mercoledì 13 marzo 2013

Steno, il regista che ha raccontato l’Italia che sorride




Luciano Lanna
Venticinque anni fa, il 13 marzo del 1988, ancora giovane ci lasciava Steno, il regista che nel secondo dopoguerra ha raccontato una certa idea dell’Italia, quella di un paese che sa mantenersi leggero e ottimista anche nei momenti di grandi difficoltà e di ricostruzione. “Sempre in giacca e cravatta, è stato il simbolo – hanno raccontato sul Messaggero i due figli, Enrico e Carlo Vanzina, anche loro registi e sceneggiatori – di quell’Italia che non c’è più, un’Italia capace e perbene, quella dei Monicelli, dei Risi, dei Comencini, dei Salce, della quale papà, regista cresciuto all’ombra di Blasetti e Soldati, Mattoli e Camerini, è stato in un certo senso il padre fondatore”.
All’anagrafe Stefano Vanzina, era nato a Roma il 19 gennaio del 1915. Figlio di Alberto Vanzina, un giornalista del Corriere della Sera, a tre anni rimane orfano del padre con la famiglia che versa in grandi difficoltà. Completa però gli studi liceali e si diploma scenografo all’Accademia di Belle Arti. Quindi inizia a disegnare articoli satirici, vignette e caricature, adottando lo pseudonimo di Steno in omaggio ai romanzi popolari di Flavia Steno, prima alla Tribuna illustrata e quindi al Marc’Aurelio, il celebre giornale umoristico che fu la fucina di nomi in seguito importanti come Federico Fellini, Vittorio Metz e Marcello Marchesi. “C’era lì una fronda – ricorderà Fellini anni dopo – molto leggera nel linguaggio, ma nella dissacrazione del linguaggio, anche nel turpiloquio, c’era qualcosa che contraddiceva vistosamente l’orpello e la retorica ufficiale del regime…”. In questo clima l’incontro, fondamentale, di Steno con Leo Longanesi. “Non ricordo quando lo conobbi – ha rievocato lo stesso Stefano Vanzina – ma so che mi parve di averlo sempre conosciuto. Simpatizzammo subito. Allora noi dei giornali umoristici eravamo snobbati dalla cultura ufficiale. Leo, invece, si dimostrò subito amico e interessato al nostro Marc’Aurelio, al gruppo di Metz, Mosca e Marchesi, e questo mi piacque. Lui che dava del ‘lei’ a tutti, a me diede subito del ‘tu’. E fu allora che diventai amico di Longanesi: cominciai ad andare a casa sua e a vederlo tutti i giorni. Fu Leo che mi introdusse nel mondo del cinema”. Il figlio Enrico ha più volte ricordato come, alla notizia nel 1957, della morte prematura di Longanesi, Steno si rinchiuse nel suo studio da solo a piangere per una giornata l’amico scomparso.
Avviato da Longanesi, come fu anche per Ennio Flaiano, a scrivere per il cinema, dopo l’8 settembre Steno dovrà fuggire da Roma proprio in compagnia dell’amico Leo e di Mario Soldati e, al termine di un viaggio picaresco attraverso l’Abruzzo (raccontato anche nel suo bel libro Sotto le stelle del ’44. Un diario futile), avrà modo di vedere l’Italia distrutta dalla guerra e dai bombardamenti sino ad arrivare sano e salvo a Napoli. Quindi, nel dopoguerra, la regia insieme a Mario Monicelli di alcuni indimenticabili film con Totò – Guardie e ladri, Totò cerca casa, Totò con le donne, Totò a colori – che ci regalarono affreschi memorabili dell’Italia di quegli anni, “dove il talento – annotano i figli di Steno – graffia l’attualità, come l’esilarante sketch dell’onorevole Trombetta nel vagone letto o dove appare il Totò ladro che combatte una guerra tra poveri con la guardia Fabrizi: un capolavoro premiato a Cannes”. Poi Monicelli e Steno si separano e Steno da solo, si allea con Alberto Sordi, realizzando pellicole altrettanto indimenticabili: Un giorno in pretura (dove compare, unica volta da attore, anche il giornalista e regista Gualtiero Jacopetti), Un americano a Roma, Piccola posta, Mio figlio Nerone. Il personaggio di Nando Mericoni, l’americano a Roma che apparirà in più di un film, rappresenterà al meglio un’icona degli italiani di quegli anni, a metà strada tra il romanesco di tutti i giorni e il sogno dei miti di Hollywood.
Steno comunque continuerà non solo con altri film di Totò ma, nei primi anni Settanta, realizza addirittura il primo “poliziottesco”, La polizia ringrazia, recentemente andato in onda in tv perché interpretato anche da Mariangela Melato. Poi, a parte i film con Bud Spencer – il ciclo di Piedone lo sbirro e il simpatico Banana Joe – e il cult movie del 1976 Febbre da cavallo, con due straordinari Gigi Proietti ed Enrico Montesano,  ci piace ricordare il suo La patata bollente del 1979, un film che sul tema dell’omofobia anticipava tematiche che diverranno d’attualità qualche decennio dopo e che oltretutto era stato scritto e diretto da un regista non di sinistra. Nel film Bernardo Mondelli, detto il Gandhi, un metalmeccanico e sindacalista di provata fede comunista interpretato da Renato Pozzetto, viene emarginato dai suoi “compagni” per aver ospitato nel suo appartamento Claudio, un gay in difficoltà col volto di Massimo Ranieri e per cercare di redimerlo il consiglio di fabbrica lo invia addirittura in viaggio premio in Urss.
Anche questo è stato Steno. Nella sua filmografia il meglio dei grandi attori italiani del secolo scorso: oltre ai grandissimi già citati anche Peppino De Filippo e Tino Scotti, Ugo Tognazzi e Monica Vitti, Vittorio De Sica e Marcello Mastroianni, Mario Carotenuto e Walter Chiari, Nino Manfredi e Enrico Maria Salerno, Paolo Villaggio e Franca Valeri, Diego Abatantuono e Lando Buzzanza. Non solo commedia, non solo satira. Ma la grande capacità di raccontare l’Italia, una certa idea dell’Italia.


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