sabato 11 gennaio 2014

Perché il conflitto siriano sfugge al controllo dell'Occidente e prefigura nuovi equilibri in Medio Oriente



Soso

L'appello congiunto lanciato da Iran e Turchia perché venga posta fine alle violenze in Siria e Irak, come l'incontro a Istanbul tra i ministri degli Esteri iraniano Zarif e il suo omologo turco Davutoglu, evidenziano sempre più il mutamento strategico effettuato dal presidente turco Erdogan. La convergenza turco-iraniana per una soluzione pacifica della crisi siriana infatti, di fronte agli interventi franco-britannici e sauditi di allargamento del conflitto a Libano ed Irak, configura il riallineamento turco come una posizione internazionale eccessivamente autonoma per essere tollerata in ambito Nato. Il "modello dialettico" italiano Sigonella-Tangentopoli è troppo noto per non ravvisarne oggi la riattualizzazione nella crisi turca.
Le aperture di Erdogan alla componente militare kemalista finora discriminata, come l'attacco a polizia e magistratura egemonizzate dal gruppo filo-Usa di Fethullah Gulen, rivelano apertamente la dinamica del conflitto istituzionale turco. La cooperazione Iran-Irak invece, sostanziata nel campo dell'industria petrolifera ma anche sul piano politico e nel supporto militare, ha prodotto un decisivo intervento militare nella provincia occidentale irakena dell'Anbar, dove l'esercito del presidente Al Maliki sta completando la riconquista di una enorme area finora sottratta alla propria sovranità, perché controllata dai kaedisti dell'Isis, che ha rappresentato finora una sicura retrovia, un santuario kaedista e un corridoio logistico essenziale, per i supporters sauditi dell'aggressione alla Siria. Di fronte al tracimare del conflitto fuori dal controllo occidentale, in un'area che va dal Mediterraneo al golfo persico e allo stesso Afghanistan dell'exit strategy occidentale, assistiamo quindi a una recrudescenza generale della crisi che ha come epicentro l'invasione della Siria. L'orrore siriano è infatti il tragico inverarsi di uno scontro che solo l'ipocrita propaganda euro-atlantica, può ancora definire come una guerra civile. Le sempre più numerose e reciproche carneficine perpetrate dalle varie fazioni kaediste, specialmente nei morenti fronti del nord e dell'est siriano, preludono ormai al crollo definitivo davanti alle avanzate dell'esercito nazionale, sempre più numeroso e combattivo perché espressione di una mobilitazione popolare senza precedenti nella storia del Medio Oriente. 

Una vera e propria sollevazione che vede insorgenze spontanee contro la barbarie degli invasori kaedisti, anche in settori non ancora liberati dall'esercito nazionale. La barbarie che in Siria ha annullato lo sviluppo umano degli ultimi 35 anni, riducendo in povertà più di dodici milioni di persone e cioè metà della popolazione, è un'aggressione crudele che ha costretto sei milioni di siriani a lasciare le loro case e nove milioni ad aver bisogno di assistenza umanitaria. Reiterare in fronti circostanti il fallimentare tentativo neo-colonialista, non è solo il dispiegarsi del cinismo dell'occidente imperialista e razzista: è la manifesta evidenza della perdita di un'egemonia storica e di una crescente disperazione.

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