lunedì 9 settembre 2013

Buon anno scolastico con una pagina di Ernst Jünger





Venator

Ricomincia la scuola. Ovviamente i problemi sono quelli di sempre. Il ministro Maria Chiara Carrozza ha lanciato un tema importante: la bocciatura non serve. Se ne è parlato meno di quanto l’argomento meritasse, perché “prende” di più lo scandalo del professore di Saluzzo malato di sesso. I giornali di centrodestra hanno subito rimproverato il ministro in nome del “merito” (critica che, provenendo da una parte politica che ha mandato in consiglio regionale Nicole Minetti, suona come una barzelletta…). Invece una volta tanto un ministro ha detto una cosa sacrosanta. A che serve la bocciatura in un sistema che fa acqua da tutte le parti? A parcheggiare studenti svogliati? A ritardare un po’ l’impossibile ingresso nel mondo del lavoro? A punirli obbligandoli a cimentarsi di nuovo con programmi fuori dalla realtà?
Spesso è stato detto e scritto, facendo riferimento ad esempi illustri, che le menti geniali e la scuola non vanno d’accordo, e che quasi sempre le personalità d’eccezione rischiano di essere accomunate ai “somari”, i quali di certo abbondano nelle classi italiane ma non in numero tale, ci auguriamo, a perdere del tutto la fiducia nelle generazioni che si vanno formando sui banchi. A chi affronta un nuovo anno scolastico dedichiamo quindi una bella pagina in cui lo scrittore Ernst J̈ünger rievoca i suoi trascorsi scolastici attraverso il racconto del giovane Wolfram, della sua attitudine all’osservazione della natura che in classe si tramutava in assenza, del suo considerare la scuola e la sua disciplina come un peso, del suo rapporto con il nonno, da cui imparava più cose che dai maestri.
“Il bello della scuola era, più di tutto, la strada per arrivarci, ecco perché a Wolfram sarebbe piaciuto allungarla il più possibile. Poi però sarebbe arrivato troppo tardi e arrivare tardi era cosa grave. Nell’agitazione non trovava la porta giusta; si sbagliava persino di piano e disturbava la lezione di altre classi. Gli insegnanti, la maggior parte dei quali portava il colletto rigido e lo stringinaso, lo fissavano arrabbiati, mentre gli scolari esultavano per l’interruzione. Quasi un quarto d’ora era bell’e andato prima ch’egli potesse balbettare le sue scuse. E comunque non c’erano scuse. Prima che gli fosse permesso di sedersi, ecco arrivare l’ammonizione: ‘Non si può che biasimarti’, seguita dalla nota sul registro. Oltretutto i suoi abiti erano in disordine: l’attrattiva principale della strada per la scuola era il folto dei cespugli, oltre la riva paludosa del lago. Certo sarebbe stato bello se non ci fosse stato altro che la strada, ma c’era la scuola a proiettarvi la sua ombra. E l’ombra era andata facendosi sempre più scura, perché Wolfram era un disastro…

La strada delle elementari era stata la più facile per Wolfram – la percorreva infatti per accompagnare il nonno, che ci insegnava. Si sarebbe anche potuto dire che il nonno era il suo accompagnatore, o la sua guardia del corpo. Capitava per l’appunto che questi, a causa del nipote, uscisse di casa anche una, perfino due ore prima di quanto il suo servizio richiedesse. A Wolfram questa compagnia offriva il vantaggio di non arrivare in ritardo, visto che il nonno era puntuale come un orologio. Lo induceva però a rinunciare alla sua libertà, con tutte quelle pedagogiche raccomandazioni addolcite da piacevoli insegnamenti. Il nonno sapeva un sacco di cose. Conosceva i nomi delle varie famiglie di anatre che nuotavano sull’acqua; ce n’era una addirittura giapponese. I giardinieri municipali piantavano ogni mese nuovi fiori sulle bordure e Wolfram imparava immediatamente a distinguerne le varietà. Vi erano anche alberi rari, come il corniolo e l’auracaria, ma già solo delle querce c’erano tante specie diverse che ci si sarebbe potuto piantumare un bosco intero senza che ve ne fosse una uguale all’altra… Wolfram disponeva sia di intelligenza che di memoria, che però, se così si vuol dire, erano tanto l’una quanto l’altra quelle proprie di un palato fino. Recepiva solo ciò che gli riusciva gradito – poi però lo serbava assai per bene. Gli restava bene impresso – le piante, per esempio, o gli animali e le pietre, anche insoliti eventi della vita quotidiana e della natura” . (E. Jünger, Tre strade per la scuola, Guanda 2003) 

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