Annalisa Terranova
Lo so che scrivere un articolo in
prima persona è segno di provinciale narcisismo ma per fortuna questo è un blog
e non un giornale, dunque posso violare qualche regola e raccontare che
stamane, per non dedicare attenzione alla stucchevole fiction sulla decadenza
di Berlusconi, ho preferito leggere di filato le ultime cinquanta pagine della
biografia di Maria Stuarda di Stefan Zweig che ha allietato la mia estate.
Che avvincente tragedia! Quando
si dice che nella storia di uno solo si possono condensare tracce e sedimenti
di ciò che è venuto prima e di ciò che verrà dopo si dice una verità che
applicata alla vita e alla morte della regina di Scozia appare con specchiata
evidenza. Qui c’è in nuce già la fosca fine
della monarchia francese nel 1789 (è la prima testa coronata che cade dopo un
processo farsa). E c’è la mostruosità del potere che si oppone all’etica fino
al punto che un figlio (futuro re Giacomo I) si vende l’onore e la salvezza
della madre (Maria Stuarda) per il trono d’Inghilterra. E ci sono gli inganni
di chi si permette di piegare la verità ai sotterfugi (Elisabetta fingerà che
la cugina è stata portata al patibolo senza il suo espresso consenso arrivando
a far incarcerare il segretario di Stato cui aveva dato l’ordine di far
eseguire la sentenza di morte). E infine la spettacolarità simbolica dei
dettagli: Maria che indossa sottoveste e guanti rossi perché il colore
dominante della scena sia quello purpureo del sangue, i nobili seguaci della
“eretica” Elisabetta che pregano in inglese mentre i servitori di Maria, fedeli
al Papa di Roma, pregano in latino assieme alla loro regina, il carnefice con
la maschera nera che chiede perdono alla condannata perché sta per ucciderla,
la testa della regina mostrata ai presenti che batte ancora a lungo i denti...
Come si fa a non restare legati al racconto. Come si può lasciarsi distogliere
da questo affresco grandioso per tornare al presente di elemosinieri di un
briciolo di gloria acquistata con un titolo di giornale? E invece bisogna pur
che ci si torni.
Da Maria Stuarda ai giornali di oggi. Così, quasi fosse un’autopunizione.
Per scoprire che a sant’Ivo alla Sapienza non sta accadendo proprio nulla di
tragico e neanche di comico. Solo il solito, perenne, compromesso all’italiana.
Una sinistra penosa che finge di
confliggere con una destra arrembante. Il groviglio regolamentare sulle
pregiudiziali derubricate a “preliminari”. Anche qua nessuno capisce nulla
tranne la battuta del nostro Augello: conosco solo i preliminari della mia
gioventù (carina, no? Molto in sintonia con il capo del Pdl). Desolata,
abbandono le cronache sulla decadenza del Cavaliere, gli appelli del nostro
saggio presidente e il balletto inconcludente dei falchi e delle colombe per
arrivare ad apprendere che Mogol ha scritto l’inno della Regione Lombardia
nella versione leghista edulcorata dal “maronismo”: “Lombardia, Lombardia,
grande terra mia/ terra piana la padana, gente forte che è generosa, operosa, e
stringe tutti a sé senza una bugia…”. Mogol, quello che aveva scritto versi
immortali e evocato scene che da ragazzina mi facevano palpitare. Mogol, quello
che ha immaginato in una canzone una scena che ho sempre pensato fosse la più
romantica della musica leggera italiana. “Scusa, se son venuto qui questa
sera, da solo non riuscivo a dormire perché, di notte ho ancor bisogno di te,
fammi entrare per favore… posso stringerti le mani, come sono fredde tu
tremi…”. E poi arriva l’altro a rovinare il lieto fine: “Scusa, credevo proprio
che fossi sola, credevo non ci fosse nessuno con te, ah scusami tanto se puoi,
signore chiedo scusa anche a lei…”. E io che pensavo: ma che fa questa? Perché
non molla il signore e non scappa via con l’amore che le stringe le mani?
Insomma Mogol. Dai “Fiori rosa fiori di pesco” all’inno padano. E uno corre subito
a cercare un’altra biografia, un altro Stefan Zweig che alzi il sipario sulla
storia vera e non sulle cronachette. Di quelle mi occuperò dopo. Sperando che
abbiano tolto dalla mia scrivania il cartello insolente che per scherzo ha
lasciato lì un collega berlusconiano che conosce il mio amore per Silvio: “Il
tribunale mente, Silvio è innocente”.
Gentile Annalisa, sono incappato per caso nel suo commento, sulle tracce di questo libro che voglio leggere, nell'ambito di un approfondimento che vorrei fosse il più completo possibile della figura di Stefan Zweig. Partito da "Il mondo di ieri" non sono ancora arrivato alle biografie, ma ora, alla luce dell'incongruo parallelo che lei presenta, non vedo come potrò evitare di partire proprio da Maria Stuarda. Tutto sta a trovarne una copia, il più vecchia possibile per avvicinarmi all'autore e al suo tempo, il meno cara possibile per non allontanarmi troppo dalla sopravvivenza, ma soprattutto: leggibile, per risparmiare qualche diottria.
RispondiEliminaComplimenti per l'accattivante chiarezza.
Mauro Eberspacher