Andrea Tomasini
Mi annoiano le sterili detrazioni al mio paese: quelli che a parlar male
di dove vivono gli riesce bene e nel frattempo si danno da soli anche
l’assoluzione, senza annessa penitenza di sorta. Mi annoiano specie quando
hanno i toni della moralizzazione. “Qui non c’è futuro, il merito non è
premiato….”. E’ allora per questo che i migliori –che sono anche i puri e duri,
gli insoddisfatti, i convinti che si riferisse a loro Cocteau quando diceva che
l’uguaglianza non è tagliare la testa ai più alti- è per questo che lor
signori, per poter dare il loro contributo all’edificazione del mondo “son
costretti ad andar via” e metter così la loro intelligenza al servizio di
quella collettività organizzata che sa apprezzarli e valorizzarli. Poi, lontani
da casa e dalla palude italiota, nelle stanze del privilegio –duramente
acquisito, certo!- commentano con saggezza e indignazione quello che vedono da
fuori, pregni di risonanze che spesso son lontane dalla realtà (proprio quella
che loro hanno abbandonato scegliendo di non modificarla) ma invece vicine al
proprio ego, che pensano e autodefiniscono come cervello in fuga. Spesso –ma
non sempre- è solo disonorevole fuga, pigrizia mentale o privilegio frutto
dell’opulenza Altre volte –molto raramente- è davvero brain drain, autentico.
Accade così che per me i veri patrioti, gli Italiani che “vivono” il nostro
suolo come quello che vogliono e desiderano, quello su cui edificare la propria
casa –il loro futuro- quei patrioti “per scelta” e non “per nascita” che io
ammiro, sono i patrioti d’elezione, sono i migranti clandestini. I migranti
–con il loro disperato tentativo di giungere anche da clandestini sulle nostre
coste- accettano di patire fatiche, freddo, violenze, taglieggiamenti;
rinunciano alla prossimità fisica di chi, amato, lasciano a casa, affrontano i
pericoli e le assolute incertezze di un viaggio avventuroso e di un futuro
ignoto sradicandosi per proporsi come talea in una terra di cui non conoscono
né la lingua né la fertilità; i migranti clandestini che scelgono la Penisola
come meta del loro viaggio –piattaforma per realizzare il loro altrove: sia
esso transito per un altro paese, sia –nella loro idea- luogo per restarci, sia
ancora per starci mantenendo il diritto al ritorno- per un'altra vita che qui
vogliono iniziare. L’Italia scelta e pensata come il contesto (dove e) per
mezzo del quale ricostruirsi. Alla fine sono loro i “patrioti” di questa
Italia, quelli che davvero ci credono e lo dimostrano con i fatti, quelli che
scelgono di volerci restare ad ogni costo, di costruire su questa terra il loro
futuro e forgiare qui il loro destino.
Ci penso leggendo e sentendo di quelli
che vanno a studiare all’estero perché qui no, non c’è riconoscimento del
merito, no, qui non c’è qualità, no qui non c’è né futuro né spazio per il
talento. Quelli che qui proprio non si può: i detrattori italiani dell’Italia,
provinciali del mondo che si arrendono al preteso esistente che incombe e da
talentuosi coltivatori del proprio ingegno fuggono altrove, o inducono altri a
fuggire. Cosa che possono fare grazie al privilegio di cui godono, alla
facilità della scelta che non implica il rischio della vita. Anzi: prendendo
per tempo il biglietto lo pagano anche meno… Aprioristicamente insoddisfatti,
anziché aprire una finestra dal proprio paese sul mondo, saltano giù da questa
finestra e brontolando cercano altrove la loro vita. Come fossero migranti
dello spirito. Che differenza con chi si gioca il futuro con il proprio corpo,
con diverso incanto e tanto dolore. Né amore, né bisogno: solo per sfiducia
dell’intentato e dell’inesperito disertano dall’etica dell’impegno per
prevenzione del proprio futuro. Desiderano di ottenere con certezza la
realizzazione delle proprie aspirazioni –scommessa più facile su di un futuro
opzionato e a pagamento- che coincidono con un eterno presente. Prendono
l’aereo –che è coda diversa dal migrare: è fare il check-in per andare in
un’altra casa già pronta ad accoglierli dopo qualche ora di volo. I migranti
clandestini: quelli che investono emotivamente nell’Italia, i soli convinti a
tal punto da scommetterci la vita su questo paese deluso. Ci credono e ci
scommettono così forte da accettare di tagliar via un pezzo della loro vita pur
di continuare a vivere –che per loro significa stare qui. Gli “Italiani” no.
Loro vanno altrove. Come scafisti cinici di se stessi. Oggi c’è chi conta corpi
di patrioti che il mare nostrum ci restituisce, affioranti in superficie. Io,
in silenzio ci penso e senza accorgermene lo faccio con una preghiera
affiorante sulle labbra. Per loro e per i miei figli: italiani del Mediterraneo.
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