Angelo Maria Ardovino
La prima volta che mi sono imbattuto
nella guerra sul nome Macedonia tra la Grecia e la repubblica che ne rivendica
il nome fu per una notizia che mi rimbalzò da Avezzano. Nella pianura alle
spalle della città abruzzese ci sono i resti di un mausoleo romano, che una
leggenda senza fondamento storico definisce la tomba di Perseo, ultimo Re di
Macedonia, che i Romani avevano confinato con la sua famiglia ad Alba Fucens,
poco più sopra. Scoprii così una storiella incredibile: una televisione di Skopje
ci aveva fatto sopra un servizio e un’università voleva scavare la tomba e
traslare le ossa nella loro capitale! La notizia era ridicola, perché la tomba,
di chiunque fosse, era ridotta a un troncone di muro in cui non c’era nulla da
trovare e traslare. Senza contare che Perseo era un usurpatore vigliacco e
sanguinario, l’opposto di un Alessandro Magno di cui andare fieri. Però, per
quanto poco professionali, quelli di Skopje avevano avuto il coraggio di
sfidare il ridicolo per dare concretezza alla loro “voglia di antenati”, per
cui anche un personaggio come Perseo andava bene. Ma perché un popolo slavo
cercava di darsi progenitori greci?
Questa storia dura dal 1991, da quando
la Macedonia, da stato federale della Jugoslavia in disfacimento divenne
repubblica indipendente. Poco dopo il nuovo stato mise sulla bandiera la
cosiddetta Stella di Verghina, un motivo decorativo scoperto da archeologi
greci, che qualcuno riteneva il simbolo degli Argeadi, la famiglia reale di
Alessandro Magno. Come il Nodo dei Savoia. Molto meno aulicamente, lo stesso
simbolo anni dopo in Grecia è stato messo sulle bustine di zucchero,
separandolo da questo dramma diplomatico. Ma allora fu l’inizio di guai.
Infatti tutto ciò avrebbe potuto essere
un omaggio ad una tradizione antica da condividere pacificamente, un po’ come
avviene in Italia con la bandiera di Trento, che è simile a quella del Tirolo e
pure a quella dell’Austria, senza con questo offendere la memoria dei patrioti
morti per l’italianità del Trentino. Ma in Macedonia non andò così, perché
qualcuno contemporaneamente fece discorsi di rivendicazione di territori greci
(o bulgari), con tanto di cartine, che non piacquero per nulla nei due stati
vicini. In Grecia prevalse una linea allarmistica, portata avanti per motivi
elettorali dal ministro degli Esteri Samaràs (oggi primo ministro) e nacque una
politica di veti all’ingresso della repubblica di Macedonia in qualsiasi
organismo internazionale, finché fosse stata mantenuta quella bandiera, che fu
cambiata, e finché fosse stato mantenuto il nome di Macedonia, che invece è
rimasto.
È opinione comune che la politica di preclusione alla repubblica vicina del nome di Macedonia abbia provocato ai Greci più danni che vantaggi. Se non altro perché ha esposto la Grecia, che aveva ottenuto faticosissimi risultati, come l’adozione “ provvisoria” a livello internazionale del nome di “Former Yugoslavian Republic of Macedonia”, a continui ricatti diplomatici ogni volta che manifestava il minimo dissenso dagli Stati Uniti. Del resto, per constatare come il terreno sia infido basterebbe vedere in ultimo l’articolo sul quotidiano La Stampa del 30 ottobre, in cui Giuseppe Zaccaria non risparmia ironie. Alla fine i plenipotenziari greci hanno accettato che la Repubblica di Skopje si chiami Macedonia, ma solo con l’aggiunta di specificazioni riduttive (hanno proposto: slavo-albanese) sulle quali le trattative proseguiranno per anni. Una parte crescente dei Greci è stanca di questa storia, un’altra considera anche il minimo cedimento come un attacco all’integrità nazionale, ma per capirci qualcosa non si deve partire dai Greci, ma dagli altri.
È opinione comune che la politica di preclusione alla repubblica vicina del nome di Macedonia abbia provocato ai Greci più danni che vantaggi. Se non altro perché ha esposto la Grecia, che aveva ottenuto faticosissimi risultati, come l’adozione “ provvisoria” a livello internazionale del nome di “Former Yugoslavian Republic of Macedonia”, a continui ricatti diplomatici ogni volta che manifestava il minimo dissenso dagli Stati Uniti. Del resto, per constatare come il terreno sia infido basterebbe vedere in ultimo l’articolo sul quotidiano La Stampa del 30 ottobre, in cui Giuseppe Zaccaria non risparmia ironie. Alla fine i plenipotenziari greci hanno accettato che la Repubblica di Skopje si chiami Macedonia, ma solo con l’aggiunta di specificazioni riduttive (hanno proposto: slavo-albanese) sulle quali le trattative proseguiranno per anni. Una parte crescente dei Greci è stanca di questa storia, un’altra considera anche il minimo cedimento come un attacco all’integrità nazionale, ma per capirci qualcosa non si deve partire dai Greci, ma dagli altri.
Le potenze occidentali, in particolare
nel Congresso di Berlino del 1878, diedero il nome di Macedonia, che in epoca
ottomana era stato in parte dimenticato, al territorio compreso tra la Serbia e
la Tessaglia, che restava sotto sovranità turca. Noi siamo abituati adesso a
guardare alla questione macedone come ad un problema greco-slavo, ma se
pensiamo che i due personaggi nati nella Macedonia moderna più famosi al mondo
sono stati un generale turco, Moustafà Kemal, e una missionaria cattolica di
padre albanese e madre valacca, Madre Teresa di Calcutta, ci accorgiamo che in
partenza ci fosse un quadro molto più articolato, con molte genti diverse che
abitavano la regione. Un lungo elenco: Greci, Albanesi (musulmani, ortodossi e
cattolici), Turchi, Slavi, soprattutto Bulgari, e ben tre gruppi latini: gli
Ebrei catalani che erano la maggioranza a Salonicco, i Valacchi Aromei e
Megleniti. Avevano convissuto per secoli, ma da allora si scatenarono i
nazionalismi, ed i gruppi iniziarono a fronteggiarsi, o peggio.
Nel 1912 si stabilirono più o meno le frontiere attuali, dopo che i Greci si concentrarono a Sud e gli Slavi e gli altri a Nord, e la Macedonia fu divisa tra Grecia e Serbia. In realtà nella parte toccata alla Serbia la maggioranza della popolazione, tra espulsioni di Greci e Turchi ed assimilazioni forzate di Aromei, era bulgara. Ma Greci e Serbi, che insieme erano riusciti ad escludere dalla zona il Regno di Bulgaria, decisero che tutti si sarebbero chiamati Macedoni. Così fu. Ai bambini fu insegnato di non essere Bulgari ma Macedoni, la gente fu obbligata a un inutile sradicamento, e così nacque la Macedonia dipendente da Belgrado. Andava tutto bene, poi la crisi della Jugoslavia ha trasformato questa regione inventata a tavolino in uno stato sovrano!
Nel 1912 si stabilirono più o meno le frontiere attuali, dopo che i Greci si concentrarono a Sud e gli Slavi e gli altri a Nord, e la Macedonia fu divisa tra Grecia e Serbia. In realtà nella parte toccata alla Serbia la maggioranza della popolazione, tra espulsioni di Greci e Turchi ed assimilazioni forzate di Aromei, era bulgara. Ma Greci e Serbi, che insieme erano riusciti ad escludere dalla zona il Regno di Bulgaria, decisero che tutti si sarebbero chiamati Macedoni. Così fu. Ai bambini fu insegnato di non essere Bulgari ma Macedoni, la gente fu obbligata a un inutile sradicamento, e così nacque la Macedonia dipendente da Belgrado. Andava tutto bene, poi la crisi della Jugoslavia ha trasformato questa regione inventata a tavolino in uno stato sovrano!
A questo punto i Macedoni (che si fanno
chiamare così perché non gli è rimasto altro nome) sono stati costretti
innanzitutto a differenziarsi il più possibile dalla Bulgaria, dove invece
nelle scuole si insegna che la lingua macedone è soltanto un dialetto bulgaro,
e si lascia intendere che prima o poi ci sarà la riunificazione. Così hanno
scoperto la Macedonia antica. Filippo, Alessandro e tutto il resto. Avrebbero
potuto farlo con più accortezza, in modo da suscitare l’amicizia e non
l’ostilità greca, ma comunque non avevano scelta per sfuggire alla morsa
bulgara.
Questo pasticcio, in cui ai Greci non
secca tanto che uno stato estero si possa chiamare Macedonia, quanto che i loro
vicini si sentano autorizzati a chiamarsi Macedoni, poggia su un grossolano
equivoco culturale: la sovrapposizione dei concetti di Macedonia antica e
moderna. Certo, è uno sbaglio che si fa anche altrove (ricordiamoci delle
sbrodolate leghiste su Celti e Veneti, o anche, all’altro capo dell’Italia, di
certi discorsi sulla Magna Grecia), e dappertutto suona un po’ da operetta; ma
per la Macedonia è una mela avvelenata. Infatti gli studiosi di tutto il mondo
dibattono da secoli se gli antichi Macedoni fossero davvero Greci. Discussione
erudite, non sempre di qualità eccezionale, che portate fuori dai palazzi del
sapere producono effetti dirompenti. A volte sembra quasi che gli Slavi dicano
ai Greci, così, tanto per provocare: “Lo sappiamo che Alessandro non era slavo,
ma non era neppure dei vostri, perciò non potete impedirci di prendercene un
pezzetto”. La questione in realtà è mal posta, dato che sappiamo che tutti i
grandi popoli europei, senza eccezioni, si sono formati con la confluenza di
più stirpi, e che il discorso della continuità genetica con l’antico è
insensato. Malgrado questo, però, dato che ci sono problemi più seri di questo,
la soluzione si sarebbe potuta trovare da anni; invece non è successo. Forse
perché sotto la cenere covano tragedie che si vorrebbero considerare rimosse,
ma che a quanto pare non lo sono. Tanto vale allora parlarne.
Le guerre balcaniche furono un
susseguirsi di episodi efferati, forse meno massicci delle “pulizie etniche”
che hanno distrutto la Jugoslavia, o di sicuro meno pianificati degli eccidi e
deportazioni dell’Anatolia; ma hanno lasciato una scia di sangue. Non si ama
parlarne, ma questa scia è rimasta. Infatti in Grecia si parla sempre di
Olocausto di Smirne e di tragedie anatoliche, ma di rado dei fatti del Nord.
Chi ama la letteratura ne trova la principale traccia sulla spiaggia
meridionale di Creta, al cospetto dell’Africa, dove Zorbàs, operaio macedone
lontanissimo da casa, si lascia andare a ricordi terrificanti di massacri
durante la guerra con i Bulgari. E sappiamo adesso che i Bulgari di cui parla
Zorbàs avevano nel frattempo cambiato nome.
Quell’antica ostilità, quei bagni di
sangue, hanno prodotto una separazione innaturale e controproducente tra popoli
che avevano tutto l’interesse ad allearsi e collaborare. All’inizio dell’800
Daniil Moschopolitis aveva teorizzato la collaborazione dei quattro popoli
dell’area, Greci, Bulgari, Albanesi e Valacchi, riconoscendo nell’interesse di
tutti una supremazia greca, funzionale alla liberazione dai Turchi ed al mantenimento
di una maggiore tradizione culturale, e Rigas Fereos aveva iniziato un’attività
politica in questo senso, purtroppo sfortunata. Il nazionalismo ottocentesco
mise inutilmente gli uni contro gli altri, ma forse è arrivato il momento di
ricordarsi che l’argomento della collaborazione e dell’amicizia tra i popoli
dell’area ha una tradizione secolare. Forse si potrebbe fare uno sforzo per
riprenderlo, invece di trastullarsi con l’origine dei Macedoni e il nome della
Macedonia, da cui finora non sono venuti che guai per tutti. E si potrebbe
anche riconoscere l’esistenza di episodi di guerra terribili, compiuti da
tutti, per esorcizzarne i fantasmi, che a quanto pare continuano a riaffiorare.
A volte questa faccenda sembra una farsa, ma è l’eco di lontane tragedie.
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