Annalisa Terranova
La fantascienza non mi interessa. Un
mio limite, certamente. Letto Ray Bradbury – uno pensa – che altro c’è da
leggere? Tantissimo, di sicuro, ma non per una che come me non ama il genere. Invece
mi arriva per caso tra le mani un libro di racconti di George Saunders, Dieci dicembre. E per caso porto il
libro con me in viaggio. Una scoperta. Non tutti i racconti sono di fantascienza,
tra l’altro. Saunders ha una scrittura che rapisce, qualunque cosa metta in
scena. Un tentativo di stupro o la vita subumana di una famiglia disadattata. Ma c’è un racconto, Fuga dall’aracnotesta, che eguaglia e forse supera il mio Bradbury.
Il ragno è la forma che assumono una
serie di laboratori dove si testano sostanze che aumentano o diminuiscono le
emozioni. Dove sta la testa del ragno c’è il regista che fa le domande alle “cavie”.
Le cavie sono persone che hanno commesso crimini efferati e dunque li si “rieduca”
rendendoli utili alla società… Il protagonista del racconto che mi ha folgorato
deve provare una “flebo” di una sostanza che lo fa innamorare. La prova due
volte, con due donne diverse. E tutte e due le volte gli sembra di amarle
tantissimo, perdutamente e per l’eternità. Invece poi gli iniettano l’antidoto
e il grande amore svanisce. La “lei” tanto amata diventa poco più di un’estranea.
Gli amplessi appassionati sbiadiscono nel ricordo di faticosi corpo a corpo.
Bene, si congratula il regista dell’esperimento. Non uno cattivo, ma un
esecutore di ordini. Un servitore della scienza. Un burocrate del protocollo. Bene,
benissimo: se uno perde la testa per amore d’ora in poi ci sarà il rimedio
adatto per lui. Ma gli esperimenti sono crudeli. Per verificare che il nostro
protagonista sia davvero disamorato delle sue partner gli viene chiesto di fare
una scelta dolorosa: a chi delle due somministrare una sostanza talmente
depressiva da indurre al suicidio. Il nostro non vuole scegliere. Gli si
ricorda perché si trova lì. Ha ucciso con una sassata alla testa un compagno
che lo sfotteva. Deve riabilitarsi, certo. Ma non vuole scegliere. Ha ammazzato
una volta ma ora non gli va di uccidere più nessuno. Allora occorre spiare la
sua reazione mentre una delle due, anche se lui non l’ha scelta, in preda a un
fiume nero di infelicità soffre e si contorce. Poi toccherà all’altra. E allora
lui pensa a sua madre, a sua madre disperata per la sua sorte, sua madre che fa
le pulizie canticchiando per farsi coraggio. E sceglie, stavolta. Sceglie di
fuggire. E la morte, per lui, può somigliare al volo libero degli uccelli.
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