Luciano Lanna
Paolo Ferrari, l’attore che
è stato la voce italiana di Humprey Bogart e David Niven, che negli ’50 e ’60
è stato una straordinario interprete dell’Opera
da tre soldi di Brecht, e che è impresso nell’immaginario dei
quaranta-cinquantenni per lo spot dei fustini Dash ha oggi ottantaquattro
anni. Intervistato da Repubblica,
racconta come da tempo vive nella sua casa di Castelnovo, vicino a Lecco,
ascoltando Beethoven e leggendo Rilke: “Qui ho tempo per ampollosamente
guardarmi dentro, per guardarmi quel che succede e farmi qualche domanda…”. E
confessa che in una vita lunga e luminosa come la sua, la sola ombra oscura è stata la
morte del fratello, Leopoldo, che era stato fascista e morì annegato nel lago
di Como: “Era il ’45, eravamo sfollati. Una mattina mi salutò dicendo che
doveva andare in un posto. Lo vidi allontanarsi con un uomo, non tornò più. Lo
giustiziarono i partigiani. Per me fu uno shock. Dormii per cinque giorni
consecutivi…”. Oggi, quasi settant’anni dopo, il ricordo di quella tragedia
familiare può riemergere, senza più rancori strumentalizzabili: “Mi piace
ricordare – ricorda l’attore – che quando il padre di un suo amico gli aveva
proposto di aveva proposto di fuggire per salvargli la vita, Leopoldo aveva
risposto: ‘Questa divisa l’ho presa, l’ho portata, ho la coscienza pulita, non
la tolgo e accada quel che deve accadere'…”.
Sempre su Repubblica, ma domenica scorsa, per la
serie delle interviste ai grandi vecchi italiani di Antonio Gnoli, era
invece apparso un colloquio con Giovanni Sartori, l’ottantanovenne decano dei
nostri politologi. Dove, a un certo punto, l’intervistato ricorda il suo 1944
da ventenne: “A quel tempo fui richiamato alle armi e mi guardai bene dal
presentarmi. E sapevo che se venivo preso sarei stato fucilato da traditore…”.
A quel punto Sartori si rifugia a Firenze nella casa di un suo zio: “Restai lì,
senza quasi mai uscire dalla stanza. I giorni passavano lenti fino a quando
scoprii che in casa c’era una biblioteca rifornita di testi filosofici…”. C’era
tutto Hegel, poi Croce e Gentile: “Li lessi tutti, fu così che a vent’anni ebbe
la mia iniziazione filosofica… Gentile poi scriveva in un italiano bellissimo”. E
del filosofo di Castelvetrano, Sartori aggiunge un interessante ricordo
pacificatore: “Lo avevo intravisto che ero ragazzo. Non posso dirlo di averlo
conosciuto, ma restai colpito dal suo omicidio. Mi sembrò una cosa assurda e
crudele. Lo trucidarono non lontano da casa sua, alle pendici della sua casa
per Fiesole. Era stato sì fascista, ma il suo comportamento concreto fu
generoso verso molti ebrei che aiutò a far scappare e verso parecchi
intellettuali antifascisti. Tanto è vero che ancora oggi nessuno ha avuto il
coraggio di attribuirsene la responsabilità. Andai alle sue esequie in Santa
Croce. Fu un impulso che avrei potuto pagare gravemente”. E a Gnoli che gli
chiede come mai non ebbe remore a rischiare di persona per quell’omaggio a Gentile,
Sartori si limita a rispondere: “Ero, credo, il solo giovane in quella chiesa
deserta. E dietro diverse colonne c’erano agenti in borghese che mi spiavano
con sospetto. A un certo punto, all’uscita, fui fermato da uno di loro. Pensava
che fossi un partigiano. Gli spiegai che in realtà ero lì per rendere omaggio a
un uomo che avevo stimato…”.
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