Luciano Lanna
Il 1963 è l’anno dell’uccisione di John F. Kennedy e, in
Italia, del primo governo di centrosinistra, due eventi che conteranno – e non
poco – anche per il Msi e per il Secolo.
Intanto un cenno alla percezione che si aveva all’epoca del presidente
americano. Se alla fine del Novecento i Kennedy verranno inseriti tra le icone
progressiste, nei primi anni Sessanta JFK, primo presidente cattolico degli
Stati Uniti, deciso anticomunista, protagonista dello scontro su Cuba e famoso
per il discorso a Berlino, non veniva certamente considerato come un
personaggio di sinistra. Basti ricordare che il suo bestseller “Ritratti del
coraggio”, premio Pulitzer negli Usa, venne tradotto da noi dalle Edizioni del
Borghese di Mario Tedeschi e Claudio Quarantotto come anche l’altro suo libro
“Perché l’Inghilterra dormì”.
Allo stesso tempo, un giovane deputato missino di Palermo,
Angelo Nicosia, era introdotto nello staff dei Kennedy sin dalla campagna
elettorale che portò John alla Casa Bianca. Nicosia, che oltretutto scriveva
sul Secolo, vi era stato introdotto da un suo amico, d’origine siciliana e
reduce dalla Rsi, Philip Cordaro, il quale nel 1959 aveva anche pubblicato il
libro “Kennedy”. Ha raccontato Luigi Battioni, ex dirigente missino e
giornalista: “I servizi segreti e il governo dell’epoca impazzirono quando Ted
Kennedy venne in Italia in visita ufficiale, mentre John era il candidato
democratico alla presidenza, facendosi accompagnare ovunque proprio dall’amico
Nicosia. I giornali riferivano di questa costante presenza. Una volta,
presentato il giovane Kennedy al presidente italiano della Camera, era Giovanni
Leone, Nicosia aveva ritenuto doveroso ritirarsi, ma Ted non ne volle sapere e
chiese ripetutamente del congressman amico, fino a riaverlo al suo fianco…”.
Tutto questo per dire che non solo non ci sono sulle pagine
del Secolo di questi anni critiche a Kennedy ma, per molti versi, il
personaggio viene sempre circondato da grande attenzione. Quello che invece
preoccupa il Secolo è la fine dei governi italiani supportati dal Msi, dopo
l’esperienza di Zoli e Tambroni, e l’avvio già nel 1962 del monocolore Dc
guidato da Amintore Fanfani con la partecipazione di Psdi e Pri e l’astensione
del Psi. Quel governo, infatti, attuò la nazionalizzazione dell’energia
elettrica e patrocinò la nascita dell’Enel ponendosi in continuità con la
politica energetica di Enrico Mattei (che morì nell’incidente aereo del 27
ottobre 1962) e in contrasto con gli interessi di altri protagonisti
dell’economia dell’epoca. In quella fase infatti, esclusi i comunisti i cui
finanziamenti provenivano o dalla rete delle cooperative o dall’Est, i partiti
e i giornali facevano riferimento o all’Eni, o alla Fiat o all’imprenditore
Pesenti. La Confindustria in quanto tale non incideva all’epoca più di tanto e
fungeva più che altro come punto di mediazione. L’ingegner Pesenti,
proprietario dell’Italcementi e della Lancia, era l’avversario di Mattei e
della Fiat ed era, politicamente, il finanziatore del Msi, del Pli di Malagodi,
della Cisnal, di qualche esponente della destra democristiana e, per quanto
riguarda i giornali, aiuterà La Notte di Milano, Il Tempo di Roma e il
settimanale Lo Specchio. Arturo Michelini, che al congresso del 1963, viene
confermato segretario del Msi, era una sorta di suo consigliere politico.
Nella primavera del 1963 si svolgono le elezioni politiche
che allontanano l’ipotesi dell’alleanza Msi-Pli da Michelini proposta a
Malagodi e spingono verso un esplicito governo di centrosinistra con dentro i
socialisti di Pietro Nenni. In questo contesto, dal 2 al 4 agosto, si svolge
all’Eur il settimo Congresso del Msi che porta alla conferma di Michelini e
segna la rottura con la sinistra di Almirante che, con un abile colpo di mano
del segretario, verrà estromessa anche dal Secolo d’Italia. Il giornale era
infatti di proprietà del senatore Franz Turchi, molto vicino ad Almirante, ma
Michelini convince Pesenti ad acquistare la tipografia e a corrispondere ai
Turchi quanto chiedevano per impossessarsi direttamente del quotidiano che nel
frattempo si era spostato in via Milano. Franz Turchi ci sta e chiede solo, per
contratto, che sulla testata dovrà sempre apparire accanto alla gerenza la
dicitura “Fondatore Franz Turchi”. Il 6 agosto, con un trafiletto pubblicato in
prima pagina, il Secolo annuncia che il segretario del Msi “assume
provvisoriamente l’incarico di direttore politico del quotidiano”. A questo
punto non è che il Secolo diventa l’organo del partito, ma ci siamo vicini.
Michelini licenzia immediatamente Almirante che deve sgomberare la sua
scrivania e lasciar posto a Nino Tripodi. I ringraziamenti di rito del
neodirettore in prima pagina sono per il fondatore Franz Turchi e per i
direttori che lasciano: Almirante e Anfuso. La sconfitta degli almirantiani è
totale. Anfuso morirà il successivo 13 dicembre nell’infermeria di
Montecitorio, dove è stato portato dopo essersi sentito male al termine del suo
discorso sul nuovo governo di centrosinistra guidato da Aldo Moro. E con
Michelini arriveranno nuovi redattori e nuovi nomi…
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