Riprendiamo questo estratto da un libro del filosofo Costanzo Preve pubblicato sulla rassegna stampa di Arianna editrice. Si tratta di un brano significativo e condivisibile sulle origini "psicologiche" del negazionismo
Costanzo Preve
Con il termine di "negazionismo" si intende quell'insieme di posizioni storiografiche che intendono negare lo sterminio ed il genocidio degli ebrei da parte di Hitler e dei nazisti. A rigore, un negazionismo completo è storiograficamente impossibile, per la mole gigantesca di dati e di testimonianze, ed allora questo negazionismo ripiega ipocritamente su trincee di relativizzazione, contestualizzazione e minimizzazione. Gli argomenti dei negazionisti sono diversi: certo, non neghiamo che moltissimi ebrei siano morti, ma non sono certo sei milioni, l'uso delle camere a gas non è quantitativamente compatibile con il numero degli internati, non è stato Hitler a volere le uccisioni ma Goebbels (o viceversa), il progetto originario era di semplice internamento e di campo di lavoro, eccetera, eccetera. Il negazionismo si presenta virtuosamente come una semplice tendenza storiografica "veritativa", ma non è un caso che molto spesso il vecchio antisemitismo sbuchi fuori qua e là, con vari riferimenti al complotto mondiale delle banche ebraiche che si sono consociate per non far affiorare la verità sui campi di lavoro di Hitler.
Personalmente sono d'accordo con l'impostazione e con le argomentazioni di Pierre Vidal-Naquet "Gli assassini della memoria". L'analisi del negazionismo resta l'anatomia di un falso, e pertanto con i negazionisti non ci si può confrontare seriamente, non certo perché lo impedisce il "politicamente corretto" (lo stesso Chomsky si è a suo tempo battuto per il diritto dei negazionisti a dire pubblicamente ciò che vogliono dire), ma perché quello dei negazionisti è un circolo vizioso autoreferenziale. Vidal-Naquet mostra in modo molto acuto ed intelligente che la moda negazionista presuppone largamente il decostruzionismo della verità e la derealizzazione del mondo storico. Si tratta di un discorso su di un discorso più che un discorso su di una realtà accertabile e documentabile: il presupposto è che gli ebrei hanno inscenato la "truffa del secolo", e tutti i fatti vengono interrogati solo sulla base di questo presupposto metodologico unilaterale. Non si tratta di storiografia seria, ma solo di un interessante sintomo ideologico. A mio avviso tutto il negazionismo rappresenta nell'essenziale una manifestazione del complesso di colpa della "destra" europea dopo la fine della Seconda Guerra mondiale. La destra si trova nella scomoda posizione di non poter in alcun modo rivendicare il nucleo metafisico forte del progetto di Hitler, l'antisemitismo redentivo, per il semplice fatto che questo progetto è assolutamente ingiustificabile, indifendibile ed imperdonabile non solo alla luce della tradizione religiosa e filosofica occidentale (di cui rappresenta la negazione radicale), ma anche alla luce del comune buon senso e del comune sentimento morale. L'impossibilità di poter rivendicare lo sterminio pianificato degli ebrei porta allora a negarlo, a negare che sia mai avvenuto, oppure a minimizzarlo nei numeri e nel significato, o infine a dire che si è trattato di una "conseguenza collaterale non voluta", esattamente come hanno detto mezzo secolo dopo i bombardatori etici ed umanitari delle vittime civili nel Kosovo e nella Jugoslavia massacrata. Si tratta di un raro esempio di omaggio reso dal vizio alla virtù. L'internamento e l'eliminazione degli ebrei nei campi di sterminio nazisti è un caso esemplare di evento totalmente ingiustificabile, cui è impossibile applicare l'ipocrita contestualizzazione bellica o il viscido giustificazionismo ideologico. Il negazionismo non può rivendicarlo e deve negarlo. Non appena questa sua negazione pseudostoriografica è falsificata da dati e testimonianze storiche incontrovertibili, il negazionista colto in fallo rovescia il tavolo da gioco su cui sta perdendo, cambia terreno e grida che analoghi campi di lavoro e di sterminio li hanno fatti anche altri, giapponesi, americani, russi, colonialisti, eccetera. Un ragionatore onesto capisce al volo che questo, vero o falso che sia, non è argomento, ma un "trucco di uscita" da una controversia insostenibile. Il fatto che nella socialdemocratica Svezia degli anni Trenta si sia praticata una eugenetica di tipo sterminazionista (fatto accertato oggi senza ombra di dubbio) non è un argomento per dire che allora Hitler ha fatto bene ad eliminare malati di mente, malati terminali ed handicappati. Il crimine morale e storico resta intatto al di fuori di ogni presunta contestualizzazione storica giustificativa, esattamente come avviene per i roghi e le torture degli eretici e delle streghe da parte della Santa Inquisizione e dei suoi ammiratori ed imitatori calvinisti. Questo comportamento obliquo dei negazionisti, che rivendicano ciò che cancellano e minimizzano ciò che negano, dovrebbe farci piacere, perché si tratta appunto di un involontario omaggio del vizio alla virtù.
Ma le cose sono purtroppo più complicate. In breve, l'elemento filosoficamente più interessante sta nel fatto che il negazionismo antiebraico è oggi in Occidente la sola menzogna storica punita penalmente, mentre ogni altro tipo di menzogna storica e giornalistica è libera, e può essere praticata liberamente senza alcuna conseguenza penale. Non basta dire che il "negazionismo di Auschwitz" è troppo "grosso", ed a tutto c'è un limite. Bisogna riflettere sul perché questa sola menzogna storica (che io stesso riconosco ovviamente essere una menzogna integrale) è diventata un oggetto giuridico, e tutte le altre no. E come se si dicesse: potete mentire liberamente su qualsiasi oggetto storico, all'infuori di uno solo, in cui la menzogna è un reato penale, che verrà sanzionato giuridicamente. Come è possibile tutto questo? Non certamente perché la lobby ebraica è più forte delle altre. Considero questa spiegazione tautologica una forma di antisemitismo mascherato, e considero l'antisemitismo, in qualunque forma si presenti, una forma di sciocchezza storiografica ed epistemologica, oltre ovviamente ad essere un sintomo di corruzione politica e morale (in quanto paradigma razzistico e manifestazione di una concezione paranoica e complottiva del mondo). Occorre cercare altrove la ragione profonda della rilevanza penale del negazionismo del genocidio ebraico. Essa non può essere cercata che in oscuro complesso di colpa collettiva della cultura europea contemporanea. È noto, ad esempio, che il mondo giornalistico possiede quella particolare licenza d'uccidere che non ha nulla a che vedere con la libertà d'espressione, ma definirei in prima istanza il diritto assoluto alla manipolazione semantica continuata. Faccio qui solo due brevi esempi. In primo luogo, fra gli anni 1986 e 1992, la corporazione occidentale dei giornalisti definì sistematicamente "sinistra" coloro che in URSS volevano lo smantellamento dell'economia socialista e l'integrale introduzione del capitalismo (Eltsin, Yakovliev, Shevarnadze, eccetera). Si trattava di una manipolazione goebbelsiana, perché chiaramente si trattava esattamente del contrario, una manipolazione mirata ad un target di lettori di "sinistra", che sono quelli che leggono di più le pagine politiche dei giornali, mentre quelli di "destra" leggono preferibilmente i listini di borsa, le pagine sportive e la cronaca mondana. Eppure, nessuno pensò di tutelare giuridicamente i lettori da questa incredibile e reiterata menzogna goebbelsiana. Facciamo un secondo esempio. A proposito del Medio Oriente, da alcuni decenni viene obbligatoriamente definito "processo di pace" la pressione armata per imporre l'insediamento di colonie sioniste nella Palestina araba, e vengono definiti "terroristi" i patrioti palestinesi e libanesi che si battono sul loro territorio nazionale contro gli occupanti stranieri del loro territorio stesso. Si tratta di due manipolazioni semantiche reiterate quasi provocatorie nel loro essere frutto di una neolingua orwelliana, eppure nessuno tutela giuridicamente lo spettatore ed il lettore da questa vera e propria negazione del normale significato delle parole. Se io nego Gerusalemme Est ai palestinesi che ne hanno il sacrosanto diritto, ed unisco questa negazione con massacri continui, questo non è un "processo di pace", ma è ovviamente un processo di guerra. Eppure, qui la semantica non è giuridicamente tutelata, eppure nessuno parla di provvedimenti giudiziari. Sia chiaro che io non auspico assolutamente provvedimenti giudiziari di alcun tipo. Sarebbe ovviamente la fine di ogni giornalismo, anche di quello onesto e scrupuloso, ed è meglio subire una manipolazione semantica perfidamente nascosta che attivare terribili giurie penali ed amministrative.
Ma allora perché fare eccezione con l'infondato (e talvolta ridicolo) negazionismo storico? E evidente che la menzogna si difende con la verità, che alla lunga è sempre più forte della menzogna, ha migliori argomenti e dispone di migliori prove e documentazioni. Bisogna evidentemente ricorrere al complesso di colpa, che si manifesta sempre con forme contorte di rimozione. E la rimozione non è mai una buona consigliera.
*Costanzo Preve ne "Il Bombardamento Etico" (Editrice C.R.T., pp. 161-121)
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