e la grande passione di Romualdi. Pensando per grandi spazi e forte di una concezione geopolitica che superava gli angusti limiti del nazionalismo, Romualdi riconnetteva alla questione dellunità europea unimportanza primaria. Si trattava, a suo giudizio, di dare un senso compiuto allidea dellEuropa riscoprendo le ragioni e gli elementi remoti del suo essere e proiettandoli nel presente e nellavvenire in modo tale da dare il senso di una comunità compiuta sotto il profilo culturale, storico e politico.
Compito non facile dal momento che Romualdi stesso non si nascondeva che per taluni la tradizione europea si identifica con il razionalismo, mentre per altri con il cristianesimo e per altri ancora con la classicità. Tutti aspetti, comunque li si voglia considerare, limitati e particolari. Molto più indietro si deve risalire, secondo Romualdi, per ricavare dallintero complesso della storia spirituale europea il senso di una tradizione. Romualdi indica nel mondo indoeuropeo il principio unificatore dei popoli del Vecchio Continente. Un mondo caratterizzato da un ordine spirituale che si fonda sullineguaglianza e sugli elementi aggregativi naturali: la famiglia, la comunità di appartenenza, lo Stato, la religione, il diritto. A questordine indoeuropeo osserva Romualdi collaborano sia lo spirito delluomo, sia le più alte potenze. Lintelligenza umana non è contraddetta, ma completata, dalla presenza di una intelligenza della natura e delluniverso. Di qui limperativo che spinge questa razionalità umana a farsi azione, unificando nella sua lotta i motivi dellordine umano e di quello divino.
Siamo in presenza, com’è facile notare, di una concezione sacrale dellesistenza. Concezione che scandiva, nei cosiddetti tempi tradizionali, il corso dellanno, le celebrazioni, le regole morali e spirituali, perfino la coltivazione dei campi e la cura delle case: un ordine cosmico nel quale luomo viveva come membro di una  aggregazione consapevole di avere un differenziato destino dalle altre comunità.
Lordine indoeuropeo ha conosciuto aurore e tramonti, riapparizioni fugaci ed oblii persistenti, latitanze di secoli e sprazzi di luce. Comunque la sua vena sottile non è mai morta del tutto. Anche oggi, in mezzo a noi, quellordine metafisico vive nella costante possibilità della rinascita: bisogna saperlo riconoscere nelle forme mutate e, se possibile, adeguare la prassi politica alla metapolitica dei comportamenti.
Anche la considerazione che Romualdi aveva dei movimenti nazionali europei sorti e sviluppatisi tra le due guerre rimanda allo schema di valori primari tipici della civiltà europea ed in questo senso egli ha affrontato la critica alle ideologie egualitarie ed illuministiche. Nel saggio Il fascismo come fenomeno europeo scrive: Il fascismo non fu solo una dottrina espansionistica. In esso sincarnò la nostalgia delle origini in un momento in cui si manifestavano delle tendenze livellatrici di ogni struttura organica e spirituale. Cioè a dire il fascismo fu la reazione di una civiltà moderna che rischiava di perire proprio per eccesso di modernità. È contro la indisciplina liberale, il materialismo marxista, legualitarismo livellatore che si leva il grido reclamante nuovi legami, nuova spiritualità, una nuova fedeltà al sangue. Questo stadio 'romantico' di una cultura è il momento in cui si sviluppa il fascismo.
La fine del fascismo, comunque, non ha mai costituito un valido motivo per Romualdi per piegarlo all'accettazione della storiografia della disfatta, né per fargli considerare il fascismo una parentesi nella storia europea.
Lo studioso ha piuttosto contemplato la decadenza con lo spirito militante della rinascita, con lattitudine di chi sa che oltre il buio del presente vi sono orizzonti che vanno scorti, costi quel che costi. Lorizzonte della rinascita europea per Romualdi non poteva che essere la ripresa di un mito, di una grande politica quale espressione di una volontà di potenza.
Ecco perché lo schema di aurore e tramonti, caratterizzante la storia europea, e del quale Romualdi aveva piena coscienza, non ha mai determinato in lui laccettazione del nichilismo come condizione ineluttabile delluomo europeo. Nietzscheanamente fedele alla visione ciclica della storia, Romualdi ha sempre creduto negli eventi storici rigeneratori della coscienza e della vita dei popoli. La stessa considerazione dellavvento dei movimenti fascisti è il sintomo più evidente dellapplicazione di un metodo nietzscheano allanalisi dei grandi avvenimenti. E così pure, derivata da Nietzsche, in Romualdi è la concezione di una grande politica a cui frequentemente, agli inzi degli anni Settanta, richiamò la destra italiana. Dagli scritti di Romualdi ed in maniera particolare da quelli che qui di seguito riproponiamo emerge in maniera evidente che la sua milizia culturale e civile si è interamente proiettata nel dare pratica attuazione ad un progetto ideale ed esistenziale: la formulazione non di una teoria, di una dottrina, di una ideologia, bensì di una visione del mondo e della vita.
I Leitbilder, le immagini conduttrici che Romualdi ha inseguito nel suo itinerario intellettuale sono state tutte parte di una Weltanschauung da lanciare non soltanto come sfida al nostro tempo, ma anche quale proposta attiva e concreta di rinascita spirituale. La visione del mondo è lo spartiacque ultimo e necessario di fronte alla babele, linguistica e concettuale che domina la nostra epoca. Non si tratta con questo di evitare la comprensione delle lacerazioni esistenti in altre appartenenze, di aprirsi al mondo, di giocare su medesimi tavoli partite culturali e politiche. Riaffermare la validità e la persistenza della visione del mondo quale discrimine di differenti identità è piuttosto un modo per riconoscersi, per sapere dove si vuole andare e con chi costruire. Visione del mondo può e deve essere sinonimo di aggregazione. Al contrario tutto sarà più difficile; la prospettiva nichilistica è sotto i nostri occhi.
Cosa sono mai la nuova cultura e la grande politica se non lattuazione di una visione del mondo che contiene in sé pur nella mutabilità delle condizioni operative le chiavi di una progettualità culturale e civile? A cosa si riduce laffanno nella precisazione di nuove essenze della politica se manca lo scenario ultimo nel quale poterle far vivere? Il démone dellintellettualismo che da due secoli contamina lOccidente sembra aver attecchito anche là dove nessuno avrebbe immaginato: è una vittoria della civilizzazione borghese, scaturita dal razionalismo illuministico, che ha sostituito la dittatura dei philosophes alla tensione spirituale con tutto quello che questa parola significa. Una volta il pensiero era Dio, poi divenne uomo, ora si è fatto plebe" , scriveva Nietzsche.
La metafora nietzscheana rende efficacemente il clima ed il contesto odierno. Un mondo di assenze è intorno a noi. Ma è difficile, impossibile, abituarsi a convivere con il nulla. Soprattutto per quanti, come ritiene Adriano Romualdi, alla perennità dei valori della civiltà europea non cesseranno di credere.
Lopera romualdiana, sia pure incompiuta, è tutta intrisa delle tematiche accennate. In maniera quanto mai efficace lo sono i due scritti che ripubblichiamo: La Destra e la crisi del nazionalismo e Idee per una cultura di destra. Il primo ha visto la luce nel 1973, pochi mesi prima della scomparsa dellautore. Il secondo si compone di due saggi, uno pubblicato nel 1965 come documento del Fuan che ebbe una prima diffusione ciclostilata. Successivamente riapparve su Pagine libere (settembre 1966) e sull’“Italiano (luglio-agosto 1970). Laltro, scritto nel 1973, nellintento di Romualdi voleva essere un'analisi degli autori e degli orientamenti della cosiddetta nuova cultura di destra, per scorgere in essa quanto vi fosse di effettivamente valido e quanto invece rispondesse a mere esigenze di réclame (il caso-Plebe). (...)
Entrambi i saggi chiariscono in una certa misura quali possono e devono essere gli elementi supportanti una nuova cultura ed una grande politica. Essi vanno letti in prospettiva, naturalmente. E soprattutto tenendo conto che la destra italiana, nelle sue componenti  più colte e dinamiche ha  abbandonato il bagaglio nostalgico-ritualistico, il vuoto e viscerale (oltre che sterile ed alibistico) anticomunismo, la discutibile forma mentis vittimistica riscoprendo seriamente le proprie radici, superando le tentazioni di chiusura e di diffidenza, aprendosi ad una nuova concezione dellEuropa, dei blocchi e del Terzo Mondo. Marco Revelli, studioso della cosiddetta Destra radicale, osservò una trentina d'anni fa, quando la destra era molto diversa da quella attuale e soprattutto "visibile", non senza ragione: Allora (al tempo della contestazione, n.d.a.), alla domanda sul perché’ la massa in rivolta degli studenti, la spontanea effervescenza sociale si fosse espressa così massicciamente e radicalmente a sinistra, Adriano Romualdi aveva risposto: Perché dallaltra parte non esisteva più nulla; ora, questa destra sembra intravedere la possibilità di ripresa di un contatto positivo con strati ancora indifferenziati e ideologicamente vergini di società, con nuove identità generazionali (quella che potremmo definire la generazione post-rivoluzionaria) ed intende giungere allappuntamento ideologicamente attrezzata (La cultura della destra radicale, Angeli, 1985, p. 34).
Anche il riconoscimento di un osservatore avversario testimonia che molte cose erano cambiate nellambito della destra intellettuale nel decennio post-contestazione. Quegli elementi culturali e politici indicati da Romualdi come sostanzianti una destra possibile (al riguardo sarebbe bene rileggere i molti articoli dedicati da lui alla politica del Msi apparsi fra il 1970 ed il 1972 sull’“Italiano) oggi non appaiono più come eresie; c’è stata una maturazione ed una consapevolezza che hanno portato da un lato allapprofondimento teorico, dallaltro ad una apertura al mondo. Concetti che agli inizi  degli anni Settanta, quando Romualdi era ancora vivo,  venivano aprioristicamente condannati,  non soltanto sono stati poi accettati dalle aree politico-culturali sideralmente lontane dalla destra, ma dibattuti, studiati, affrontati senza prevenzioni manichee. Quello che continua a mancare è una strategia culturale omogenea.
Nel 1986, premettendo a questi saggi romualdiani considerazioni che in parte ho qui ripreso, sottolineavo come molti distinguo si frapponevano nellambito della destra impedendo laffermazione della nuova cultura come naturale supporto ad una auspicabile grande politica. E oggi? Desolatamente concludo che non esistendo più la destra, come l'abbiamo conosciuta nel passato recente, paradossalmente i richiami di Adriano Romualdi, liberi di rivolgersi a chiunque e di posarsi dove trovano opportunità di considerazione, rivestono unimportanza indiscutibile in un tempo come il nostro caratterizzato da lacerazioni terribili ed ancor più tremendi abbandoni (contrabbandati per effervescenze vitali) nel più disperato nichilismo. La riconquista dei valori può essere il solo progetto unificante che sta davanti a noi.

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