Sandro Consolato
Giovedì, 16 gennaio 2013, è morto
d’infarto, all’età di 91 anni, Hiroo
Onoda, il mitico (qui l’aggettivo non è veramente sprecato) tenente
dell’Esercito imperiale nipponico che rimase in armi sull'isola filippina di Lubang
dal 1944 al 1974 (aveva allora 52 anni), ignorando la fine della guerra e la
tragica sconfitta del suo Paese, di cui si convinse, una volta arrestato dai
Filippini, solo allorché seppe la verità dalla voce del suo ex comandante.
Alla notizia della sua morte, qui in
Italia è scattata la celebrazione del soldato che non si arrese (Non mi arrendo è il titolo della sua
autobiografia di guerra, pubblicata anche in Italia da Mondadori nel 1975) da
parte dei siti e delle bacheche di Facebook dell’estrema destra. Che non riesce
ad evitare di essere vittima del solito collezionismo acritico di “figurine”, e
di slogan (“onore”, “fedeltà” ecc.) divenuti spesso pura retorica priva di
contenuto. Ma vi è di più: questi siti e queste bacheche ignorano del tutto il
ritratto “integrale” di Onoda. Un uomo che tornato in Patria rifiutò la
candidatura al Parlamento e preferì emigrare in Brasile, dove si sposò e fece
l’agricoltore, divenendo anche un punto di riferimento per gli emigrati
giapponesi (nel 2004
l'aeronautica brasiliana lo onorò con medaglia al merito Santos-Dumont).
Insieme alla moglie Machie, si dedicò all’impegno sociale nella terra
d’adozione e poi, tornato in Giappone nel 1984, fondò un istituto di
riabilitazione, al fine di educare gli adolescenti deviati alla vita in comune
all'aperto: all’origine di questa istituzione un grave fatto di sangue che lo
aveva molto colpito: l’uccisione dei genitori da parte di un ragazzo.. Né va
dimenticato che nel 1996 volle tornare nell’isola di Lubang, e lo fece per
chiedere scusa alla popolazione locale per i problemi che la sua guerriglia
poteva aver ad essa creato e per le vite umane che lui stesso aveva spezzato.
Di tutto questo nell’agiografia spacciata dall’estrema
destra italiana non v’è traccia. Sarà il caso di chiedersi il perché?
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