Segnavia
Ancora dal libro di Pietro Comelli e Andrea Vezzà Trieste a destra: il racconto dell'assalto dei manifestanti dell'estrema sinistra alla sede del Fdg di via Paduina. Siamo nel 1974, nei giorni successivi alla strage di piazza della Loggia a Brescia. Un episodio drammatico, che per fortuna non degenerò in una strage. Ma non c'è in questa citazione da noi scelta alcun intento di rievocazione nostalgica o epica. L'episodio, poco conosciuto, è a nostro avviso emblematico di un clima storico. Gli anni Settanta non possono infatti essere visti come un insieme di episodi di eroica resistenza all'assalto dei "rossi" ma vanno contestualizzati e va sottolineata, nell'analizzare quel periodo, anche la contraddizione di un Msi che da un lato preparava la svolta moderata con la Costituente di destra e dall'altro mobilitava i giovani alla scontro fisico (vedi il famoso discorso di Giorgio Almirante a Firenze nel 1972, "I nostri giovani devono prepararsi allo scontro frontale con i comunisti, e siccome una volta sono stato frainteso, e ora desidero evitarlo, voglio sottolineare che quando dico scontro frontale intendo anche scontro fisico").
A distanza di quarant'anni da questi eventi è ora che anche da parte della destra si raccontino quegli anni in modo critico e maturo, senza omissioni, e anche senza nulla togliere al coraggio e alla determinazione di chi in quell'epoca difficile "teneva le posizioni" a proprio rischio e pericolo. Ecco il racconto tratto dalle pagine di Trieste a destra:
"All'altezza di via Paduina il corteo svolta a destra e raggiunge la sede del Fronte della Gioventù. All'interno del 'covo' i giovani missini sono in diciassette, fra cui quattro ragazze. Il Msi a livello nazionale aveva ordinato di lasciare le sedi vuote, per evitare guai. ma quelli di via Paduina non ci stanno, disobbediscono al diktat di Giorgio Almirante... L'adiacente via Crispi viene bloccata dagli extraparlamentari con alcune automobili in sosta messe di traverso, in modo da impedire l'intervento delle forze dell'ordine e dei mezzi di soccorsi, mentre con i paletti reggicatene presi sempre in via Crispi il portone d'ingresso della palazzina viene subito forzato dai 'rossi' che salgono di corsa al secondo piano con in mano anche pietre e mattoni. Dalle finestre volano bottiglie e si vedono alcuni giovani del Fronte sporgersi con in testa il casco e i fazzoletti a coprire i loro volti. Ma non c'è tempo per stare affacciati alle finestre a fare il tiro al bersaglio, bisogna cercare di impedire l'ingresso dei compagni che a turno premono sulla porta della sede. Sono almeno cento. 'Mettemmo un divano di traverso incastrato all'ingresso tra le due pareti e poi tavoli e scrivanie accatastate. Sfondarono subito mezza anta della porta e si trovarono di fronte la barricata: in due alla volta ci alternavamo in quel corridoio stretto. Avevamo circa 200 bottiglie di vetro vuote a disposizione, le lanciavamo contro i compagni oppure le spezzavamo e con i cocci li sfidavamo a venire avanti. Solo quelle bottiglie ci salvarono da una sicura capitolazione' (il racconto è di Francesco Serpi). Dietro alla barricata i giovani di destra gridano cori contro il comunismo e intonano canzoni fasciste. 'Lo facevamo un po' per schernire i compagni e dimostrare che non avevamo paura e un po' per farci coraggio. Ma avevamo paura di non uscire vivi' ammette Serpi. Il terzo attacco di cui parla il quotidiano Il Piccolo è quello più pericoloso: viene sparso il salnitro sul pianerottolo e appiccato il fuoco. la barricata comincia a bruciare. 'Iniziammo a spegnere le fiamme con i secchi d'acqua, ma l'acqua a un certo punto non usciva più dai rubinetti: i comunisti erano saliti al piano di sopra dello stabile e pensai avessero spaccato i tubi. Demtro di me - racconta ancora Serpi - pensai adesso ci ammazzano'. Le cose si mettono male, le quattro ragazze presenti vengono mandate in fondo alla sede nell'ultimo stanzino, mentre gli altri formano lungo il corridoio alcune linee di difesa nell'attesa dell'assalto finale. Quello decisivo. Ma invece dei compagni arrivano i carabinieri. 'Sono il capitano Lo Sardo, con me ci sono altri sette carabinieri. Non sparate, non sparate', grida una voce sul pianerottolo chiedendo di parlare con Franco Bernardi, responsabile del contratto d'affitto di via Paduina, non presente però all'interno della sede. In strada, dove staziona il resto del corteo, si è sparsa la voce che i fascisti hanno le pistole e stanno sparando ai compagni. Ecco il racconto di Serpi: 'Dissi chi ero al capitano dei carabinieri e poi li facemmo entrare. Iniziarono una perquisizione e trovarono solo una maschera antigas e qualche bastone, perché armi non ne avevamo. Poi ci fecero scendere in due gruppi. Ricordo un tappeto di vetri, le nostre bottiglie rotte, e il sangue lungo le scale di chi ci aveva assaltato ed era rimasto ferito. Uscimmo da portone con i compagni che gridavano di tutto, le forze dell'ordine ci caricarono a bordo di due cellulari e finimmo al commissariato di San Sabba'. Lontano dal centro città, fuori dalla mischia per precauzione". Il quotidiano Il Piccolo parlò di incomprensibile ritardo dell'intervento delle forze dell'ordine in via Paduina (sotto la sede del Msi c'era invece un presidio fisso). La polizia venne chiamata per oltre tre quarti d'ora ma furono i carabinieri a spegnere le fiamme e a liberare i ragazzi missini.
Siamo nel maggio del 1974. Nel febbraio dello stesso anno l'allora ministro degli Interni, Paolo Emilio Taviani, aveva convocato nella sua casa romana il giornalista Piero Buscaroli, all'epoca direttore del Roma, il quale riferisce di quel colloquio nelle sue memorie Dalla parte dei vinti (pp. 455 e seguenti). Taviani disse a Buscaroli che il Viminale aveva finanziato provocatori di sinistra per mettere in difficoltà il Pci, che le bombe attribuite alla sinistra erano state messe dal Viminale, allude alla possibilità che l'operazione venga ripetuta per la destra e offre a Buscaroli di farsi mediatore per ottenere da Almirante lo scongelamento dei voti missini: "Quei tre milioni inutilizzati, la democrazia italiana ha bisogno di utilizzarli, non c'è altra strada. Ho fatto sciogliere Ordine Nuovo, ma solo per liberare il Msi da un peso, mai mi verrà in mente di chiedere lo scioglimento del Msi, lo dica ad Almirante". Almirante disse che non si fidava, e che non era interessato a trattare con Taviani perché la fine del regime era vicina. Buscaroli rivelò quell'incontro con il ministro degli Interni vent'anni dopo, nel 1994, con un articolo apparso su Il Giornale. Taviani smentì la rivelazione bollandola come un "cumulo di falsità".
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