Annalisa Terranova
Ho letto che la violenza contro
le donne ha un costo sociale di 17 miliardi. Bè sarebbe uno sfregio alla
civiltà anche se non fosse monetizzabile, anche se fosse a costo zero. E così
il 25 novembre si celebrerà questa giornata contro i femminicidi. Una data
pericolosa, in un certo senso, perché "lava" le coscienze e
cristallizza il dovere di denuncia in una serie di frasi fatte, incastonate tra
espressioni amare di circostanza.
Poi c'è la presidente della
Camera, Laura Boldrini, che sentenzia sull'educazione familiare: parità subito,
tra fratelli e sorelle, fin dalla prima infanzia. Tutti e due a fare i lavori
domestici, subito… Parità, aggiungo io sospingendo l’argomentazione oltre i
confini del buon senso dove è stata spinta da un certo neofemminismo, magari
anche nei colori, evitando il rosa per lei e il celeste per lui, evitando le
bambole per lei e le macchinette per lui, costringendo i genitori a stilare un
indistinto decalogo di giocattoli intelligenti e non sessualmente oppressivi.
Mi dico: dovrei sentirmi in colpa
perché ho regalato una cucina giocattolo a mia figlia, con le pentoline, quand’era
piccola, perché se qualche stronzo me la ammazza di botte, poi, sono io che non
l'ho educata a reagire a dovere... E mi dovrei sentire in colpa a non avere
risposto male a mio padre che, durante il pranzo domenicale, mi esortava: “Ma
non lo servi a tuo marito?”. E io invece li compiacevo, i due maschi: il padre
e il marito.
Mi chiedo, adesso, perché si
facciano tanti sforzi inutili per imbrigliare la violenza, il male, l'incuria
per l'altro, dentro schemi ideologici vuoti e inutili, per rassicurare una
società che si sta squagliando in assenza del collante dei sentimenti. Se
bastasse la parità di genere a rimettere a posto quest'aggressività vendicativa
verso le donne sarebbe tutto molto più facile.
Un po'
più difficile ammettere che quello che sta accadendo è l'altra faccia, cupa,
grigia e spaventosa dell'emancipazione. E' complicato ragionare sulla tendenza
inestirpabile degli uomini ad essere controllori dello spazio privato e
pubblico delle loro donne. E così, quando li cacci da quel territorio questi
maschi che rifiuti come tutori, semplicemente, ti annullano.
La scrittrice Camille Paglia lo
ha detto con una certa dose di anticonformismo: finché c'erano padri e fratelli
a proteggere le donne, queste cose non succedevano. La rete parentale era lo
scudo che preservava la femmina intatta fino alla consegna al nuovo tutore-compagno.
O si torna indietro, al tutoraggio verso la “femmina”, o si ammette che
l'autodeterminazione, per le donne, comporta anche dei rischi, dei rischi
gravi.
L'educazione
può avere un suo peso certo, come ce l'ha il linguaggio, quello dei media e
quello della pubblicità. Ma anche qui non si può far finta di ignorare che le
mentalità cambiano molto lentamente, troppo lentamente per poter funzionare da
antidoto alla crescita allarmante del numero dei femminicidi.
La strada della consapevolezza va praticata
innanzitutto incoraggiando nelle donne all’autonomia. Sono loro che devono
organizzare in piena libertà le regole del loro spazio, decidere chi entra e
chi esce, decidere cosa procura piacere e cosa no, decidere il limite e farlo
magari anche divertendosi a servire il partner a tavola.
Poiché è assodato che indietro
non si torna e non si può tornare almeno sgomberiamo il campo dagli equivoci:
non sarà affatto facile estirpare la violenza contro le donne, sarà una
battaglia lunga, una strada impervia, piena di ostacoli pesanti e insidiosi.
Anche perché sulle relazioni tra i sessi pesano pagine e pagine di letteratura
amorosa, di bella e buona letteratura che celebra il possesso “integrale” della
femmina amata.
Nel romanzo di Dostoevskij “Il
giocatore” il protagonista pensa alla sue lei con tale ardore che sogna di
divorarla… Questa donna celebrata, vezzeggiata, cantata, adorata, è sempre un’immagine
da possedere e da distruggere a proprio piacimento. Al limite, la letteratura misogina
è persino più generosa: per Otto Weininger le donne erano tutte “ruffiane”. Si
occupavano cioè, di stabilire relazioni tra i sessi, altro non erano in grado
di fare. Un riconoscimento stizzoso ma con un qualche fondo di verità. Oggi
abbiamo le sfumature di grigio… la letteratura porno-soft da spiaggia. Il corpo
delle donne è talmente emancipato da diventare bene derivato nell’ingranaggio
della struttura organizzata dal capitale, persino con la prostituzione delle
ninfette tredicenni. Ma è sempre un corpo fragile, un corpo non protetto. Basta
un “no” e finisce a terra. Basta un “no” e l’atto violento di un maschio annulla
tutta l’energia creatrice che quel corpo racchiude. Una pena. Uno sciupìo. Una
brutta faccenda, una faccenda enorme, della quale non verremo a capo bacchettando
l’educazione familista, perché la dignità prima ancora di stare sulle carte dei
diritti, è semplicemente un’esperienza, una conquista, una crescita.
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