venerdì 13 dicembre 2013

La Siria e il destino della politica mediterranea (e quindi anche nostro)






Soso

In ogni guerra, quando il capo dell'esercito fugge abbandonando i suoi combattenti al proprio destino, si assiste a un evento tragicamente significativo: il capo di stato maggiore del cosiddetto esercito libero siriano, Salim Idris, ha infatti lasciato la Siria rifugiandosi nel Katar, dopo che i kaedisti hanno occupato le basi delle sue bande armate, appropriandosi dei depositi di armi. Oggi che gli Stati Uniti hanno interrotto il supporto ai propri ascari usa&getta, contestualmente alla chiusura della frontiera turca da parte di Erdogan, è iniziato il definitivo sfacelo delle forze non kaediste. Intrappolate tra l'incudine fondamentalista e il martello dell'esercito nazionale, le forze che hanno iniziato la guerra siriana sul fronte nord hanno già iniziato in diversi casi a passare direttamente dalla parte di Assad e cioè ad una tardiva difesa della propria patria, a sbandarsi, o cercare disperatamente salvezza in altri regioni. Coadiuvato sul campo dalle forze militari del Kurdistan Siriano, l'Esercito Nazionale sta completando la decisiva operazione nel settore di Aleppo, capitale industriale e centro nevralgico di tutto il nord del paese. Sconfiggere un nemico per volta porterà presto anche alla resa dei conti con gli islamisti supportati dai sauditi-katarioti, determinando un mutamento strategico di rilievo regionale: il giro di boa militare di Assad ha infatti portato direttamente alle trattative del governo russo con l'Egitto riguardo la base navale di Alessandria, con Cipro per le guarnigioni dei paracadutisti russi, ma anche all'accordo di cooperazione militare con la Grecia. Se Erdogan dovesse fare sul serio riguardo l'entrata della Turchia nella SCO e cioè uno scavalcamento di campo a favore di Cina e Russia, vedremo probabilmente l'inizio della fine per il blocco euro-atlantico così come è esistito negli ultimi settant'anni. Mutamenti internazionali di un'ampiezza tale da giustificare tanto per iniziare, una crisi grave in Ukraina, ma anche nei Balcani e a casa nostra: che l'Italia condivida una pipeline strategica come South Stream con Russia, Grecia e Serbia, sappiamo già che non a tutte le "diplomazie alleate" farà piacere. Per molto meno ai tempi della collaborazione con gli indipendentisti algerini e per gli idrocarburi perduti dai francesi in quel periodo storico, venne silurata l'opera di Enrico Mattei e ricondotta all'ovile una ENI troppo libera. Per qualcosa di simile e cioè una politica italiana troppo "equi-vicina" nel conflitto arabo-israeliano, secondo molti analisti si è arrivati all'assassinio di Aldo Moro con la normalizzazione del suo partito-stato democristiano. E non dimentichiamo che dopo Sigonella, con le cosiddette "mani pulite", Bettino Craxi e tutto il suo Caf finirono detronizzati… Oggi che un'intera brigata italiana si interpone fra l'esercito israeliano ed Hizb-Allah, non possiamo fingere che noi non saremo coinvolti se la guerra siriana tracimerà in Libano: le stragi, gli omicidi mirati e gli scontri armati a Beirut e Tripoli siriaca potrebbero preludere proprio a questo… e le potenze sub-imperiali come Francia, Gran Bretagna e Arabia Saudita hanno troppa necessità di una sponda sul mare nord-libanese, per costituire un fronte alternativo a quello nord-siriano che si sta ormai trasformando in un enorme mattatoio.

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