martedì 22 ottobre 2013

Un racconto di Saunders che fa pensare a Bradbury



Annalisa Terranova

La fantascienza non mi interessa. Un mio limite, certamente. Letto Ray Bradbury – uno pensa – che altro c’è da leggere? Tantissimo, di sicuro, ma non per una che come me non ama il genere. Invece mi arriva per caso tra le mani un libro di racconti di George Saunders, Dieci dicembre. E per caso porto il libro con me in viaggio. Una scoperta. Non tutti i racconti sono di fantascienza, tra l’altro. Saunders ha una scrittura che rapisce, qualunque cosa metta in scena. Un tentativo di stupro o la vita subumana di una famiglia disadattata.  Ma c’è un racconto, Fuga dall’aracnotesta, che eguaglia e forse supera il mio Bradbury.

Il ragno è la forma che assumono una serie di laboratori dove si testano sostanze che aumentano o diminuiscono le emozioni. Dove sta la testa del ragno c’è il regista che fa le domande alle “cavie”. Le cavie sono persone che hanno commesso crimini efferati e dunque li si “rieduca” rendendoli utili alla società… Il protagonista del racconto che mi ha folgorato deve provare una “flebo” di una sostanza che lo fa innamorare. La prova due volte, con due donne diverse. E tutte e due le volte gli sembra di amarle tantissimo, perdutamente e per l’eternità. Invece poi gli iniettano l’antidoto e il grande amore svanisce. La “lei” tanto amata diventa poco più di un’estranea. Gli amplessi appassionati sbiadiscono nel ricordo di faticosi corpo a corpo. Bene, si congratula il regista dell’esperimento. Non uno cattivo, ma un esecutore di ordini. Un servitore della scienza. Un burocrate del protocollo. Bene, benissimo: se uno perde la testa per amore d’ora in poi ci sarà il rimedio adatto per lui. Ma gli esperimenti sono crudeli. Per verificare che il nostro protagonista sia davvero disamorato delle sue partner gli viene chiesto di fare una scelta dolorosa: a chi delle due somministrare una sostanza talmente depressiva da indurre al suicidio. Il nostro non vuole scegliere. Gli si ricorda perché si trova lì. Ha ucciso con una sassata alla testa un compagno che lo sfotteva. Deve riabilitarsi, certo. Ma non vuole scegliere. Ha ammazzato una volta ma ora non gli va di uccidere più nessuno. Allora occorre spiare la sua reazione mentre una delle due, anche se lui non l’ha scelta, in preda a un fiume nero di infelicità soffre e si contorce. Poi toccherà all’altra. E allora lui pensa a sua madre, a sua madre disperata per la sua sorte, sua madre che fa le pulizie canticchiando per farsi coraggio. E sceglie, stavolta. Sceglie di fuggire. E la morte, per lui, può somigliare al volo libero degli uccelli.   

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