giovedì 5 settembre 2013

Storia del Secolo: la piazza tricolore del '53, la compagnia della teppa e i fiori di Alemanno



Annalisa Terranova

Nel 1953 (direttori Almirante-Anfuso) il Secolo diviene il giornale-bandiera dei nazionalisti che si oppongono alla zona B di Trieste. Eventi minuziosamente raccontati dal Secolo: fu il battesimo della piazza “tricolore”, movimentista e ribelle; la grande piazza di destra, ancorata al mito dell’irredentismo, cui poi nell’immaginario popolare seguirà la piazza operaista e anticapitalista di sinistra che dominerà la scena negli anni Settanta. Ma nel 1953, quando le ragazze di Trieste “cantan tutte con ardore o Italia o Italia del mio cuore”, saranno i missini a dominare la scena, seguiti dal Secolo che ne diviene la voce, il megafono, il guanto di sfida verso gli inglesi e gli jugoslavi. 

A marzo, dopo un comizio di De Marsanich, una bomba ferisce gravemente Fabio De Felice e Cesare Pozzo e altri 17 ragazzi. I due giovani verranno poi portati in Parlamento anche se hanno ancora meno di trent’anni. Il 4 novembre del 1953 studenti ed ex combattenti, insieme ai triestini, si radunano in piazza dell’Unità d’Italia per issare sul municipio il tricolore tolto dagli inglesi. Seguiranno violente cariche, con il ferimento di 15 persone e 17 arresti. Il giorno dopo la polizia alleata fa fuoco sulla folla che assiste alla messa riparatrice davanti alla chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo provocando i primi morti della gioventù nazionale: Antonio Zavadil e Piero Addobbati. Il giorno seguente ancora 4 vittime: il dirigente del Fuan Francesco Paglia, Erminio Bassa, Saverio Montano e Leonardo Manzi. Gli attivisti missini sono guidati da Franco Petronio: avevano composto, come racconta Giulio Caradonna nelle sue Memorie, la “compagnia della teppa”, dal nome dell’associazione patriottica che aveva dato il via alle Cinque Giornate di Milano del 1848. Franco Petronio in seguitò sarà un valido giornalista del Secolo e Cesare Pozzo, capo-ufficio stampa di Almirante, sarà negli anni Settanta direttore politico del quotidiano.


Dopo che io entrai al Secolo, nel 1990, non c’erano epiche giornate da raccontare. Ma il sogno mio e degli altri giovani praticanti assunti in quel periodo (Luciano Lanna, Mario Landolfi, Camillo Scoyni) era “rivoluzionare” la logica del quotidiano di partito. Ne discutevamo alla pausa pranzo al bar Moroni, in via della Mercede dove ci eravamo trasferiti lasciando la sede da via Milano, mangiando indigeste pennette al pesto di funghi: sbuffavamo quando nei nostri “pastoni” dovevamo inserire la dichiarazione di un esponente del Msi che, secondo noi, ci rovinava la nostra prosa brillante con le sue “trombonate”. Lanna sosteneva che “bisognava attaccare il ciuccio dove vuole il padrone ma con stile…”. Landolfi pensava di risolvere l’impasse con brillanti corsivi in prima pagina ed evitare i dirigenti come la peste (chissà che ne pensa oggi…). Scoyni riteneva che dovessimo copiare il modello di Repubblica. Io dicevo: andiamoci a parlare con questi del partito, spieghiamo loro che così il giornale non si vende, che non possiamo solo passare le loro veline. Ma loro guardavano proprio quelle, gli annunci, gli appuntamenti, le feste tricolori. Gasparri si lamentò con Rauti che i suoi eventi erano penalizzati. Dunque noi, che curavamo quella rubrica nella pagina chiamata Movimento, glieli inserimmo tutti (effettivamente li avevamo censurati, ma non per ordine di Rauti, per conto nostro). Allora si arrabbiò Alemanno, che telefonò per protestare che Gasparri aveva più spazio di lui. Io gli risposi male. Lui fece una scena alla “lei non sa chi sono io”. Io lo mandai a quel paese. In nome dell’"autonomia della redazione". Lui mandò il giorno dopo dei fiori, come gesto riparatorio: io li gettai nello scatolone a fianco alla scrivania di Palmesano, dove finivano i lanci di agenzia inutilizzati dai redattori. Fu un gesto di ribellione politica. All’epoca ero giovane. In realtà avrei dovuto buttarli per una questione tutta femminile, perché, invece che mandare rose, inviò un semplice mazzo di margherite di campo.    

Nessun commento:

Posta un commento