domenica 15 settembre 2013

Occhi sgranati nel vuoto



Francesco Pullia
Primo flash. Lei sta sulla sedia a rotelle, gli occhi sgranati su un viso poeticamente percorso dalle rughe, persi in visioni trascolorate in cui i ricordi di affetti ormai andati si confondono con rapide incursioni di presente. L’altra, la badante, corpulenta, lineamenti marcati, inequivocabile accento da paese dell’est europeo, le prende, con scatto nervoso, il portafoglio nero, lo apre, lo gira e rigira arraffando spiccioli, umiliandola davanti alla fila di persone che, indifferenti al nauseabondo lezzo di fritto e cipolla, fanno ressa per accaparrarsi una porzione di pizza all’ingresso di un centro commerciale. Lei continua a sgranare gli occhi dall’azzurro impallidito, velati da un’orma di cecità. È interdetta, apre stupita labbra incapaci di proferire parola. Resta così, a bocca aperta. La badante continua a trattarla con durezza, riversandole addosso sgraziati fonemi gutturali. La gente passa, qualcuno si volta, scotendo la testa, abbandonandosi tra sé e sé ad impercettibili ma intuibili commenti, fa spallucce, tira avanti, come se quella situazione non lo riguardasse, come se non fosse la prefigurazione di un’imminenza, di un’abissale prossimità con cui anche lui dovrà misurarsi, la barra di un passaggio pronta impietosamente a calarsi.Secondo flash. Le sette di sera circa. Gazebo allestito da un bar in una via che conduce al corso principale. Due badanti, anche loro sicuramente dell’est europeo, sedute a un tavolino di rattan, fumano sorseggiando un aperitivo. Il ghiaccio che tintinna nel bicchiere interseca i loro accenti stranieri. Accanto, una signora molto avanti negli anni, anche lei su una sedia a rotelle, accucciata in un limbo di esclusione, si passa tra le dita il foglietto pubblicitario di un ipermercato. Storce la bocca e, come fanno i bambini nei primi anni di vita, si china con il capo su quel pezzo di carta. È come se ci giocasse, leggendolo all’incontrario. Lo capovolge, lo stropiccia mentre le due bandanti continuano a fumare e a bere gettando ai passanti occhiate dalla cui traiettoria lei è volutamente tenuta fuori. Una scena rude, triste, che pare uscire da un film di Clint Eastwood. Mondi paralleli, che solo per necessità finiscono per incrociarsi, stazionano nel nostro presente. Solitudini marcate dal vuoto ci attraversano ogni istante. Le vediamo, impotenti, sfrecciare con il loro bagaglio di desolazione. A nulla vale rimuoverle. Tornano accentuando crepe, voragini, ferite.Terzo flash. Nello spiazzo davanti a un liceo bighellonano gruppetti di giovani. Siedono su gradini di marmo, trangugiando birra e rollando sigarette. Avranno un’età media di sedici anni, qualcuno forse un po’ di più. Strafottenti, si danno arie di emancipazione. Con i pennarelli sporcano le panchine. Fanno rotolare lattine e bottigliette. Alcuni bestemmiano a voce alta, altri chiacchierano a forze di inutili parolacce ostentate come slang, altri gareggiano in rutti, altri ancora accennano motivi con le cuffiette attaccate alle orecchie. E fumano, fumano, fumano, infischiandosene delle avvertenze messe nelle confezioni di tabacco. Passa un signore avanti negli anni, magro, curvo, aspetto dimesso. Dalle sportine della spesa fanno capolino due filoncini di pane e un ciuffo di sedano. Dal fondo traspare la pesantezza delle patate. Suda. Si vede a tre miglia che è stanco e fatica a proseguire. Non ha dove fermarsi. Non c’è posto per la vecchiaia. I giovani continuano a imbrattare. Ondeggiano in jeans sdruciti dalla vita bassa stinti e logori per moda. Sono tutti uguali, perduti in rasature dalle tinte accese, con i percing nei volti e fantasmagorici tatuaggi a segnare uno sfregio all’evidenza del corpo. Ormai non c’è più neanche mimesi, tutto è così palese nell’ostentazione di una fuga. L’importante è riuscire a non arrestarsi, a fare scempio della scansione del tempo. L’anziano, intanto, arrancando ha girato l’angolo. Sparisce nello scarico di un bus fagocitato dal tramonto.Quarto flash. Due albanesi entrano in copisteria. La commessa è intenta a incartare un lavoro commissionato. Parla con il committente. Sta spiegando qualcosa. I due, intanto, si muovono nel negozio come se fossero a casa loro. Attratti da una fotocopiatrice, pigiano un tasto, trovando divertente l’uscita di fogli bianchi dalla macchina. La commessa non sa che dire. Nessuno sa cosa dire. Si resta esterrefatti. Prosegue così per poco, ma quel poco è micidiale, assesta fendenti al nostro interno. Giusto il tempo di fare sfoggio di prevaricazione e i due se ne vanno come se nulla fosse accaduto. Lampi di vita vissuta. La notte finalmente arriva senza potere, purtroppo, cancellare il giorno. Semplicemente lo offusca, lasciando nel nostro sguardo lande di mestizia. Il sonno, se e quando arriverà, restituirà ciò che l’impotenza ci ha tolto.

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