Luciano Lanna
All’inizio degli anni Sessanta sono i ragazzi della Giovane
Italia ad avere l’egemonia incontrastata nei licei e nelle scuole italiane. Già
nel 1956 con i fatti d’Ungheria erano stati gli studenti di destra a portare in
piazza migliaia e migliaia di ragazzi e a fare in modo che le scuole e le
università diventassero deserte. E sarà così anche, tra il 1961 e il 1963, per i
fatti dell’Alto Adige. Lo ha raccontato anche un testimone non di parte come il
futuro cantautore Antonello Venditti, il quale nell’autunno del ’63 si iscrive
al quarto ginnasio presso il liceo romano Giulio Cesare: “Era già luogo di
tensioni e di avanguardia ma non non mi accorgevo ancora di nulla… Così scoprii
che in classe mia c’erano i fascisti, c’erano i liberali, c’era gente che la pensava
in modi diversi. La mia è stata la prima scuola ad avere la polizia davanti, le
prime scritte nere sui muri. Era una zona di destra: nel versante sud (piazza
Istria e piazza Annibaliano) fino al 1966 agivano soltanto la Giovane Italia e
i giovani liberali. E mi resi conto di tutto ciò con la vicenda del Tirolo. Fui
fermato davanti ai cancelli, reclutato dalla Giovane Italia e portato in
corteo. Tutti gridavano: ‘Il Tirolo a noi!’…”. In effetti, da due anni la
questione era scottante. I terroristi altoatesini, che volevano l’annessione
dell’Alto Adige all’Austria, avevano iniziato una campagna a suon di attentati
dinamitardi. Il 29 gennaio 1961 era stato fatto saltare il monumento equestre
al genio del lavoro italiano; il 12 giugno dello stesso anno ci fu la
cosiddetta “notte dei fuochi” quando vennero fatti saltare ben 42 tralicci
dell’alta tensione; stessa cosa il 13 luglio con l’attentato a otto tralicci.
Quelli del Secolo mandano subito un inviato, che scriverà diversi reportage
dall’Alto Adige.
E’ il giovanissimo Gino Agnese, un ragazzo di Napoli che aveva
iniziato il suo praticantato nella redazione del Secolo nel luglio del 1960,
anche se già da due anni collaborava da Napoli alla redazione della pagina
partenopea che veniva allestita con la collaborazione di Gianni Roberti e un
giornalista come Vittorio Paliotti. Bisogna ricordare che Roberti era un
importante parlamentare napoletano, oltre che un accademico e un giuslavorista
di vaglia, così come napoletano era Franz Turchi, allora proprietario e anche
direttore del giornale. Quando il giovane Gino ha appena vent’anni, arriva in
redazione e vi trova un gruppo di oltre trenta giornalisti, molti dei quali di
grande professionalità. C’era Luigi Mosillo, unico esperto di economia che poi
andrà alla Rai e quindi All’AdnKronos; c’era Nunzio Candeloro, grande
frequentatore la sera di via Veneto e che fu il primo giornalista italiano a
scoprire e lanciare Mina (in seguito andrà al Messaggero); c’era Pino
Passalacqua, che diventerà un importante critico cinematografico; c’era il
capocronista Enrico Camaleone; c’era il giornalista sportivo Ernesto
Mezzabotta; c’era Ferruccio Albanese, che dopo qualche anno a Lo Specchio andrà
anche lui al Messaggero; capo degli Interni era Silvano Drago, un profugo
istriano. Accanto a questa pattuglia redazionale arrivarono quindi tre
giovanissimi: Gino, Ottorino Gurgo e Mario Caccavale. Gurgo uscì a far scrivere
sul giornale anche la sua fidanzata, e poi futura moglie: Ajla Kamil, una
ragazza il cui padre era un importante personaggio egiziano che aveva dovuto
lasciare il suo paese dopo la presa del potere da parte di Nasser e il cui
nonno era un esponente della classe dirigente turca ottomana. La ragazza
collaborò per qualche anno scrivendo di Medio Oriente e di quella realtà musulmana
che rappresentava l’identità della sua famiglia.
“Io – racconta Agnese – ero il più giovane di tutti e oltre a
fare l’inviato quando serviva, come fu per l’Alto Adige, scrivevo corsivi e
cominciavo a suggerire innovazioni grafiche…”. E i suo ricordi sono forti:
“Ogni sera arrivava il direttore-fondatore, passeggiava per la redazione e si
sentiva ripetere: ‘Buonasera, senatore’. Mentre quando stava nella sua stanza
Turchi chiamava Almirante con il campanello e allora si sentiva la voce del
futuro leader missino: ‘Franz, mi hai chiamato?’. Era, il nostro, un vero
giornale e lo dico anche alla luce della mia successiva esperienza al Tempo di
Angiolillo…”. Ma il personaggio più affascinante è, stando ai ricordi di
Agnese, senz’altro il terzo direttore: Filippo Anfuso: “Elegante, di gran
classe, abitava sopra il caffè Rosati di piazza del Popolo. Si diceva che
Vitaliano Brancati si fosse ispirato a lui, che era stato legionario fiumano,
giornalista, poi ambasciatore, per descrivere il protagonista del suo romanzo
Il bell’Antonio. Anfuso scriveva ogni giorno un corsivo e anche un articolo di
politica estera, ma senza firmare, non ci teneva…”. L’ultimo ricordo di Gino
Agnese per quanto riguarda questi anni è la sottovalutazione e la scarsa
considerazione che al giornale si ebbe per il Concilio Vaticano II, che era
stato annunciato da Papa Giovanni il 25 dicembre 1961 con la costituzione
apostolica Humanae salutis e indetto l’11 ottobre 1962. “La cosa paradossale –
aggiunge Agnese – è che Franz Turchi proprio per questo evento assunse al
giornale un vaticanista, Alvise Artissi, col solo effetto di provocare le
gelosie e il risentimento di tanti redattori che si sentirono scavalcati. Ma
fatto sta, comunque, che del Concilio, a cominciare dall’esperto assunto, noi non
ci capimmo niente…”.
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