mercoledì 12 febbraio 2014

Tibet, quando i ribelli sono monaci



Francesco Pullia

Mentre la magistratura spagnola ha finalmente formalizzato un ordine internazionale di cattura e detenzione per il genocidio in Tibet nei confronti dell'ex presidente cinese, Jiang Zemin, dell’ex premier Li Peng e altri tre ex dirigenti del Partito comunista cinese, in Tibet non s’arresta la repressione da parte degli invasori cinesi.
Quattro giovani monaci tibetani, Tsuiltrim Palsang (20 anni), Lobsang Yeshi (15), Kalsang campa (22) e Kalsang Dorjee (23), sono stati arrestati dalla polizia cinese per avere affisso e distribuito volantini indipendentisti nell’antico monastero di Dowa Shartsang a Trido, nella contea di Sog, nella regione del Kham. A Dokarmo, nella contea di Tsekok, nella regione dell’Amdo, si è dato fuoco Phakmo Samdup, ventinove anni, padre di due bambini. È il primo tibetano ad essersi autoimmolato all’interno del Tibet nel 2014, il 126° dal 2009. Le comunicazioni con l’intera area sono state interrotte dalla polizia che ha imposto alla popolazione di non diffondere la notizia della nuova immolazione per lasciare invece credere che il tibetano si sia suicidato per questioni familiari.La polizia cinese, spente le fiamme, si è impossessata del corpo. Il tragico evento acquista particolare rilevanza per l’approssimarsi delle date del 2 marzo (capodanno tibetano) e del 10 marzo (55° anniversario dell’insurrezione di Lhasa). A Driru è morto, invece, per le torture subite in carcere, Kunchok Dhakpa che era stato arrestato l’anno scorso per avere protestato contro la creazione di una miniera nella montagna sacra di Naglha Dzamba.  Nello stesso posto, nel maggio 2013, circa cinquemila tibetani avevano inscenato una manifestazione contro una compagnia mineraria cinese che stava allestendo un cantiere nella montagna sacra con il "pretesto di costruire progetti idroelettrici".
Per portare avanti l’attività estrattiva, i cinesi hanno deportato due milioni di tibetani. Secondo la versione ufficiale i pastori sarebbero stati invitati a trasferirsi verso altre zone "per conservare i pascoli altrimenti degradati da pratiche di allevamento insostenibili". Grandi dighe sono state costruite per ottenere l'energia elettrica necessaria all'estrazione e secondo dati ufficiosi se ne gioverebbero circa 240 gli impianti minerari, molti dei quali proprio in prossimità delle sorgenti di grandi fiumi che rischiano di essere inquinati dai riversamenti di materiali di scarto. La Cina continua, poi, a detenere il triste primato nelle esecuzioni capitali. Anche se, presentando lo scorso anno il suo rapporto, il presidente della Corte suprema del popolo, Wang Shengjun, si è rigorosamente attenuto alla linea governativa di tradizionale segretezza, non fornendo, quindi, statistiche sul numero delle condanne a morte e delle esecuzioni, si sa che l’anno scorso le esecuzioni capitali sono state circa tremila, il 76% del totale nel mondo. È noto il legame tra esecuzioni capitali e commercio di organi. Secondo le organizzazioni umanitarie internazionali, il 95% degli organi proviene, infatti, dai corpi dei condannati a morte. Gli organi vengono espiantati subito dopo l’esecuzione e trasportati in apposite ambulanze. Sono almeno seicento in tutta la Cina gli ospedali specializzati in questo traffico. I profitti sono altissimi, se si considera che il prezzo di vendita degli organi spesso arriva a decine di migliaia di dollari.

Recentemente il governo cinese ha approvato alcune leggi per regolarizzare il “mercato nero” degli organi umani. La precedenza nella distribuzione degli organi andrebbe ai cittadini cinesi, i chirurghi cinesi non potrebbero viaggiare all’estero per effettuare espianti e, soprattutto, dovrebbe essere obbligatorio il  consenso del prigioniero per la donazione dei propri organi dopo la morte. Un’ennesima ipocrisia se, come denuncia Human Rights Watch in un reportage della CNN dell’11 febbraio 2007, è vero che i condannati a morte risultano, in realtà, soggetti a pressioni e, quindi, impossibilitati ad esprimere liberamente la propria volontà.

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