martedì 12 marzo 2013

Jack Kerouac e quell'idea "non americana" di America








di Marco Iacona
Schietto come sanno essere gli americani. Specie se ubriachi: «No, Dante, no Leopardi, no Petrarca!». Così Jack Kerouac nel 1966 a Milano intervistato per la tivù dall’amica Fernanda Pivano. Aveva quarantaquattro anni e una gran voglia di apparire. Oggi 12 marzo 2013 ne avrebbe novantuno e un fiume – anzi una lunga lunga strada – di storie da regalare agli ammiratori.
Autori preferiti, allora? Gabriele D’Annunzio tra gli italiani – chissà perché, poi? –, il londinese Anthony Trollope – chi si ricordava di lui? –, Herman Melville e Thomas Wolfe. Kerouac è un americano come uno se lo immagina. Anzi è doppiamente americano: sguardo mobile, poche indecifrabili parole, alcol e sigarette. L’una dietro l’altra: non gli importa nulla se il fumo dà fastidio. Non ha interesse per la politica e soffre di un inspiegabile male di vivere. Quello che prese i giovani d’oltreoceano, sani e robusti, appena dopo la fine della guerra. E poi è americano perché, in realtà, non lo è per niente. Gli americani sono parte della nostra coscienza di europei e schegge di un nuovo mondo da favola, anche un po’ selvaggio. Il nonno materno è un capo indiano, lui è cattolico e franco-canadese: la sua prima lingua non è l’inglese. Nel 1951 scrive di getto On the Road ("Sulla strada") come una sorta di improvviso musicale, lo pubblica nel 1957. Da lì a poco Fernanda Pivano lo segnalerà al commendator Mondadori. 
Da allora Kerouac è un mito come la sua America. Quella che farà impazzire i giovani libertari degli anni Sessanta. Decifrabile a giorni alterni. E qual era questa America? Poco spazio per la politica se non per i grandi temi: libertà, parità e sensibilità verso i temi ecologici, fascino per le religioni e le spiritualità orientali. E poi – oggi sembra un motivo da commedia all’italiana – tanto tanto amore e poco danaro. Con quella sua aria da sconfitto, Kerouac – non uno scrittore da un solo libro – è stato il grande testimonial di un mondo che voleva fare a meno della borghesia. Per far questo, obbligato a scendere in strada, ad andare un po’ qua un po’ là. Ad osservare l’Orsa Maggiore sperando che le stelle fossero davvero Dio.

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