Annalisa Terranova
I fatti del luglio 1960 a Genova sono noti: ci fu una
sollevazione della piazza antifascista contro il congresso missino che avrebbe
dovuto tenersi al teatro Margherita. Gli incidenti furono fatali per il governo
Tambroni e per il timido esperimento di un centrodestra che fosse pienamente
accettato dall’Italia del dopoguerra. I titoli del Secolo in quei giorni
evocano la minaccia comunista: “Lo Stato capitola dinanzi alla teppa rossa. Non
si terrà a Genova il congresso del Msi”. “Il Msi denuncia alla Nazione la grave
minaccia comunista”. Titoli, intendiamoci, pienamente giustificati: solo dopo
gli storici della destra italiana faranno fino in fondo i conti con quella
vicenda. Per Adalberto Baldoni la sfida di Genova doveva essere evitata a
priori, per Marco Tarchi quell’apparente insuccesso finì con il rafforzare la
segreteria Michelini: alle amministrative del novembre 1960 la Fiamma compie un
grosso balzo in avanti che la porta vicina ai due milioni di voti.
Quarant’anni
dopo, al G8 del 2001, la storia sembra ripetersi: il centrodestra al governo si
gioca la sua immagine (anche se l’evento è stato pianificato dal governo
precedente). Anche quella sfida fu persa: prima per la morte di Carlo Giuliani,
poi per la vergognosa vicenda della Diaz.
Quando Giuliani fu ucciso nella redazione del Secolo eravamo
in pochi: ricordo che fu affidato a me un fondino di commento a quella
tragedia. Io rifiutai di scrivere che Giuliani aveva avuto ciò che meritava,
come alcuni redattori pensavano e pensano. L’allora vicecaporedattore Pino
Rigido era d’accordo con me. Scrissi che il morto poteva anche essere un poliziotto
ventenne, ma che la morte di un ventenne è sempre una sconfitta, che
quell’assurda guerra andava fermata e che i colpevoli non erano solo i black
bloc perché la gestione della piazza era stata irresponsabile. Fu doloroso
vedere Fini in tv difendere le forze dell’ordine e giustificare quella giornata
disastrosa (tra i tanti strappi che ha fatto non ha mai detto di avere compiuto
l’errore di essere andato in quei giorni alla questura di Genova, accompagnato
dal deputato di An ed ex carabiniere Filippo Ascierto). Fu uno scempio il
silenzio del Secolo sulla Diaz e quindi la sua giustificazione per bocca di
Ascierto.. Fu una regressione considerare i no global tutti di sinistra dimenticando
centinaia di pagine di Alain de Benoist contro il “mondialismo”. Ho sempre
considerato demenziale da parte del Msi e poi di An la difesa d’ufficio e in
ogni circostanza delle forze dell’ordine. Non perché detesti le forze
dell’ordine ma perché non accetto l’idea di corpi separati con regole proprie
rispetto agli altri comuni cittadini. Durante la direzione Perina-Lanna, dopo
la sentenza per l’omicidio Sandri, ho potuto scrivere un articolo che si intitolava
“Quando non è più possibile dire arrivano i nostri” e che cominciava così: “Non è un Paese normale, né
civile, quello in cui se a compiere un delitto è un uomo in divisa scatta una
sorta di rete di protezione, una cortina fumogena di mistificazione, che si
conclude con una pena irrisoria nei confronti del singolo che ha infranto la
legge. Non è un Paese normale né civile perché in questo tipo di Paese chi ha
una divisa ha la missione di tutelare le persone e non di offenderle, di
prevaricarle, di ucciderle”. Un articolo che, a proposito di Genova e dei fatti
della Diaz, ristabiliva le giuste proporzioni e restituiva un po’ di onore a
una destra che non era stata capace neanche di prendere le distanze (e ancora abbiamo visto sul caso Aldrovandi esponenti di questa stessa destra difendere i responsabili ormai condannati): ”In ogni
caso, alle forze dell’ordine non dovrebbe appartenere il concetto di vendetta
che ci fu e che fu messa in pratica nella caserma Bolzaneto, dove venivano
portati i manifestanti fermati, picchiati e umiliati, insultati e costretti ad
abbaiare o stare in piedi su una gamba sola. E vendetta ci fu con l’irruzione
della polizia alla scuola Diaz, di notte, dove dormivano i militanti del Genoa
Social Forum. Scene da “macelleria messicana” ebbe a dire un poliziotto,
Michelangelo Fournier, che all’epoca dirigeva la missione punitiva in seguito
ripudiata. Ovviamente furono trovate molotov, peccato che ce le avessero
portate gli agenti stessi, per giustificare la mattanza. Il tragico cerchio di
errori, di eccessi, di deviazioni da quello che dovrebbe essere il normale
comportamento degli uomini in divisa, addestrati per tutelare i diritti dei
cittadini e non per violarli, si chiude con il caso Sandri. La pena irrisoria
inflitta all’agente Spaccarotella dimostra ancora una volta che la giustizia
diviene magicamente strabica quando si tratta di punire il responsabile di un
delitto se quel responsabile si fregia dell’appellativo di membro delle forze
dell’ordine. Si replicherà: una mela marcia non pregiudica la bontà dell’intero
frutteto. Ma se il contadino anziché buttarla via la spaccia come buona e
genuina, su tutta la merce grava il sospetto di avarìa”.
Ricorderai come quel tuo bellissimo articolo incluso nella rassegna stampa della Camera dei deputati scomparve, dopo un paio di ore, dalla versione online.
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