domenica 24 novembre 2013

Quell’ombra tragica nella vita di Paolo Ferrari e Giovanni Sartori che ricorda Gentile


Luciano Lanna

Paolo Ferrari, l’attore che è stato la voce italiana di Humprey Bogart e David Niven, che negli ’50 e ’60 è stato una straordinario interprete dell’Opera da tre soldi di Brecht, e che è impresso nell’immaginario dei quaranta-cinquantenni per lo spot dei fustini Dash ha oggi ottantaquattro anni. Intervistato da Repubblica, racconta come da tempo vive nella sua casa di Castelnovo, vicino a Lecco, ascoltando Beethoven e leggendo Rilke: “Qui ho tempo per ampollosamente guardarmi dentro, per guardarmi quel che succede e farmi qualche domanda…”. E confessa che in una vita lunga e luminosa come la sua, la sola ombra oscura è stata la morte del fratello, Leopoldo, che era stato fascista e morì annegato nel lago di Como: “Era il ’45, eravamo sfollati. Una mattina mi salutò dicendo che doveva andare in un posto. Lo vidi allontanarsi con un uomo, non tornò più. Lo giustiziarono i partigiani. Per me fu uno shock. Dormii per cinque giorni consecutivi…”. Oggi, quasi settant’anni dopo, il ricordo di quella tragedia familiare può riemergere, senza più rancori strumentalizzabili: “Mi piace ricordare – ricorda l’attore – che quando il padre di un suo amico gli aveva proposto di aveva proposto di fuggire per salvargli la vita, Leopoldo aveva risposto: ‘Questa divisa l’ho presa, l’ho portata, ho la coscienza pulita, non la tolgo e accada quel che deve accadere'…”.




Sempre su Repubblica, ma domenica scorsa, per la serie delle interviste ai grandi vecchi italiani di Antonio Gnoli, era invece apparso un colloquio con Giovanni Sartori, l’ottantanovenne decano dei nostri politologi. Dove, a un certo punto, l’intervistato ricorda il suo 1944 da ventenne: “A quel tempo fui richiamato alle armi e mi guardai bene dal presentarmi. E sapevo che se venivo preso sarei stato fucilato da traditore…”. A quel punto Sartori si rifugia a Firenze nella casa di un suo zio: “Restai lì, senza quasi mai uscire dalla stanza. I giorni passavano lenti fino a quando scoprii che in casa c’era una biblioteca rifornita di testi filosofici…”. C’era tutto Hegel, poi Croce e Gentile: “Li lessi tutti, fu così che a vent’anni ebbe la mia iniziazione filosofica… Gentile poi scriveva in un italiano bellissimo”. E del filosofo di Castelvetrano, Sartori aggiunge un interessante ricordo pacificatore: “Lo avevo intravisto che ero ragazzo. Non posso dirlo di averlo conosciuto, ma restai colpito dal suo omicidio. Mi sembrò una cosa assurda e crudele. Lo trucidarono non lontano da casa sua, alle pendici della sua casa per Fiesole. Era stato sì fascista, ma il suo comportamento concreto fu generoso verso molti ebrei che aiutò a far scappare e verso parecchi intellettuali antifascisti. Tanto è vero che ancora oggi nessuno ha avuto il coraggio di attribuirsene la responsabilità. Andai alle sue esequie in Santa Croce. Fu un impulso che avrei potuto pagare gravemente”. E a Gnoli che gli chiede come mai non ebbe remore a rischiare di persona per quell’omaggio a Gentile, Sartori si limita a rispondere: “Ero, credo, il solo giovane in quella chiesa deserta. E dietro diverse colonne c’erano agenti in borghese che mi spiavano con sospetto. A un certo punto, all’uscita, fui fermato da uno di loro. Pensava che fossi un partigiano. Gli spiegai che in realtà ero lì per rendere omaggio a un uomo che avevo stimato…”. 

Nessun commento:

Posta un commento