Luciano Lanna
Lello Della Bona e altri quattro colleghi giornalisti di destra si ritrovarono infatti duecentomila lire e un contratto d’affitto per una cantinaccia umida e fangosa a vicolo della Campanella, angolo via di Panico, a due passi da piazza Navona. Erano i primi di settembre del ’65 e l’idea era quella di portare anche nella capitale il cabaret, un locale con spettacolo, satira e musica sul modello del Derby, il primo esperimento italiano del genere, dove avevano debuttato Enzo Jannacci, Cochi e Renato, Bruno Lauzi. Esistono ancora i verbali delle riunioni preparatorie di quella pattuglia romana di rivoluzionari della satira: “Il segretario generale e responsabile amministrativo Raffaello Della Bona, giornalista del Secolo d’Italia, avverte tetramente che soltanto una media affluenza di diciotto persone per sera avrebbe consentito le spese di gestione ordinaria, dimenticando l’affitto; Pier Francesco (Ninni) Pingitore, redattore capo del settimanale di destra Lo Specchio ed ex dirigente del Fuan, scommette sulla presenza di almeno venti spettatori a sera; Mario Castellacci, giornalista del Giornale Radio Rai e autore della più famosa canzone repubblichina, “Le donne non ci vogliono più bene”, conferma; Piero Palumbo, giornalista anche lui a Lo Specchio, e Dimitri Gribanovski, il musicista del gruppo, sono pessimisti. Soltanto il presidente Luciano Cirri, capo della redazione romana del Borghese, giura su un minimo di venticinque…”. Oltretutto il neonato cabaret si sarebbe dovuto chiamare Bragaglino in omaggio al futurista Anton Giulio Bragaglia ma gli eredi rifiutarono di concedere l’autorizzazione. E così, cancellata la “r” si decise per Bagaglino. “Non significa nulla – si leggeva sul primo fascicolo della rivista interna – è ormai un’insegna incomprensibile, bizzarra e vuota, che attende un contenuto per significare qualcosa in se stessa, per vivere di luce propria”. Ma questo avverrà. Sin dalla serata d’esordio, il 23 novembre, sarà un successone e da quella cantina diventeranno celebri personaggi come Oreste Lionello e Pippo Franco, Leo Valeriano e Gabriella Ferri, il palermitano Pino Caruso che cantava “Il mercenario di Lucera” e la cantante americana Pat Starke col suo pezzo forte “Occidente goodbye”. E poi arriverà anche un promettente e giovane Enrico Montesano, figlio del portiere dello stabile che a via Quattro Fontane ospitava la sede nazionale del Msi…
Ma per Della Bona e i suo amici quell’idea dovette diventare la scelta di vita definitiva. “Dopo circa un anno, eravamo nel 1966, mi convocò Michelini – ricorda Lello – e mi disse di non gradire che un suo redattore lavorasse di notte a un’altra cosa. E poi, aggiunse, chi vi finanzia?”. E così il brillante giornalista “deve” licenziarsi dal Secolo, come dovranno fare anche i suoi amici dai loro giornali. Pingitore e Palumbo vennero subito messi alla porta dal loro direttore, Giorgio Nelson Page. L’unico fortunato fu Luciano Cirri, il cui direttore, Mario Tedeschi, si limitava a prenderlo in giro quando, la mattina, arrivava in redazione con gli occhi pesti: “Sei sempre più rincoglionito, amico mio…”. Il paradosso è che, visto il grande successo del Bagaglino, lo stesso Arturo Michelini tenterà tre anni dopo un “suo” cabaret, L’Oratorio di via Monserrato, messo su direttamente da sua figlia, Marina Michelini: la prima fu uno spettacolo di Bruno Broccoli e Dino Verde con Lea Padovani e Nando Pucci Negri. Ma l’esperimento non riuscì neanche minimamente a stare al passo con i ragazzi di via della Campanella, i quali furono così bravi da egemonizzare per decenni il cabaret all’italiana. Lo scrittore Carlo Mazzantini nel suo libro autobiografico “L’ultimo repubblichino” ha ricordato che ci andava la sera per chiacchierare con Mario Castellacci: “La sua canzone ‘Le donne non ci vogliono più bene’ era un po’ il nostro manifesto in versi. La sola canzone nata dalle nostre file. Mario me ne raccontò la nascita una sera davanti a un paio di bottiglie di Dolcetto d’Alba, com’era andata, e ricordo che c’era con noi anche Gabriella Ferri, allora giovane e attraente, per la quale Mario aveva scritto quella canzone “Sempre” così carica di nostalgie che mi fece pensare: questa è un’altra canzone repubblichina…”. E arriverà anche nella hit parade, quel disco inciso proprio con l’etichetta del Bagaglino: “Anche tu così presente / così solo nella mia mente / tu che sempre mi amerai / tu che giuri e giuro anch’io / anche tu amore mio / così certo e così bello… / Anche tu diventerai come un vecchio ritornello / che nessuno canta più / come un vecchio ritornello che nessuno canta più”.
Della Bona si prenderà comunque una rivincita con chi lo aveva ingiustamente licenziato facendo inserire anche il nome di Michelini tra quelli dei politici dell’epoca messi alla berlina negli spettacoli del Bagaglino. E nella primavera del 1966 una velenosa frecciata indirizzata direttamente al Secolo – “Il giornale di via Milano sta morendo” si diceva in uno sketch – provoca la reazione del quotidiano micheliniano. “L’accettiamo – si leggeva in un corsivo – come un augurio, com’è nello spirito della scaramanzia per cui un augurio di morte si traduce in augurio di vita. E allora, augurio per augurio, vediamo chi finirà prima”. Stando a quello che succederà decenni dopo si potrebbe anche dire che in qualche modo ebbero ragione quelli del Secolo. Mentre infatti il quotidiano, intervenute tutte le metamorfosi del caso, esce ancora, il Bagaglino, dove negli ultimi anni dei fondatori era rimasto a lavorare il solo Pier Francesco Pingitore, ha dovuto chiudere i battenti nel 2011. Anche se un altro ragionamento andrebbe poi fatto: quanto hanno comunque inciso nell’immaginario degli italiani le stagioni, le musiche, le icone del Bagaglino, prima solo cabarettistico e poi anche fenomeno televisivo? Tanto per dire, è certamente un fatto che quella intuizione, nata anche dentro la redazione del Secolo, sia stata oggettivamente una delle grandi matrici di quella nuova comicità che dopo il ’68 trasformerà il modo di ridere degli italiani.
Nessun commento:
Posta un commento