martedì 17 dicembre 2013

Dalla grotta alla luce. Simbolismo del Natale e percorso spirituale



Francesco Pullia

Il Natale è una festa universale, che riguarda tutti, non solo i cristiani. Il Natale come tutto il lungo ciclo dei "giorni del Natale", dal 6 dicembre al 6 gennaio. D’altronde, il 21 marzo, nell’equinozio di primavera, 21 giugno, nel solstizio d’estate, il 23 settembre, nell’equinozio d’autunno e il 22 dicembre, nel solstizio d’inverno, si generano infatti nel mondo naturale grandi forze energetiche che bisogna sapere accogliere al nostro interno.
Secondo la tradizione cristiana, d’altronde, Gesù è nato il 25 dicembre a mezzanotte. Il 25 dicembre, il sole è appena entrato nella costellazione del Capricorno. Simbolicamente, il Capricorno è collegato alle montagne, alle grotte, e Gesù nasce proprio nell’oscurità di una grotta. La data, adottata dalla Chiesa nel IV secolo, si sovrappone a quella della nascita del dio Mithra ed è in stretto rapporto con il solstizio d’inverno e, quindi, con la rinascita del sole. Non a caso, l’imperatore Aureliano aveva proclamato il 25 dicembre festa del sole invitto. Ovunque si accendevano fuochi e si scambiavano -come oggi- doni.
Una data precisa non è stata comunque tramandata. Ciò non toglie, tuttavia, nulla al significato del Natale. Non è una questione di date, infatti. La nascita è un avvenimento cosmico e interiore.
Avviene, come detto, nel momento dell’anno in cui nell’emisfero settentrionale del globo terrestre il Sole si trova nel punto più basso della propria orbita intorno alla Terra e riprende lentamente il suo tragitto ascendente per consentire il trionfo della luce. Il solstizio d’inverno segna l’inizio della grande ascesa della luce solare, del suo riscatto dall’umiliazione dell’oscurità invernale. Come il Sole, Gesù si rivela al mondo per dissolvere con i Suoi raggi la nebbia dell’ignoranza, del male, del peccato.
L’episodio della Sua nascita è narrato solo in due Vangeli. Luca riferisce che venne deposto “in una mangiatoia” e che i pastori furono chiamati dagli angeli a conoscerlo e adorarlo, mentre Matteo riferisce della visita dei Re Magi, i nomi dei quali ci vengono da uno dei Vangeli apocrifi, il Vangelo degli Ebrei o dei Nazareni, in una citazione di epoca medievale. Il Protovangelo di Giacomo (cap. XVIII) precisa che Gesù nacque in una grotta e il Vangelo dello pseudo Matteo (cap. XIV) dà notizia della presenza del bue e dell’asino, i quali “lo adoravano senza sosta”. Entrambi i testi (rispettivamente al cap. XIX, 2 e XIII, 2) specificano che al momento della nascita la grotta cominciò a farsi piena di splendore e a rifulgere di luce come se vi fosse il sole.
Cerchiamo, dunque, di analizzare la simbologia dell’evento partendo innanzitutto proprio dalla grotta.
Essendo dentro la Terra, essa allude al centro del mondo ed è per eccellenza luogo di nascita e  rigenerazione. Indica il centro spirituale del macrocosmo ma anche quello del microcosmo. Bisogna scendere nel ventre della Terra per potere davvero risalire. L’iconografia alchemica assimila la grotta all’athanor in cui si verifica il processo di trasmutazione e non è casuale che la profondità, la cavità rivestano un ruolo importante nei riti di iniziazione.
Nella grotta il Bambino è riscaldato dall’asino e dal bue. E’ importante riflettere sulla presenza dell’animalità nella venuta al mondo della divinità, a testimoniare che l’annuncio di salvezza deve riguardare tutti gli esseri, non solo l’uomo ma ogni aspetto della vita, l’intera natura.
Contrariamente a quanto si vorrebbe accreditare, l’asino non simboleggia l’ignoranza. Nell’episodio biblico di Balaam un’asina riconosce per prima l’angelo del Signore. Un asino conduce Maria durante la fuga in Egitto e su un’asina bianca Gesù fa il suo ingresso a Gerusalemme nel giorno delle Palme. Prima ancora, nei misteri dionisiaci, un asino è legato a Dioniso mentre nel culto di Apollo il suo sacrificio allude al superamento degli impulsi istintivi.


In Oriente le sue orecchie lunghe sono considerate simbolo sapienziale essendo l’organo attraverso cui si accede alla conoscenza del mondo invisibile. Lo stesso Buddha viene spesso raffigurato con orecchie smisuratamente grandi, a sottolineare la sua capacità di ascoltare la voce interiore. 
Furono i Greci e Romani a schernire gli Ebrei per la loro considerazione dell’animale. Il grammatico Apione, nella Storia d'Egitto, narra che il re Antioco Epifane, conquistata nel II secolo a.C. Gerusalemme ed entrato nel tempio, vi avrebbe trovato una testa d’asino aurea oggetto di adorazione.
Nel II secolo, Tertulliano racconta che nella sua città, Cartagine, forse un apostata aveva raffigurato su una tavoletta il “Dio dei cristiani” (definendolo onokoetis, “figlio di un asino”) come un essere antropomorfo e onocefalo, con orecchie e zoccolo asinini. La venerazione dell’asino doveva essere ancora viva nel IV secolo se San Giovanni Grisostomo fu costretto a raccomandare ai cristiani di non portare addosso talismani che associassero l’immagine asinina a quella di Gesù.
Nella scultura romanica e in quella gotica si ritrova, poi, l’immagine dell’asino che suona la lira, un archetipo che risale alla cultura di Ur analizzato da Marius Schneider, il quale ha osservato che arpa e tamburo – i due strumenti più di qualunque altro connessi, sia pure per differenti motivi, all'asino – sono strumenti di dolore e di rapporto con l'Aldilà. Sempre Schneider si è soffermato sul nesso tra la figura dell’asino e quella del Cristo crocifisso.
A Roma, nell’Antiquarium Palatinum, è conservata un’antica lastra di travertino, risalente alla metà del III secolo, su cui è incisa la figura di un uomo crocifisso raffigurato di spalle, con la testa d’asino. In basso, a sinistra, un devoto gli manda un bacio rituale di adorazione. Sotto il crocifisso si legge, in greco, “Alexamenos sebete Theon” (Alexamenos, adora Dio). Sempre a Roma, nelle catacombe, Cristo viene simbolicamente interpretato come palma, come agnello, come pesce e anche come asino, così come ulle guglie di alcune cattedrali francesi, come quelle di Chartres e di Nantes.
Si tratta di un paragone tutt’altro che blasfemo, bensì intriso di profondo valore sacrificale che associa il disperato raglio asinino al grido altissimo di Gesù sulla croce. I riti medioevali nei quali l'asino, abbigliato da re o da vescovo, veniva onorato prima di essere bastonato e scorticato, testimoniano l’analogia tra asino e Cristo, entrambi vittime della crudeltà umana.
Oltre all’asino, accanto al Bambino c’è poi il bue.
Contrariamente al toro, che esprime impeto, irruenza, il bue simbolizza pazienza, sacrificio, laboriosità. Animale sacro in Egitto, in India, nell’antica Grecia, è spesso affiancato a divinità solari.
Ma andiamo avanti nella lettura simbolica.
Un angelo avverte i pastori del sacro accadimento.
Il pastore è colui che veglia nella notte, conosce le fasi lunari e il percorso delle stelle. È il nomade che, come l’anima nel mondo materiale, scruta la via per tornare al luogo di provenienza.  Solo colui che vigila nella notte e conosce i segni del cielo può trovare il cammino da seguire.
Ultimi a comparire sulla scena sono i Re Magi.
Matteo non ci fa sapere molto sui loro nomi e sul loro numero che in testi non canonici varia da due fino a dodici. La tradizione ne menziona tre, Melchiorre, Gaspare e Baldassarre, recanti in dono al Bambino oro, incenso e mirra. L’oro è prerogativa dei re e nelle varie simbologie rappresenta lo spirito. Gli stessi alchimisti, quando affermano di volere “cambiare il vile metallo in oro” si riferiscono alla necessità di sgrezzare il mondo fisico per estrarne l’essenza spirituale. Non va, inoltre, dimenticato che il prezioso metallo proviene dalla profondità terrestre di cui, come abbiamo visto, la grotta è rappresentazione emblematica.
L’incenso, sempre utilizzato nei rituali religiosi, nel suo espandersi si collega all’elemento etereo, coglie l’immagine dell’onnipresente coscienza cosmica, dell’essenzialità immateriale.
La mirra, balsamo dell’incorruttibilità, simboleggia, invece, l’anima purificata dalle esperienze. Quando nell'uomo non vi sono più desideri egoistici né passioni, l'anima “profuma”, infatti, come un’essenza aromatica.
Da un’altra angolazione, la mirra significa immortalità (veniva, infatti, usata per imbalsamare i corpi e preservarli dalla decomposizione) mentre l'incenso rappresenta il cuore, l'amore. A Dio, alla luce, ci si dona completamente, con corpo, mente e spirito.
La luce, in senso fisico e spirituale, appare quando più fonda è l’oscurità per portare l’annuncio di una nuova vita. Il Protovangelo di Giacomo mette l’accento sull’intensa luce che promana dalla grotta di Betlemme, una luce consustanziale a Gesù.

A un amico che lo interrogava su Gesù, Kafka rispose che Egli “è un abisso di luce”, una luce anaforica, che rinvia ad altro da sé, ci supera e oltrepassa, e nello stesso tempo immanente, che ci pervade, avvolge, scalda. Non è un caso che nel più antico mosaico cristiano, quello del mausoleo romano dei Giulii, risalente al III secolo, Gesù sia rappresentato come Sole sfolgorante sul carro trionfale. Il Natale è, quindi, un invito a perseguire la luce nel cammino spirituale di salvifica conoscenza. La salvezza comincia interiorizzandone il riverbero, con l’illuminazione dinanzi a cui le tenebre dell’ignoranza e del male si arrestano e dissolvono.


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