Federico Magi
Il futuro, è noto, può
sempre riservarci nuove guerre. E se in un futuro prossimo, nemmeno troppo
distante, fossero gli abitanti di un altro pianeta a tenere in allerta la
terra? Se fossero talmente pericolosi che non gli adulti, ma solo i bambini
potessero affrontarli con la possibilità di vincere e salvare l’amato pianeta?
Sì, proprio i bambini. Dei bambini soldato, evidentemente. Ender’s Game, fortunato romanzo di Orson Scott Card, datato oramai
1985, ritorna a quasi trent’anni dalla sua pubblicazione per riproporsi in
chiave cinematografica diretto dal sudafricano Gavin Hood, salito alla ribalta
per due film tra loro assai diversi, il dramma premiato con l’Oscar per il
miglior film straniero Il suo nome è
Tsotsi, girato in terra natia, cui fece seguito la sua prima pellicola
hollywoodiana, X-Men le origini:
Wolverine. Con Ender’s Game siamo
nel campo della pura fantascienza, un’opera che, in ossequio al romanzo cui
s’ispira, è votata certamente all’intrattenimento ma senza tralasciare quel
retrogusto drammatico fondato su un chiaro messaggio etico e universale che
caratterizza la migliore produzione di genere.
Ender Wiggins è un dodicenne
dotato e promettente che si distingue per intuizione, istinto, prontezza e
capacità di relazionarsi al pericolo tipici dei migliori cadetti della Battle
School, una stazione orbitante intorno alla terra in cui i ragazzini si sfidano
in sofisticati giochi di simulazioni che li preparino alla battaglia reale con
i Formic, un popolo alieno contro il quale i terrestri sono stati costretti a
confliggere cinquant’anni prima, riportando gravi perdite ma vincendo
sostanzialmente la contesa. Il rischio di una nuova guerra è sempre presente, o
almeno è ciò che pensa il Colonnello Graff, il quale è convinto che il giovane
Ender possegga le stimmate del capo. Per prepararlo al suo compito di comando,
Graff lo sottopone a un durissimo tirocinio militare (ci tornano alla mente
vaghi echi di Full Metal Jacket),
allontanandolo dalla famiglia e lasciando che l’invidia dei compagni lo isoli,
per testarne le capacità di resistenza a scrupoli e sentimentalismi. Ender
diventerà il soldato perfetto, senza però mai perdere la capacità d’analisi e
di relazione con l’altro, così da consentirgli di porsi quei quesiti morali ed
esistenziali che gli saranno utili, alla fine, a conoscere se stesso e a
prendere un’importante decisione nei riguardi delle sorti del popolo nemico.
Ender’s
Game
è un film di ottima fattura, valorizzato da una incalzante colonna sonora e
fortificato dalla prova di un cast in parte; nonostante le lunghe sequenze
simulate, e una messa in scena girata quasi tutta in interni, in cui la
battaglia è protagonista reale solo nell’ultimo quarto di pellicola, l’opera si
snoda senza troppi intoppi e anche la sceneggiatura, classica ed essenziale,
non trova elementi di intoppo e restituisce dialoghi credibili e ben
articolati. Si evidenzia certamente la prova del giovane protagonista,
quell’Asa Butterfield già apprezzato e in primo piano nel bellissimo Hugo Cabret di Scorsese, che tiene testa, fino a vincere decisamente il
confronto, in alcune sequenze, a un’Harrison Ford che va solo di mestiere ma
che non stona, nonostante Guerre Stellari
– per restare al genere – per lui sia lontano anni luce, in tutti i sensi. Il
film dimostra l’ottima tenuta, nel tempo, del libro di Orson Scott Card, il
quale ci racconta una storia perfettamente adattabile alle mirabilie tecniche
del cinema odierno che valorizzano ancor più una narrazione datata solo sulla
carta. Una fantascienza che restituisce importanti interrogativi lasciando il
peso del giudizio morale solo sulle spalle dei bambini. Gli adulti, nella
fattispecie, sembrano infatti solo interessati all’esito finale del conflitto,
svelando in conclusione l’orrore che può nascondersi dietro una guerra preventiva
e dietro un possibile genocidio.
Del resto, fantascienza
o meno che sia, il tema legato agli orrori di guerre e genocidi, ahinoi, nel
presente come nel futuro sarà sempre di stretta attualità, come la storia
insegna. Ender accoglie invece il messaggio telepatico dell’altro, del diverso,
dell’estraneo, di coloro che sono ritenuti una minaccia mortale. Ma può un
popolo essere annientato, azzerato totalmente? Può Ender sopportare questa
responsabilità? Il toccante finale di Ender’s
Game (vibrante e velata di un tocco di lirismo la sequenza in cui Ender,
nella desolazione post distruzione totale, incontra la regina madre dei Formic)
apre la porta a tali interrogativi e alimenta un ulteriore quesito: ma i
bambini soldato sono vittime o carnefici? Proprio i bambini, ritenuti i soli
adatti a combattere perché più elastici mentalmente e più rapidi
nell’immagazzinare nozioni rispetto agli adulti. Sarà proprio Ender col suo
ultimo atto a risponderci. E la risposta che ci dà non può che donarci
speranza. Se la natura umana non perderà il conflitto col il proprio sé più
intimo, profondo, empatico e solidale il futuro non potrà mai essere una
minaccia.
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