mercoledì 4 dicembre 2013

Storia del Secolo. Muore Michelini, arriva Almirante




Annalisa Terranova

Arturo Michelini muore a 60 anni, il 15 giugno del 1969. Dopo pochi giorni il comitato centrale del Msi elegge segretario Giorgio Almirante, capogruppo alla Camera, che agli occhi dei militanti rappresentava l’anima anti-sistema, mentre i continuisti avrebbero preferito come successore di Michelini il segretario della Cisnal Gianni Roberti. Alla direzione del Secolo arriva Nino Tripodi. Scrive Piero Ignazi nel suo libro sulla storia del Msi “Il Polo escluso” che il progetto di Almirante è quello di “conquistare una legittimazione definitiva attraverso l’abbandono delle ambiguità nostalgiche, la piena accettazione del metodo democratico e l’apertura verso l’esterno”. Allo stesso tempo Almirante enfatizza la connotazione sociale del Msi, come riporta proprio il Secolo del 23 settembre 1969: “Dobbiamo dare un più accentuato contenuto sociale al Msi e noi ne abbiamo più diritto, più di ogni altro partito, diritto che è anche un dovere perché ci viene dalle pagine stesse della nostra storia, tutta scritta con il sangue, da Corridoni a Bombacci” (“L’unità del Msi, garanzia per la nazione”, discorso ai segretari provinciali). 



Usa anche toni battaglieri contro la piazza di sinistra ma nello stesso tempo pone le premesse per la metamorfosi del Msi nella “destra nazionale”. Almirante prepara a Roma per il 20 dicembre una grande manifestazione, “appuntamento con la nazione”, invitando anche i rappresentanti delle organizzazioni fiancheggiatrici (un mese prima erano rientrati nel Msi alcuni esponenti di Ordine Nuovo guidati da Pino Rauti, che era uscito nel 1956). Pubblica poi sul Secolo un editoriale-manifesto in cui spiega la strategia che il partito dovrà inverarsi negli anni Settanta andando “oltre gli angusti limiti e schemi dei reducismi e dell’ideologia per prendere atto che si è chiusa una fase storica… Il nostro passato si chiama Msi… Essere missini oggi significa avere superato la polemica fascismo-antifascismo… avere coraggiosamente affermato la necessità di non mandare dispersa un’eredità e una continuità di idee e principi che il movimento fascista ha tramandato a tutti gli italiani; e avere con altrettanto coraggio vissuto in maniera responsabile una ben diversa esperienza, accettandone nel bene e nel male gli insegnamenti, respingendo ogni tentazione eversiva o sovversiva, filtrando il passato nel presente, sottoponendoci giorno per giorno ad un riesame critico e -  non temiamo di aggiungerlo – autocritico che ci consenta di presentarci alla pubblica opinione come un movimento moderno, attuale, aggiornatissimo e allo stesso tempo ricco di tradizione”.   

Purtroppo nel dicembre del 1969 c’era stata la strage di Piazza Fontana. Dapprima percepita come strage anarchica nel giro di un paio d’anni diventò la prima delle cosiddette “stragi fasciste”. Una macchinazione che penalizzò la destra e i progetti di Almirante e pose le premesse per la nascita di quell’antifascismo militante che tanti lutti avrebbe provocato negli anni Settanta.  Va sottolineato,in proposito, che lo stesso Almirante, nel famoso discorso del 1972 a Firenze in cui avallava la "necessità dello scontro fisico" (argomento su cui torneremo) sembra abbandonare il progetto iniziale che aveva enucleato all'inizio della sua segreteria. 

La nuova fase inaugurata dalla segreteria Almirante riceverà il suo battesimo ufficiale con il congresso di Roma del 21-23 novembre 1970 in cui anche da un punto di vista simbolico e coreografico il Msi dà un segno di discontinuità: via gagliardetti e camicie nere, largo ai tricolori. Il Secolo darà conto del “nuovo linguaggio” e della raggiunta unità di tutte le componenti del partito.

A questo punto mi tocca aprire una piccola parentesi per raccontare come un quotidiano di partito segue eventi quali congressi e comitati centrali: purtroppo non con un unico servizio ma con una sorta di resoconto stenografico dei vari interventi, riuscendo a “limare” le parti polemiche in modo che risulti uno scritto da verbale di caserma dei carabinieri. Un lavoro paziente e noioso, del tutto antigiornalistico, che fa sì che i redattori del Secolo conoscano meglio di qualsiasi iscritto al partito i dirigenti e i parlamentari, per averne appuntato i discorsi e per averli “confezionati” in modo che fossero pubblicati senza determinare lamentele e rotture di scatole al direttore (anche il dosaggio delle righe è fondamentale, perché se un deputato o un dirigente ha meno spazio di un altro sicuramente telefonerà per protesta). Le coperture dei dibattiti per un giornale di partito sono “totali”, dunque anche le sedute notturne vanno seguite. La cosa più buffa mi capitò al congresso di Fiuggi: io e Girolamo Fragalà eravamo di turno fino alle 22 e due colleghi ci dovevano dare il cambio. Arrivarono circa alle due del mattino. Il congresso andava avanti ma c’eravamo solo io e Fragalà e un oratore un po’ brillo che ripeteva che Rauti lo aveva deluso e che non doveva andarsene dal partito ma accettare la nascita di Alleanza nazionale. Ripeteva sempre la stessa frase: “E allora io ti direi: Pino, perché mi hai deluso?”. Ovviamente fu nostra cura trasformare quello sfogo in dieci righe di intervento politico dopo il quale la seduta fu aggiornata al mattino seguente.

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